«Aquisgrana non è San Claudio al Chienti», confutate nel 58esimo convegno del Centro studi storici maceratesi le teorie che vorrebbero la capitale dell’impero Carolingio nelle Marche.
Riemerge però dall’Annunziata la “lipsanoteca”, tesoro custodito nella chiesa di Santa Maria a piè di Chienti e sconosciuto ai più. La due giorni organizzata a Montecosaro nel teatro delle Logge dal centro studi maceratese ha avuto una vasta eco per l’alto livello scientifico delle relazioni proposte sul tema “Il Maceratese e le Marche centro-meridionali tra Impero e Papato (Secc. X-XII)” e permesso ai montecosaresi e non solo di scoprire un tesoro nascosto e poco conosciuto, un manufatto in pietra contenente le reliquie e conservato nella chiesa dell’Annunziata. «E’ risultato uno dei convegni più interessanti e meglio riusciti tra quelli organizzati negli ultimi anni, in questa occasione in collaborazione col comune di Montecosaro e il locale centro studi montecosaresi», ha detto Alberto Meriggi presidente del centro studi maceratesi. Molto seguite a Montecosaro le relazioni che hanno riguardato la chiesa di Santa Maria a Pie’ di Chienti. La prima ha finalmente dato l’esatta lettura e interpretazione delle incisioni sul coperchio della lipsanoteca e ha datato con certezza il manufatto all’XI secolo. La lipsanoteca è il reliquiario in pietra conservato da secoli nella stessa chiesa e per l’occasione esposto per la prima volta al pubblico grazie alla collaborazione del parroco don Lauro Marinelli e del sindaco Reano Malaisi.
«L’esposizione ha destato curiosità e sorpresa anche tra gli abitanti di Montecosaro – prosegue Meriggi – la maggior parte dei quali non solo non aveva mai visto il reliquiario, ma non ne conosceva l’esistenza e l’importante storia. Ma è con le relazioni dei due ospiti tedeschi, Hildegard Sahaler sulla tipologia architettonica medievale nelle Marche e in particolare sulla doppelkapelle di S. Claudio, e il professor Florian Hartmann sulle Marche imperiali che il pubblico si è acceso. Hartmann, non presente per covid, ha inviato la sua relazione e ha portato un saluto in collegamento telefonico (la sua relazione è stata letta e anche commentata dal prof. Tommaso di Carpegna Falconieri). «Florian Hartmann ha proposto una relazione con la quale ha dimostrato, alla luce di una vastissima documentazione originale che Aquisgrana (l’attuale Aachen) era il cuore del regno carolingio e punto continuo di riferimento ufficiale e istituzionale per Carlo Magno e per tutti gli imperatori che hanno regnato dopo di lui – racconta Meriggi – dando una risposta definitiva alle pretese generose, ma storicamente del tutto infondate, di quanti vorrebbero invece identificare Aquisgrana con la nostra San Claudio al Chienti».
L’autore, che insegna Storia medievale proprio ad Aquisgrana, ha analizzato lettere, documenti legislativi, mappe di percorsi, tutti materiali ufficiali d’archivio, in gran parte presenti nella raccolta dei “Regesta Imperii”, che testimoniano che nessun imperatore carolingio si è trattenuto nelle Marche. La raccolta dei “Regesta” contiene le citazioni delle fonti relative alla storia imperiale in ordine cronologico. Ma Hartmann ha rinvenuto anche altre carte originali e autentiche conservate in Germania. «Basti pensare che si conservano in Germania oltre 400 carte ufficiali per i soli 26 anni dalla morte di Carlo Magno a quella del figlio Ludovico il Pio, il quale, secondo le fonti, si recò direttamente alla tomba del padre subito dopo la sua morte avvenuta ad Aquisgrana nel gennaio dell’814 – afferma Meriggi riportando stralci della relazione di Hartmann – E’ ben documentato che Ludovico partì dall’Aquitania e raggiunse la tomba del padre, collocata nella chiesa del palazzo di Aquisgrana, nell’aprile e vi si trattenne fino al settembre. Carte e mappe ufficiali descrivono e delineano i percorsi di Ludovico nei territori tra l’Aquitania e Aquisgrana. Molte altre carte originali ufficiali conservate in Germania, con data e luogo di emissione e con sigilli che attestano la loro autenticità, provano la permanenza per lunghi periodi di Ludovico ad Aquisgrana, località nella quale anche successivamente si recherà spesso ad onorare la tomba del padre e da dove emise numerosi documenti imperiali.
Hartmann indica una mappa originale che illustra tutti i luoghi di residenza di Ludovico dall’814 fino alla sua morte nell’840, e la mappa precisa che Aquisgrana era la località in cui l’imperatore si tratteneva più a lungo. Altre fonti presenti nella raccolta dei “Regesta” attestano che Ludovico ricevette ad Aquisgrana molti ambasciatori provenienti da tutto il mondo ed anche dall’Italia e tra questi ultimi anche suo nipote Bernardo il quale, è ben scritto, che successivamente ritornò in Italia. Dunque Bernardo con il suo viaggio, partendo dall’Italia per raggiungere Aquisgrana e poi ripartendo da Aquisgrana per l’Italia, testimonia chiaramente che Aquisgrana non era in Italia. Nell’816 il papa Stefano IV si recò ad un incontro personale con Ludovico ad Aquisgrana e lo incontrò (obviam) a Reims. Nemmeno per l’incontro con il papa Ludovico attraversò le Alpi, per motivi politici non poteva allontanarsi da Aquisgrana poiché il suo trono vacillava. Invece il figlio di Ludovico, Lotario I, raggiunse più volte l’Italia e i documenti citati da Hartmann provano inequivocabilmente, per date, tempi e percorsi e località attraversate, l’impossibilità per il sovrano di passare o attraversare le Marche.
