In un libro sui dialetti italiani
“La Fuga in Egitto”
di Giordano de Angelis

Una poesia in maceratese che è anche un augurio natalizio

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Giordano De Angelis

Proprio in questi giorni è  stata ritrovata e pubblicata la registrazione di un incontro che 35 anni fa Pier Paolo Pasolini ebbe a Stoccolma coi critici cinematografici svedesi, occasione nella quale Pasolini ebbe a dire che uno degli effetti peggiori del consumismo era, in Italia, la “distruzione dei dialetti”. Ora, a parte le strumentalizzazioni secessionistiche della Lega Nord, è in atto tutta una serie di iniziative tendenti a rivalutare la funzione dei dialetti intesi come linguaggio non già in contrapposizione con l’italiano né come ostacolo all’insegnamento e alla pratica delle lingue straniere, ma capace di esprimere tradizioni, valori e identità che sarebbe un delitto far cadere nel nulla. Un esempio di questa operazione culturale viene adesso da un piccolo libro di Manlio Baleani – edizioni “Controvento” di Loreto – nel quale il passo del Vangelo di Matteo sulla fuga in Egitto è per così dire tradotto in ben quaranta dialetti tuttora parlati in Italia, dalla Sardegna alla Calabria, al Friuli, alla Lombardia, alla Sicilia, al Lazio, all’Abruzzo e al Veneto, ovviamente non dimenticando le Marche, che vi figurano con gli idiomi popolari di Ancona, Cupramontana, Montappone, Jesi, Porto Recanati, San Severino, Senigallia e Macerata. Per quanto riguarda in particolare Macerata, il testo che figura nel libro di Baleani è opera di Giordano De Angelis, il più quotato poeta dialettale che attualmente operi nella nostra città.

Citiamo il passo evangelico:Essi (i Re Magi, ndr.) erano appena partiti, quando un Angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: ‘Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto e restaci finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”. Ed ecco, anche in segno di augurio natalizio per i nostri lettori, la poesia di De Angelis: “Stia a durmì Peppe co’ Jisù e Maria / quanno sindì che l’Angiulu de Dio /  Jé désse: – Sveja, curi, scappa via. / Damme retta. Fa’ comme dico io. / Erode vo’ mmazzà (‘ssu musu duru! / a fijitu. Tu vatte a nnabbuscà / in Egitto. Llì poli sta’ sicuru. / Permessu de soggiornu? E purassà. / None. Non è l’Italia. Non cioccòre. / Llì, caru mia, adè tutta vòna jènde. / Unu ce pòle sta’ finghé che mòre. / Se si’ stranieru, no’ gne freca gnende – E fu ccuscì che Peppe rmanì llì, / in sicurezza, co’ Jisù e Maria. / C’è rmasti finghé Erode nun murì. / Lo vòrze Patreternu … e ccuscì sia”.



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