di Giancarlo Liuti
Speriamo che i Maya avessero torto e l’anno prossimo non ci sarà la fine del mondo, ma sta già accadendo qualcosa che questo nostro mondo lo cambierà nel profondo. E mi riferisco alle previsioni – meglio: alla quasi certezza – che nel giro di un paio di decenni la Cina e l’India (la “Cindia”, come s’intitola il libro di Federico Rampini) saliranno al primo posto nella graduatoria planetaria delle potenze economiche, lasciando la consolazione del posto numero tre agli Stati Uniti, che da quasi un secolo detengono il primato assoluto. Che cosa tutto questo significhi per l’Occidente, per l’Europa e, quindi, per noi non è facile saperlo con certezza, ma è sin troppo facile immaginarlo, soprattutto per quanto concerne la nostra vita in fatto non solo di benessere materiale ma di mentalità, costume, relazioni umane, prospettive sociali. Il che, soprattutto, riguarda le giovani generazioni, cui si sta spalancando un futuro radicalmente diverso da quello dei loro padri.
Per questa ragione credo che sia di notevole significato l’inaugurazione, presso il liceo classico “Giacomo Leopardi” di Macerata, di un liceo linguistico statale nel quale, oltre a italiano, latino, inglese, francese, storia, filosofia, matematica, fisica e scienze, s’insegna pure il cinese. Sono tre ore alla settimana: due – tenute dalla professoressa Cristiana Turini – sulla struttura della lingua e sulla cultura di quell’immenso paese, una – tenuta dalla docente Ping Huang – per la conversazione diretta. Il primo anno è partito col vento in poppa: gli iscritti sono già cinquantatré, divisi in due classi. Il preside – Alessandra Stacchietti – è lo stesso del classico, come pure la segreteria. E si tratta di una brillante affermazione di Macerata a livello nazionale, perché di licei linguistici con queste caratteristiche ne esistono solo a Roma e a Mantova. Com’è nata l’idea? La si deve a due presidi del classico, prima Sauro Pigliapoco e adesso la Stacchietti. Ma forse sarebbe stata un’impresa impossibile se fosse mancato il sostegno della Provincia, della Camera di Commercio e della Confindustria, cui non è sfuggita la positiva ricaduta di questa nuovo istituto scolastico sull’economia locale, sul suo spirito innovativo, sulle sue prospettive.
L’ambasciatore cinese in italia, Ding Wei, all’inaugurazione dell’Istituto Confucio dell’Università di Macerata
Va poi segnalata la spinta ideale che è giunta dalle manifestazioni celebrative, in Italia e in Cina, del quattrocentesimo anniversario di Padre Matteo Ricci, all’insegna del quale si è creato un clima di più intenso scambio di idee, riflessioni e conoscenze fra grandi realtà non solo economiche – la cinese, l’europea, l’italiana e, possiamo dirlo, la maceratese – che per tanto tempo si erano quasi ignorate. Non a caso l’inaugurazione del liceo linguistico è stata aperta dalla prolusione del professor Filippo Mignini, conoscitore profondo della figura di Matteo Ricci e del significato che il missionario maceratese ebbe secoli fa nel gettare un ponte filosofico, scientifico e diremmo umano a tutto campo fra mondi fino ad allora inconsapevoli l’uno dell’altro. Né si dimentichi che a Macerata sono recentemente sorte altre iniziative del medesimo segno, come l’istituto “Confucio” promosso dall’università e il centro studi “Li Madou” – è il nome in cinese di Matteo Ricci – voluto dalla diocesi. Proprio l’altro giorno è stata ricevuta in prefettura una delegazione di Fujian, una regione grande come l’Italia e simile alla nostra provincia per clima e ambiente naturale. Lo scopo della delegazione? Entrare in contatto con ciò che ancora vive della cultura contadina maceratese, informarsi sulle tecniche produttive del vino e dell’olio, apprenderle, applicarle da loro.
La Cina è vicina, si diceva anni fa come se si trattasse di un’incombente minaccia. Vicina, adesso, lo è sempre di più, ma in un’ottica molto diversa, giacché al concetto di minaccia si va sostituendo quello dell’opportunità di progresso. Siamo agli inizi e questi sviluppi vanno gestiti con saggezza ed equilibrio, perché non mancano gli inevitabili problemi che sempre si accompagnano a qualsiasi fenomeno d’integrazione fra popoli per tanti aspetti diversi. Senza smarrire però la stella polare che indica, su entrambe le sponde, la giusta via da seguire, quella, reciproca, della comprensione e della collaborazione. Lo spirito di Padre Matteo Ricci, insomma, è tornato nella sua città natale. Sul finire del Cinquecento partì per la Cina ed ora lo ritroviamo fra noi, sempre lo stesso, sempre nel solco di una universale e illuminata fraternità fra le genti.
