“Ecco perchè ho inventato lo stupro”

L'ANIMA DI UN RAGAZZO - Parla il giovane protagonista dell'episodio ai Giardini Diaz. Fu violentato a cinque anni nel suo Paese di origine: "Ho rivissuto quei tremendi momenti"

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di Roberto Scorcella

Duro il mestiere del cronista. Lo ami ma lo maledici allo stesso tempo, quando ti mette di fronte a situazioni impreviste, coinvolge amicizie e conoscenze, rivela drammi insospettabili.

Lunedì il direttore mi incarica di scrivere un pezzo su una storia curiosa accaduta a Macerata (leggi l’articolo). La scrivo, con la consapevolezza che avrebbe attirato migliaia di lettori per la sua particolarità, ma senza curarmi del fatto che dietro ci fosse una persona, un uomo con le sue debolezze, la sua sensibilità, la sua fragilità. Ma anche con la sua forza.

Oggi suona il campanello della redazione, un ragazzo che chiede di Cronache Maceratesi. Apre una discussione su come era stata gestita la vicenda relativa al falso stupro denunciato al pronto soccorso da un giovane. Con il direttore ci guardiamo, non riusciamo a capire dove voglia arrivare, ma cerchiamo di comprendere perchè questa persona si sia rivolta a noi. E capiamo che è coinvolto in quella torbida storia che ha scatenato tante reazioni da parte di benpensanti e puritani. Gli faccio una proposta: “Se garantiamo l’anonimato ci racconti cosa è realmente successo quel lunedì pomeriggio?”.

Da qui parte la storia di Giovanni, un nome di fantasia, 20 anni, studente universitario a Macerata. E’ una storia di abbandono, di una persona lasciata sola nella sua vita e nelle sue decisioni. Giovanni, originario di un Paese straniero, da bambino viene abbandonato. Lo adotta una famiglia del Maceratese che cerca di crescerlo nel migliore dei modi. Ma Giovanni si porta dentro un dramma che niente e nessuno potrà mai cancellare. Quando ha poco più di 5 anni, nel suo Paese viene stuprato da un bruto, una persona che avvicinava i bambini in quanto responsabile degli affidi alle famiglie straniere. Una ferita di quelle che non lasciano cicatrici perchè resta sempre aperta, dolorosamente sanguinante. Malgrado tutto Giovanni va avanti, prende decisioni importanti e commette sbagli, quelle esperienze che poi in realtà si rivelano errori ma aiutano comunque a crescere.

“Non sono omosessuale” racconta Giovanni con una grazia innaturale in un uomo “ma sono fidanzato con una ragazza che amo moltissimo”. Poi, con un filo di voce e forse ancora un po’ di vergogna, inizia a parlare dei fatti saliti suo malgrado alla ribalta delle cronache locali. “Ho voluto fare un’esperienza omosessuale per capire cosa c’è nella mente di una persona diversa da me. Nel ‘diverso’ cerco un arricchimento personale e delle persone che ci circondano. Da tempo stavo valutando l’idea di fare questo tipo di esperienza per capire e comprendere sentimenti e idee degli omosessuali. Era una cosa ragionata per affinare la conoscenza del ‘diverso’.  Ho scelto la persona, qualcuno che mi assomigliasse un po’ dal punto di vista psicologico e non certamente sessuale. Era la prima esperienza e sono stato assalito dalla paura”.

Nella mente di Giovanni sono ricomparsi quei fantasmi che per quindici anni erano rimasti nascosti nell’oscurità dei meandri più reconditi della memoria. La corsa al pronto soccorso e il racconto dello stupro subito ad opera di quattro stranieri arrivano come conseguenza della sua paura. “Sono tornati a galla ricordi ed emozioni, ho provato una gran confusione ma volevo tutelare la mia famiglia. Ecco perchè ho inventato tutta la storia”. E verso quel bruto che gli ha distrutto l’infanzia non prova rancore. Per Giovanni “la condanna non appartiene a noi ma al demonio”. “Stavo male dal punto di vista fisico, la mia mente era accecata, l’anima a pezzi. Avevo paura di non essere compreso, così come è sempre successo nella mia vita e allora è nata l’idea di inventare la storia dello stupro”. Che si innesca con una storia di solitudine. “Non ho avuto nessuno vicino. Ho dovuto sopportare tutto da solo. Ho inventato tutto per mantenere la mia famiglia equilibrata e non far soffrire i miei genitori”. Da solo ha dovuto caricarsi di un fardello enorme. Neanche l’affetto e la comprensione della fidanzata sono stati sufficienti. “Mi ha coccolato tantissimo, ma non è bastato. Penso che verso di me sia stata fatta una grande ingiustizia. Essere ridicolizzato in quel modo è stato come essere brutalizzato un’altra volta”. E Giovanni poi è andato a messa “per chiedere aiuto non per me ma per il mondo che mi circonda”. Giovanni ha avuto il coraggio di non condannare ma – come dice lui stesso – “di pensare al perdono e ad educare l’anima. Ma il mio pianto durerà per sempre”.

Una lezione dura per tutti, difficile ma necessaria da apprendere.



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