Da Daniele Salvi, Consigliere provinciale e Resp. Organizzazione Pd Marche riceviamo e pubblichiamo:
Non sappiamo cosa alla fine verrà deciso approvando l’ennesima manovra finanziaria presentata dal Governo e che prevede tra le altre cose la soppressione e l’accorpamento dei Comuni con meno di mille abitanti (leggi l’articolo). Una cosa però è fin d’ora certa, la proposta avanzata è debole dal punto di vista economico e sbagliata sotto il profilo civile e democratico. Il Governo si propone, né più né meno, di staccare definitivamente la spina a quei Comuni che egli stesso ha colpito in modo durissimo e senza precedenti. Il sistema delle Autonomie locali è stato la vittima sacrificale predestinata di una destra centralista e discrezionale che, in barba al federalismo e incapace di affrontare la crisi, ha scaricato tagli insostenibili sulle comunità locali e sul welfare territoriale, individuati strumentalmente come i luoghi dove si sarebbe annidata la “casta”. Si pensi, ad esempio, al dibattito sull’abolizione delle Province. Basterebbe che si ovviasse agli errori di proliferazione del recente passato e si istituissero, come vuole la Costituzione, le Città metropolitane e si sarebbe già fatto un bel passo in avanti. Perché diversamente bisognerebbe dire in capo a chi andrebbero assegnate le funzioni che esse esercitano. Ma andiamo con ordine. Il risparmio derivante dall’ipotizzata eliminazione di 21.593 consiglieri e assessori dei Comuni con meno di mille abitanti (immagino che anche costoro saranno stati annoverati nelle severe statistiche dell’antipolitica tra “coloro che vivono di politica”) costerebbe l’equivalente di 27 deputati! Il vero risparmio può venire dalla gestione associata dei servizi, che è stata recentemente resa finalmente obbligatoria per tutti i Comuni con meno di 5.000 abitanti. Anche prevedendo un innalzamaneto di questa soglia si possono creare economie di scala interessanti che devono andare di pari passo alla qualificazione della spesa, che va spostata dalle funzioni generali ai servizi sociali ed educativi, dove i Comuni investono meno. Il problema dei piccoli Comuni è che sono diventate insostenibili le diseconomie dovute alla gestione polverizzata ed estremamente differenziata da territorio a territorio dei servizi locali. Le attuali Comunità montane e le Unioni dei Comuni dovrebbero diventare, senza produrre ulteriori superfetazioni burocratiche, gli ambiti omogenei per una radicale riorganizzazione del sistema dei servizi locali e da questo punto di vista non è più differibile un intervento incisivo della nostra Regione. Così si potrebbero mantenere identità, cultura e rappresentanza di comunità secolari e al contempo creare con meccanismi cogenti, premiali e deterrenti, le necessarie economie ed efficienze nell’erogazione di servizi fondamentali. Senza usare l’accetta, si potrebbero quindi determinare risultati più consistenti dal punto di vista dei conti pubblici, ridando un qualche senso all’abusata espressione “federalismo municipale”. Due altri luoghi comuni vanno sfatati. Il primo è che il nostro numero di Comuni sia pletorico rispetto a quello di altri Paesi europei. La media europea è di un Comune ogni 4.132 abitanti, mentre in Italia essa è di un Comune ogni 7.490. Seguono Germania, Regno Unito, Spagna e Francia, nei quali il rapporto è più basso. Il secondo fa tutt’uno con il ragionamento che riguarda l’aspetto civile e democratico della questione: si pensa di tagliare istanze istituzionali e democratiche costituzionalmente previste, siano essi i piccoli Comuni o le Province, e si lasciano sopravvivere consorzi, autorità, enti, sui quali il cittadino non ha nessun potere di controllo democratico, mentre quelle stesse funzioni, che queste realtà gestiscono, potrebbero essere messe in capo ad organismi istituzionali, democraticamente eletti e verificabili nel loro operato. Insomma, i livelli istituzionali vengono dopo enti e strutture derivate, il che non è per niente logico. Allo stesso modo non si interviene con una qualche efficacia sulla fusione delle Agenzie fiscali, sulla razionalizzazione delle strutture periferiche dell’amministrazione dello Stato e la loro concentrazione in un ufficio unitario a livello provinciale, sul coordinamento delle forze dell’ordine in vista della loro progressiva integrazione, sull’accorpamento degli enti della previdenza, sulla riorganizzazione della rete consolare e diplomatica, sulla razionalizzazione dell’organizzazione giudiziaria civile, penale, amministrativa, militare e tributaria a rete. La verità è che se si avessero le idee chiare, la crisi sarebbe una straordinaria occasione per grandi cambiamenti, forse ad un primo impatto impopolari, ma sicuramente di grande beneficio. Se, invece, come è in questo caso, si è negata la crisi ed ora la si deve affrontare senza aver predisposto un disegno razionale di riassetto e riforma dello Stato e dell’amministrazione pubblica, agitando alla cieca il bisturi, si rischia di sfregiare un intero Paese. E’ quello che sta avvenendo; è quello che andrebbe evitato.