La delegazione del Fujan stata accolta dal prefetto Vittorio Piscitelli e dalle autorità della provincia
Nelle lucide lezioni televisive sull’economia mondiale tenute all’Archiginnasio di Bologna, Romano Prodi ha posto in evidenza un aspetto che forse è sfuggito a molti. Si tratta degli effetti trasversali della globalizzazione sull’imprenditorialità europea, italiana e, in particolare, della nostra provincia. Dove fino a poco tempo fa esisteva soltanto il fenomeno della delocalizzazione delle aziende, con imprenditori che si trasferivano all’estero – anche in Cina – e con ciò incidevano sull’occupazione locale, mentre adesso si profila un fenomeno contrario, vale a dire la delocalizzazione di imprenditori cinesi che vengono da noi a investire e produrre. E’ la prova di una crescente interscambiabilità di capitali, iniziative, progetti. E in questo mare le cui onde stanno salendo la funzione del nuovo liceo ha lo scopo di rendere più facile e proficua la navigazione. Dopo la maturità e la laurea, gli studenti maceratesi che avranno appreso la lingua cinese potranno trovare occasioni di buon lavoro fra i grattacieli di Shanghai, Canton e Chengdu, e gli imprenditori cinesi che verranno qui potranno contare su esperti delle cose italiane in grado di facilitare i loro rapporti con la nostra realtà. In definitiva, la nascita di questo liceo va accolta con grande favore e perfino con un pizzico di orgoglio, perché, tracciando una relazione fra il sapere e il realizzare, avvalora nel concreto, per Macerata, l’appellativo di “città della cultura”, un blasone troppo spesso dimenticato o trattato con sufficienza, come fosse un futile orpello di campanile.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
Come cambiano i tempi ! Fino a qualche mese fà parlando di Cina avremmo evocato i laboratori fantasma che si sono insediati sul nostro territorio. Oggi ci rendiamo conto che l’aeroporto di Shangai è distante dalla città 36 Km. ed un treno a levitazione magnetica fà percorrere in 6 minuti quella distanza raggiungendo una velocità di 540 Km. orari. La stessa Cina che esorta l’Europa a spendere secondo quello che si ha e a non avere un tenore generale di spesa superiore alle proprie possibilità. Lo stesso richiamo della Merkel di ieri.
Viva l’Europa, caro Giancarlo, e viva la globalizzazione che pian piano ci farà superare il nostro provincialismo ( la cui terra di coltura è l’ignoranza e l’egoismo) causa dei grandi mali che ci affliggono.
Grazie per la bella notizia e merito a chi l’ha promossa.
In realtà bisogna risalire più indietro, per avere la reale origine di tutte queste mirabili iniziative. E tornare all’allora Vescovo Tarcisio Carboni, indimenticato e indimenticabile, che sotto il soffio dello Spirito Santo per primissimo intuì la portata della missione di Padre Matteo Ricci – chiedendone e ottenendone l’apertura del processo di beatificazione – e che, nella sua scia, volle chiedere per la sua (la nostra) Diocesi l’apertura di un Seminario “Redemptoris Mater” per l’evangelizzazione della Cina.
Per chi è al dentro della cosa, si sapeva che questo tipo di seminari diocesani e missionari (benedetti e incoraggiati da Giovanni Paolo II) si aprivano solamente nelle capitali delle nazioni, ma Carboni tanto insistette che ottenne l’istituzione del nostro Seminario diocesano e missionario anche qui. Il Papa lo incoraggiò in questa sua illuminazione, e praticamente fu l’unico, perché a livello istituzionale – chi c’era ricorda bene… – ma anche presbiterale, venne osteggiato più o meno scopertamente per parecchio tempo.
Il santo vescovo Tarcisio tenne duro, con la bonomia paziente e inconfondibile che lo contraddistingueva, ma anche con la tenacia e la fermezza dei veri uomini di fede. Dei santi, appunto.
