“Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte, le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato.” Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d’uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla”. Con questi pensieri tradotti in parole nel 1931 da Albert Einstein, ne “il mondo che io vedo” fotografava e spronava a costruire “la dimensione di sé” anche “dentro la crisi”. Ma cosa si intende per crisi? La parola “Crisi” deriva dal greco “Krisis”, sostantivo del verbo Krìno ossia separo, decido. Genericamente indica un momento che separa un modo di essere o una serie di fenomeni da altro differente quindi, parafrasando il grande Einstein la crisi è innanzitutto un momento di cambiamento. La crisi richiede nervi saldi, lucidità, idee, energia. Richiede che ciascuno per la sua parte, dia il meglio di sé ed esprima una prestazione all’altezza della complessità del momento. Chi decide di ripensarsi, mettersi in discussione, modificare è entrato pienamente nel grande gioco della vita vivendo pienamente e non sopravvivendo. Edgar Morin sollecitava, nella sua piccola ma preziosa pubblicazione del 1998 “I sette saperi necessari per l’educazione del futuro”, gli uomini che si stavano affacciando al Terzo Millennio a promuovere un’umanità nuova fondata su alcuni pilastri culturali. Prima fra tutte l’educazione alla conoscenza ovvero diventare “costruttori di conoscenza”, dei suoi processi, riconoscere gli ostacoli che si frappongono a raggiungerla e, soprattutto a liberarsi dalle illusione e dai pregiudizi prodotti dalla mediatizzazione e dai vissuti pulsionali. La seconda condizione è quella di imparare a definire i problemi in chiave del nostro tempo ovvero acquisire un’intelligenza capace di pensare la globalità, la multidimensionalità e la complessità al fine di sviluppare competenze particolari e specializzate. La terza è quella di imparare a considerare sempre e continuamente l’unità della persona tenendo insieme tutte le dimensioni: fisica, biologica, psichica, culturale, sociale e storica. La quarta condizione è quella che richiede un mutamento della prospettiva culturale comprendendo il vero significato della crescente interdipendenza tra tutte le società, per il fatto che, con sempre più chiara evidenza, gli esseri umani, dagli inizi del XX secolo, con l’abbattimento tecnologico di distanze e differenze, si trovano a dover condividere un destino comune. La quinta condizione è di allenarsi culturalmente a prendere le distanze da una concezione della scienza fondata su posizioni di tipo positivistico e deterministico e, di conseguenza sviluppare le capacità di governare l’incertezza e, aldilà delle formule, comprendere le articolazioni dei problemi, i punti di vista possibili, i cambiamenti inattesi ed improvvisi di cui la società e la storia umana costituiscono il teatro. L’affermazione “nessun uomo è un’isola” non è più da intendersi soltanto in senso psicologico ma come capacità di imparare a vivere un umanesimo altruista e solidale perché la comprensione reciproca fra gli uomini cosi come il governo della conflittualità e dell’incomprensione, non costituiscono allo stato attuale oggetto di consapevolezza diffusa tra gli esseri umani e richiedono perciò un lavoro assiduo affinché tutti e ciascuno apprenda ad orientarsi nel cammino personale e sociale in ogni tipologia di contesto. Ed infine l’ultima considerazione è quella “antropo-etica” che affascina, spaventa, che accompagna le altre e che apre alla speranza di una umanità consapevole e cittadinanza planetaria. Cambiare quindi richiede sacrificio, introdurre, approfondire o reintrodurre conoscenza, ampliare relazioni, metodi di lavoro, di inserimento o reinserimento lavorativo/professionale ed avere una visione sul futuro “ tra ali e radici”. Le radici sono i valori, la cultura del luogo in cui siamo nati, quella che ci rende forti ed in grado di sopportare anche le sconfitte e le ali sono gli spazi aperti sul futuro, lo sviluppo dei nostri sogni/progetti, coltivare le passioni…. In pratica diventare “costruttori di vite emozionali”. Se vogliamo poter viaggiare in qualsiasi luogo del mondo, se la comunicazione moderna ci connette con ogni angolo del pianeta non possiamo non tener conto che siamo entrati anche in una nuova era dove l’essere umano deve poter coniugare e riportare queste straordinarie opportunità anche all’interno del suo percorso occupazionale che deve ripartire dalla persona, dai talenti, dal “sogno” o progetto di vita o, per l’impresa, dalla “mission”.
(servizio promo-redazionale)
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