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L’opinione sembra unanime: il PD ha fatto una pessima figura ad astenersi il 5 luglio sul disegno di legge costituzionale proposto dall’IDV per l’abolizione del termine “Provincia” dalla Costituzione.
La questione delle province, e della loro abolizione, agita il mondo politico fin dal 1970, anno della istituzione delle Regioni. Solo che da allora, mentre tutti i partiti invocavano ed ancora invocano la loro sparizione, le province sono passate da 94 alle attuali 110, in un crescendo di frazionamento del territorio e delle popolazioni ed in un contemporaneo sempre minor significato e potenzialità per le province di ultima istituzione, che sono appena qualcosa di paragonabile a piccoli consorzi tra comuni.
La loro vera funzione anzi, in un periodo nel quale indubbiamente le capacità di movimento, controllo e copertura tecnologica avanzano a ritmi incalzanti, e nel quale lo snellimento della burocrazia è parte essenziale dello sviluppo, la loro vera funzione è stata palesemente quella di complicare la vita dei cittadini moltiplicando apparati amministravo-burocratici (appunto) e soprattutto politico-partitici. Sfido chiunque a dimostrare il contrario. Ci troviamo quindi, oggi, province che vanno dai più di quattro milioni di abitanti (quella di Roma) fino a quelle, come l’Ogliastra, che, con i suoi 57 mila abitanti, si colloca molto al di sotto di un quartiere di un capoluogo medio. E se la provincia di Bolzano copre più di 7.000 km2, ben cinque province (Gorizia, Monza, Prato e Trieste) amministrano meno di 500 km2.
Tutto quanto finora affermato, vale a maggior ragione, per i piccoli comuni, quelle anacronistiche ed insensate minuscole comunità di meno di mille abitanti che hanno un sindaco, una giunta, un consiglio comunale e che governano territori spesso delicatissimi con una miriade ormai insostenibile di atti, delibere, licenze e spese conseguenti che rendono il nostro Paese un puzzle di ben 8092 comuni, la stragrande maggioranza dei quali (addirittura 7592!) ha meno di 15.000 abitanti.
Una follia che trova ormai giustificazione solo in una romantica e clientelare prosopopea retorica della “storia, tradizione, cultura” locale, una barzelletta agli occhi del mondo. Il quale si presume si sganasci letteralmente quando apprende che i comuni sotto i 1000 abitanti (quelli che dovrebbero essere soppressi con questa manovra) sono la bellezza di 1.970 assommando quindi al 24% del totale!!
Ci sono 1.970 sindaci, 3.940 assessori e 9.850 consiglieri in carica per amministrare questa miriade di comunelli, e ognuno di essi con la sua delibera in tasca, il suo emendamento al bilancio pronto, la sua idea da votare, la sua modifica al piano urbanistico e la sua propria volontà edilizia. Mi dispiace essere così duro, ma nulla, né l’isolamento geografico, né la peculiarità di un luogo, né la locale sagra della salsiccia potranno mai giustificare i confini amministrativi e le riserve indiane partitiche, con potestà decisionale autonoma, insindacabile e definitiva, a paesini di 70-100 persone o poco più.