E a distanza di circa vent’anni da quei giorni, lui che non riuscì ad ordinare prete nessuno di quei primi seminaristi giunti da ogni parte del mondo per incardinarsi qui e da qui spiccare il volo – dopo alcuni anni nelle parrocchie – per la Cina; lui che morì all’improvviso e ora sicuramente sorride e benedice dal Cielo, la Diocesi di Macerata è diventata il granaio più fertile in termine di vocazioni, avendo più candidati e ordinati presbiteri di quanti ne abbia l’intera regione Marche messa insieme (sono più di cinquanta, i preti ordinati in diocesi in questi anni; e molti sono proprio di Macerata; ma ci sono anche cinesi).
Da quel lampo che ho appena ricordato, nacque il Corso di cinese all’Università e – a seguire – tutto quello che sappiamo e che ammiriamo ai nostri giorni.
Credo sia giunto il momento di aprire il processo di beatificazione per Mons. Tarcisio Carboni.
..peccato da noi si contesta la TAV,mentre i laboriosi e geniali ( sono bravi nell’assemblaggio ) cinesi sopravanzano all’occidente !! provate a manifestare in Cina se ne siete capaci…?
riguardo i laboratori “fantasma” sono una realta e non certo visioni ….
Nel frattempo facciamo cuuuullltura!!!!
Bravo Dott. Liuti, questa è la Macerata che dobbiamo difendere, grazie a queste intuizioni riportiamo la città al proprio posto, dove diplomarsi e laurearsi a Macerata dava un futuro certo. Le passate generazioni ne sono testimoni. La globalizzazione della cultura intesa in questo modo produrrà più di una qualsiasi altra industria.
L’istituzione del nuovo liceo linguistico, dove si insegna il cinese, ha senza dubbio una straordinaria importanza per la nostra città perché né rafforza il suo spessore culturale. La proietta simbolicamente tra le “città globalì”. La “città globale”, termine coniato da Saskia Sassen una sociologa ed economista statunitense nota per le sue analisi su globalizzazione e processi transnazionali, è un nuovo concetto teorico per studiare le città come luoghi di intersezione tra globale e locale. Saskia Sassen dimostra come numerose città e metropoli mondiali si sono sviluppate all’interno di mercati transnazionali e hanno ormai più caratteri in comune tra loro che con i rispettivi contesti regionali o nazionali. Le città globali sono quindi il centro di snodo per commerci, finanza, attività bancarie, innovazioni, cultura, ricerca, e sbocchi economici: sono città connesse globalmente ma disconnesse localmente, fisicamente e socialmente, al punto che non ha più senso parlare di città. La nostra città deve cogliere questa straordinaria opportunità per rilanciarsi e scoprire i nuovi mondi, allargare l’orizzonte, senza paura, con lo stesso coraggio e la stessa intelligenza di Padre Matteo Ricci, consapevoli che la globalizzazione sta avvenendo a Macerata così come a Pechino e in ogni altra piccola e grande città in giro per il mondo. E’ proprio fuori dalle nostre finestre, ma anche dentro. E’ sufficiente camminare per le strade per vederla. Gli spazi globali e locali possono essere separati solo con un’astrazione, nella realtà essi sono interconnessi. È successo che in un soffio di tempo, in poco più di dieci anni, sono cambiate la struttura e la velocità del mondo. Meccanismi che normalmente avrebbero occupato una storia di lunga durata, fatta da decenni e decenni, sono stati prima concentrati e poi fatti esplodere di colpo. Dentro la parola globalizzazione stanno molti più processi di quanto normalmente si pensa. “La globalizzazione divide tanto quanto unisce – scrive il sociologo e filosofo polacco Bauman – Divide mentre unisce, e le cause della divisione sono le stesse che, dall’altro lato promuovono l’uniformità del globo”.
@ enossam
copiaincollaaaaaa !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Sebbene diversi studi di settore prevedono che in quarant’anni il cinese supererà l’inglese come lingua commerciale, questo nuovo indirizzo mi sembra più fumo che arrosto. Ricordo che la maggioranza degli studenti, dopo averlo studiato per cinque ore la settimana nel corso di otto anni, esce dalle scuole superiori senza riuscire a costruire una frase in lingua inglese. Cosa volete che imparino degli studenti con tre ore di cinese alla settimana? L’iniziativa è pregevole, ma ho dei seri dubbi sulla sua utilità pratica: nessuno degli studenti che esciranno da questo corso riuscirà a dire più di “ciao” in mandarino, a meno che non vi dedichi gran parte del suo tempo e non soggiorni in Cina nei mesi estivi…ipotesi piuttosto remota.
il cinese come lingua commerciale molto ma molto improbabile , il numero maggiore degli individui che parla una lingua non ne determina il suo uso globale….