di Giancarlo Liuti
I duri sacrifici imposti dalla crisi economica e la confusione regnante nella politica fanno sì che le menti e i cuori siano in preda a cupe visioni del presente e del futuro. Non a caso, negli ultimi anni, il ricorso ai cosiddetti maghi si è fatto più frequente, come dimostra la loro cresciuta presenza in televisione, in radio e nella carta stampata. Da essi giunge l’offerta di una possibile fuga dalla realtà e tentare anche questa via è, per tanti di noi, un modo di uscire dallo sconforto. Nella nostra zona c’è una maga che sostiene di ricevere i suoi poteri direttamente da Gesù e propone magliette intrise di energie positive, c’è un mago che garantisce il ritorno – entro quindici giorni! -di un amore perduto, c’è un cartomante che assicura di svelare ogni domani (non sulla salute, però, e in tal modo si pone al riparo dal rischio d’incorrere nell’esercizio abusivo della professione medica). Ciarlatani? Non mi pronuncio. Si dirà che il ricorso ai maghi esiste da sempre, in qualsiasi epoca, in qualsiasi società, in qualsiasi cultura. Ma tutto lascia credere che oggi sia in crescita pure nei paesi – Italia in primis – dove fino a un recente passato prevalevano certezze materiali e morali che ora si sono sfibrate. Rivolgersi dunque alle penombre del mistero? Anche. Quando le luci si spengono, la penombra è migliore del buio.
A tal proposito – indirettamente, ma non tanto – mi ha colpito la straordinaria partecipazione popolare, anche di giovani, al convegno sulla veggente Pasqualina Pezzola che l’associazione culturale “Le Casette”, presieduta dallo psichiatra Pierluigi Pianesi, ha tenuto giorni fa nella Biblioteca statale di Macerata, la cui pur ampia sala era stracolma e chi non era riuscito ad entrare si accalcava lungo le scale cercando di afferrare qualche parola. “Ai limiti del paradosso”, s’intitolava il convegno. Ben oltre i limiti, pensavo osservando quella folla. E’ stata una cosa seria, con relazioni svolte non da maghi ma da docenti universitari di fisica, psicoanalisi e neuropsichiatria. La domanda chiave: siamo proprio sicuri che certi “poteri paranormali” non abbiano una base scientifica? La risposta: queste facoltà esistono, sia pur lentamente la scienza ne prende atto, alcuni di noi le hanno e il fatto che spesso le sfruttino da ciarlatani non significa che non le abbiano. Almeno una, del resto, l’abbiamo tutti: il cosiddetto “dejà vu”, il già visto, per cui a volte ci accade di andare in un posto dove non siamo mai stati e tuttavia ci sembra di conoscerlo, di averlo già frequentato in passato. C’è allora qualcosa, nel nostro profondo, che valica i confini dello spazio e del tempo?
E su questo l’indimenticata figura della veggente civitanovese Pasqualina è quasi una garanzia. Lei sfiorava una persona che le stava di fronte, cadeva in trance e, al risveglio, diceva, in dialetto, cosa aveva visto in quel corpo, se sano o malato, e in che punto malato. Ben prima che ci fosse la Tac. E meglio della Tac. Ma non solo. Le bastava guardare una foto o l’indirizzo di una persona lontana e, sempre in trance, compiva centinaia di chilometri fuori da sé descrivendo, coi gesti, vie, case e stanze che corrispondevano esattamente alla realtà. Lo ha fatto per 44 anni, in migliaia e migliaia di casi, molto spesso su persone inviatele da medici illustri. Non chiedeva denaro, non prescriveva terapie, rifiutava d’intervenire su delitti, congiure politiche, questioni di soldi o d’amore. Si occupò di Papa Pio XII, Papa Giovanni XXIII, Re Emanuele III e Re Faruk, ebbe contatti con Fausto Coppi, Zeffirelli, Fellini, la Masina, Dino Buzzati. E poi l’inspiegabile “paradosso” di quei lunghi viaggi in trance, a scrutare il presente e talvolta il passato.