La parata di Primi Cittadini con tanto di fascia tricolore che sta affollando in questi giorni televisioni, radio, giornali, ognuno con la sua lamentazione, ognuno con la sua richiesta specifica di riconoscimento di insostituibilità, ognuno con la sua elencazione della propria necessaria ineluttabilità, parata che dovrebbe essere al servizio dell’onore del sacro Comune, appare piuttosto come una sfilata assai poco dignitosa in difesa di interessi particolari e di localismi fastidiosi e arretrati così come consolidati in un conservatorismo feudale. Non solo: ancor più irritante e poco dignitosa è la presa di posizione di certi grandi partiti organizzati in difesa di queste minuscole realtà, difesa spacciata come baluardo della tradizione, e che in trasparenza svela invece la volontà di preservare una immensa quota di funzionari, elementi istituzionali di sicura fede di partito, di poltrone da assegnare, distribuire, regalare, di posti da coprire per a loro volta coprire, in tal modo, ogni possibile angolo, fisico e amministrativo-burocratico, di questa Nazione. E tanto più il partito è organizzato, tanto più forte è, in queste giornate, la sua protesta, tanto meno credibile essa appare.
Non si pensi però che la soppressione dei comunelli sia indenne dal viziaccio italiano della eccezione, della deroga, del comma ad hoc: tra piagnistei, ricatti e idee assurde ma rumorose, i paladini della frammentazione hanno già ottenuto una serie di provvedimenti che dovrebbero “salvare” circa un terzo degli enti sotto i 1000 abitanti, salvare la carica di sindaco (trasformandolo in rappresentante locale), la sede comunale (tanto, paga Pantalone) ed altri ammennicoli relativi.
Qutoto al 100 x 100 enossam
Condivido in toto la lettura di enossam. Tuttavia – guardando a come da sempre la Regione Marche tratta le province di Macerata, Ascoli e di recente Fermo – preferirei che venisse abolita la regione e venissero salvate le province.
Direi, in buona sostanza: facciamo tre macroregioni: Nord, Centro e Sud. E salviamo le province. Potremmo unire Pesaro e Ancona da una parte e Macerata-Fermo-Ascoli dall’altra, nelle Marche.
Siccome però questo diviene in breve un delirio notturno di un esagitato, mi limito al primo capoverso: eliminiamo la regione e teniamo le province.
Condivido in pieno i due articoli, aggiungerei , tutto l’apparato burocratico che gestisce i comuni. Scusate, sarebbe ora di sapere cosa fanno nella loro vita questi cittadini che difendono le cause perdute, basta vedere i risultati del voto.
Oltre alle sensazioni più o meno condivisibili, posto un estratto di un articolo di Fortunato Laurendi pubblicato su La Gazzetta degli Enti locali del 24 agosto 2011, così, giusto per dare notizie da fonti fino a prova contraria autorevoli, a chi volesse approfondire l’argomento per farsi o rifarsi, o perchè no mantenere l’opinione che crede.
Manovra bis, dubbi sugli enti
Il Servizio Bilancio del Senato considera sovrastimati i risparmi derivanti dalla soppressione delle province e dall’accorpamento dei comuni. Intanto l’Anci scrive ai segretari di partito: un incontro urgente per individuare correzioni
I tecnici del Servizio Bilancio del Senato esprimono dubbi sugli effetti finanziari derivanti dalla soppressione delle province e dall’accorpamento dei comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti previsti in manovra e chiedono comunque al Governo di fornire una stima sui possibili risparmi. “Gli effetti finanziari positivi” della soppressione delle province, spiegano i tecnici, “potrebbero in parte essere compensati dal manifestarsi di possibili profili onerosi, in particolare, nella fase di transizione. In tale fase – si legge ancora nel dossier – eventuali criticità finanziare potrebbero sorgere relativamente a una serie di adempimenti di natura straordinaria e connessi alla gestione del passaggio delle funzioni, delle risorse umane, strumentali e finanziarie delle province soppresse ai nuovi enti destinatari”. I tecnici riteng ono quindi “opportuno che “il governo fornisca una stima sia pur di massima, dei possibili effetti finanziari derivanti dalla norma in esame” pur riconoscendo “la difficoltà di determinare a priori i possibili risparmi connessi”. Inoltre, secondo i tecnici, “sempre nella fase di transizione occorre disporre in merito agli atti e alle operazioni di carattere economico eventualmente pendenti, nonché agli adempimenti necessari a regolare il nuovo assetto amministrativo dei territori interessati”. Il Servizio Bilancio del Senato chiede inoltre “ulteriori chiarimenti” sulla “previsione del trasferimento alle regioni del personale per effetto della soppressione delle province, evidenziando in particolare se da tale trasferimento possano derivare oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica per effetto di un diverso inquadramento economico-giuridico di detto personale”. Stessi rilievi sulle misure che riguardano i comuni: i tecnici segnalano che i risparmi “potrebbero essere compensati dai possibili oneri derivanti dalla costituzione di una nuova istituzione, quali le unioni municipali, dotate di propri organi e deputate a esercitare le funzioni amministrative dei comuni contermini”. Inoltre si segnala che per i comuni con più di 5.000 abitanti, “le possibili riduzioni di spesa, derivanti dalla riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori, potrebbero non essere realizzabili, tenuto conto dei vincoli posti dalle regole in materia di patto di stabilità interno e della possibilità dei citati enti di incrementare in misura corrispondente le rimanenti spese appostate in bilancio”….