Pasqualina è morta, quasi centenaria, nel 2005. Ma il suo nome continua a far notizia, a richiamare gente, a suscitare vaghe speranze che – perdonatemi l’impertinenza di questo salto logico – squarcino il buio dei mali dell’epoca nostra, quei mali che premi Nobel dell’economia e leader politici di statura mondiale non sanno né diagnosticare né curare. La dimensione spazio-tempo, hanno spiegato i relatori del convegno, è relativa, dipende dalla velocità della luce e dalla forza gravitazionale, per cui vivere a Macerata significa invecchiare più rapidamente (di un miliardesimo di secondo al giorno!) che vivere a Civitanova. Significa che la recente scoperta di una particolare medusa in grado d’invecchiare e poi ringiovanire e poi invecchiare e poi, sempre, ringiovanire dimostra, in natura, una sorta di futuribile viatico all’immortalità. Significa che se l’elettroencefalogramma di un individuo sdraiato all’interno della piramide di Cheope è così tanto diverso dall’elettroencefalogramma fattogli poco dopo, nel letto di una camera d’albergo, allora hanno un senso gli “archetipi” di Jung, presenti nella nostra psiche fin dagli albori della specie. Il messaggio del convegno? Non già promuovere l’arte dei maghi, ma aver fede nella conoscenza, rendersi conto che il mistero – anche quello della magìa – non ci è nemico perché a mano a mano la ragione lo svelerà e ce lo renderà alleato. Un po’ di fiducia, quindi, da nutrire per i nostri figli, per i loro figli e per i figli dei loro figli. Sogni? Può darsi. Ma senza sogni la vita è più amara.
Mi si consenta, da ultimo, di cambiare discorso e dire che fra i numerosi commenti dei lettori a proposito della mia rubrica sulla tragedia dei tre suicidi di Civitanova ce n’è uno che mi ha colpito e m’ha indotto a un esame di coscienza. L’ha scritto una “Carla” che non conosco e che, rivolgendosi a me e prendendo spunto da una massima del pedagogista francescano padre Girard, dice: “Un conto è aver fame e un conto è parlare di fame. Se invece di parlare di fame lei avesse fame, non so se avrebbe la civiltà del parlare civile”. Carla ha ragione. Da quale pulpito chi non ha fame – ed io non ho fame – può impartire lezioni di civismo a coloro che invece hanno fame e sfogano la loro rabbia – viscerale, sì, ma la fame viene dalle viscere – contro tutto e contro tutti? Nel considerare quelle manifestazioni di cieca collera verso la Boldrini e il sindaco Corvatta, io che non ho fame avrei dovuto distinguere e non l’ho fatto, o non l’ho fatto abbastanza.
Distinguere in che modo? Porre in evidenza che una cosa è l’autentica rabbia di chi ha davvero fame e istintivamente aggredisce la politica in generale anche quando la politica, come nel caso specifico, non ha colpe, e un’altra cosa è la falsa rabbia di chi non ha fame ma approfitta dei veri affamati per mere esibizioni o speculazioni di fazione o di corporazione allo scopo di acquisire consensi . Il che è accaduto a Civitanova (quanti, fra coloro che gridavano insulti ed esponevano cartelli di rivolta avevano davvero fame?), è accaduto in certa stampa di destra (“Omicidio di Stato!”) ed è accaduto nel ricorso alla magistratura del Codacons, il sodalizio nazionale dei consumatori, con quell’assurda e furbastra ipotesi di istigazione al suicidio da parte dello Stato. Sta qui, a mio avviso, l’inciviltà. E non mi pento di averla rilevata, anche se ho mancato di rendere più evidenti certe differenze. D’accordo con Carla, dunque, ma vorrei che mi si concedesse questa, diciamo così, attenuante.
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Sulle strumentalizzazioni siamo d’accordo, d’altre parte ci sono sempre state e sempre ci saranno in qualsiasi circostanza della vita sociale, bella o brutta che sia, ma il discorso che per maturare il diritto ad una rabbia sacrosanta bisogna prima aspettare di aver fame non mi quadra per niente, perché…”Non di pane soltanto vivrà l’uomo, ma di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio”.
La magia: una fuga dalla realta’ ……un modo di uscire dallo sconforto.
Nietzsche leggeva nella fuga dalla realta’, o meglio nel rifiuto del reale “l’ostilita alla vita, la rabbiosa e vendicativa avversione alla vita stessa, l’odio contro il mondo, la maledizione delle passioni, la paura della bellezza e della sensualita’, in fondo un’aspirazione al nulla, un segno di profondissima malattia, stanchezza, malessere, esaurimento, impoverimento della vita”.
Ma e’ nella natura umana, a differenza di quella animale, non accontentarsi dell’esistente e tendere sempre al suo oltrepassamento.
Mi associo incondizionatamente al commento del Sig. Liuti sulla vicenda dei suicidi di Civitanova.
Mi scusi Liuti, ma se a Civitanova la colpa non è della politica, di chi è? Bah…
Ero tra quelli “su per le antiche scale” , per quanta gente affollava la sala della Biblioteca Statale. Mi perdo tante cose ultimamente, forse per effetto dello sconforto di cui parla Liuti con la sensibilità di chi riesce a cogliere l’epoca oltre la divisione in poveri e non (o meno..) poveri e sa che povertà si dice in molti modi né la si sconfigge declinandone uno solo, benché il più eclatante. Così come la scienza si avvale di molti percorsi e non è meno scienza quando e se si mostra consapevole delle zone d’ombra e del mistero.
Pasqualina: questo nome rievoca nei miei ricordi di bambina un nome che significava speranza, squarcio nel buio della disperazione o quanto meno la possibilità di abbreviare l’angoscia di attesa di un verdetto di condanna a morte a causa di una malattia. Così ascoltavo i racconti dei grandi che parlavano sottovoce di qualche grave problema e poi c’era sempre qualcuno che si offriva di andare a parlare con Pasqualina portando una fotografia della persona che aveva bisogno del suo aiuto sia medico che finanziario. Pasqualina l’ambasciatrice dell’intellegibile, capace di conoscere ricordare prevedere il futuro in forma intuitiva ,per improvvise illuminazioni. Una sorta di riminescenza platonica il saper leggere un sapere nascosto ,puramente intellettuale che è scritto nella nostra anima e che viene alla luce solo se stimolato da una richiesta che viene dal mondo sensibile. C’è un fisico che si chiama Juliana Barbour che sostiene che viviamo in un universo dove i fotogrammi tridimensionali di ciò che noi chiamiamo passato, presente e futuro sono tutti presenti contemporaneamente e noi passiamo dall’uno all’altro secondo le regole probabilistiche della meccanica quantistica. Questi fotogrammi sono la memoria dell’universo ,una sorta di banca dati della vita e dell’universo che nella teoria platonica vengono spiegati con la riminescenza: La reminiscenza o anamnesi è la nostra memoria assopita che si rianima e permette alle nostre conoscenze di venire alla luce ridestarsi e far riaffiorare un sapere che era stato dimenticato nel momento in cui siamo venuti al mondo e che successivamente abbiamo rimosso e che sopravvive solo nel nostro inconscio, salvo riaffiorare talvolta in particolari situazioni. La conoscenza è il ricordo di stati che non possono essere ordinati secondo un criterio puramente temporale che definisce ieri oggi domani e di conseguenza un luogo ,uno spazio una posizione precisa. Sono concetti che per chi è abituato a vivere in uno spazio e un tempo che sono assoluti e definiti fa venire le vertigini. Ma se noi comuni mortali siamo colpiti da tutto ciò ,consoliamoci che anche i fisici stanno brancolando nel buio .Siamo avvolti dal mistero ,vogliamo certezze e siamo condannati ad una totale indeterminazione e prima lo accetteremo e ce ne faremo una ragione prima riusciremo a trovare un po’ di serenità. Mi danno molto conforto la parole di questa meravigliosa poesia di Montale:Non Chiederci La Parola
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Eliana Leoni Marcelletti