@ENOSSAM: Analisi lucida, veritiera che meriterebbe una risposta da chi di dovere. Che dico risposta, ci vuole di più la richiesta di una consulenza ad enossam così magari avremo finalmente qualcuno competente che apra un pò gli occhi ai responsabili politici.
Siccome non sono politico, più di tanto non capisco però mi farebbe piacere che qualcuno dei partecipanti (tanto informati e non so se di parte o obiettivi) a questo forum mi spiegasse in termini economici dove sta il risparmio nell’abolizione delle province
1- Le attuali “funzioni della provincia a chi le diamo? (alla Regione??)
2- I dipendenti della Provincia dove li mandiamo alla Regione oppure li licenziamo visto che in pensione ce li mandiamo nel 2030??) Il risparmio effettivo si riduce a togliere da libro paga il Presidente, i 6 assessori e i 20-25 consiglieri. Ammazza che risparmio!! Basterebbe pagarli di meno o a titolo di risarcimento delle spese. Se è vero quello che asserisce Salvi sarebbe più che sufficiente dimezzare la CASTA a tutti i livelli per risparmiare un sacco di milioncini (di Euro) e salvare il salvabile.
3- Gli uffici regionali con le funzioni della ex provincia li delocalizziamo sul territorio o concentriamo tutti ad Ancona??
4- Perchè non si aboliscono le Comunità Montane, i Vari Consorzi; perche non ridurre il numeri degli “onorevoli, dei Consiglieri Regionali. E’ concepibile che dopo una legislatura gli “onorevoli” prendano la pensione a vita (e che pensione) mentre noi comuni mortali dovremo lavorare fino a 65/67 anni per forse prendere una pensione di 7-800 euro al mese?? Poi quando ci costano tutti i body guard (carabinieri/poliziotti/finanzieri) che stanno intorno agli “onorevoli” un’auto avanti una dietro e vari autisti per ogni onorevole. Se hanno paura che qualcuno gli faccia del male forse hanno la coda di paglia???
“E io pago” sempre o comunque.
5- Un’altra cosa che non ho mai capito è perchè bisogna dare incarico all’ingegnere xx o all’architetto yyy per fare progetti di strade o opere pubbliche o all’Avvocato zzz la tal controversia quando nelle Provincie o altre Istituzioni ci sono Dipendenti/Dirigenti con tali titoli di studio? (sono stati assunti perchè in possesso dello specifico titolo di studio).
6- Quale risparmio, poi, si ottiene (per il popolo) se aumenta l’IVA dell’ 1%. La fregatura la prendiamo sempre noi poveri derelitti tartassati dal Ministro dell’Economia perchè con la scusa dell’aumento della stessa pagheremo TUTTO di più come quando entrò in vigore l’Euro.
Forse è ora che la gente si svegli. Basta con la demogogia. Come sempre vince la casta dei ricchi.
Però tutto questo spero che finisca, anche perchè è ora che chi ha paghi anche per chi non ha da vivere in maniera decente, anche perchè di solito in proporzione paga molto di meno.
Attendo risposte serie sul forum.