Da Aquisgrana Lotario emise circa 100 documenti, alcuni dei quali ancora conservati in originale. Ottone I, il Grande, da numerose fonti presenti nei “Regesta Imperii”, e da carte originali autentiche ancora conservate, ma anche da informazioni tratte dalla biografia scritta su di lui da Widukind di Corvey, risulta con chiarezza essere stato incoronato ad Aquisgrana, località descritta come vicina ad un luogo detto Iulo, così soprannominato in onore del suo fondatore Giulio Cesare. Ottone si recò in Italia solo a partire dal 951 e le fonti originali dei suoi viaggi di andata e ritorno non lo mostrano mai presente o di passaggio nelle Marche, forse anche perché non aveva nulla da andare a fare né da omaggiare in tale territorio. Così fecero suo figlio e suo nipote Ottone III.
Tutti seguirono la tradizione dell’incoronazione ad Aquisgrana (in alcuni documenti indicata come vicina a Colonia), per poi iniziare la spedizione verso Roma. Diversi documenti presenti sempre nei “Regesta Imperii” attestano la presenza di Ottone III ad Aquisgrana per esumare il corpo di Carlo Magno nella locale chiesa e farlo riseppellire, questo procedimento fu eseguito anche da Ottone per inserirsi nella consolidata tradizione imperiale. L’esumazione del corpo di Carlo Magno attesta che tra marzo e agosto dell’anno Mille, la tomba era ad Aquisgrana. Ottone si muoveva in quei territori ed emise diversi documenti da molte località vicino Magonza, ma poi ritornava ad Aquisgrana in cui, anche in documenti che riguardano lo stesso imperatore, era detta il centro del Regno. Anche i successori come Enrico II, nel 1002, e Corrado II, nel 1004, seguirono questa tradizione, inizialmente incoronati a Magonza, i quali, dopo e immediatamente si recarono ad Aquisgrana per la visita alla tomba di Carlo e l’ascesa al trono. Le date riportate in tutti i documenti ufficiali rendono impossibile un viaggio verso l’Italia e le Marche per una visita ad una improbabile tomba di Carlo. Date e percorsi sono presenti e ben documentati anche dalle carte reali che i sovrani avevano l’abitudine di emettere poco dopo la loro incoronazione ad Aquisgrana, molte ancora conservate in originale».
Florian Hartmann ha inviato al convegno altre numerose testimonianze documentali di Aquisgrana come sede della corte e della tomba di Carlo Magno. Tutto verrà pubblicato nel volume n. 58° contenente gli atti del convegno, unitamente a tutte le altre relazioni dei partecipanti. Il Convegno ha visto la presenza di numerosi soci del centro studi storici maceratesi. Presente anche il vescovo di Fermo Rocco Pennacchio, che ha portato il suo saluto. Molto apprezzata è stata la conduzione della sessione domenicale del convegno da parte di Tommaso di Carpegna Falconieri che, tra l’altro, ha sostenuto brillantemente il dibattito relativo alla relazione di Hartmann.
(clicca per ascoltare la notizia in podcast)
Dal confronto,civile e documentato,delle varie,anche opposte teorie nasce una crescita culturale della società che coinvolge non solo gli studiosi,ma anche una collettività che ricerca,nel passato,la propria storia.Nel caso concreto,pur adombrando seri dubbi sulla collocazione geografica nella nostra provincia,auspico che il confronto culturale veda tutti gli studiosi collaborare confermando che la cultura unisce,non divide.Se la cultura invece di sollevare Lessere Umano lo rinchiude,in quale forza intellettuale possiamo sperare perché ci migliori ? Giovanni Cecchi
Qual è il motivo per cui bisogna organizzare un convegno, ben pianificato, per smentire un enorme lavoro di persone serie, oneste e che non hanno secondi fini?? Il Vaticano ha paura???
Rossano Baccifava certo che ha paura
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PER FORTUNA ANCHE BENEDETTO DI SANT’ANDREA DICE CHE AQUISGRANA è IN FRANCIA…GRAZIE H.
Rispondo a Leonardo Bartolucci dicendo che effettivamente Benedetto di Sant’Andrea aveva ragione a dire che Aquisgrana era in Francia. Infatti la Francia (la Francia Picena da cui proveniva Pica, la madre di San Francesco dal nome piceno) era qui nel Piceno, in quanto la Francia di cui tutti hanno parlato al convegno all’epoca di Carlo Magno si chiamava ancora Gallia.
Il prof. Hartmann dovrebbe esibire i documenti dell’epoca, che erano scritti in latino e non in tedesco. Vuole farci credere che le località e le città citate nei testi latini avevano il nome che oggi egli cita? E poi che ci stava a fare Carlo Magno, e prima di lui il padre Pipino il Breve e suo nonno Carlo Martello in mezzo alle foreste e alle paludi?… Solo per controllare i predoni Vikinghi e in contatto con popolazioni primitive e idolatre? Qui da noi era, invece, il luogo della sviluppata Civiltà Picena, precedente a quella romana, e con un clima fantastico… Il Papa era qui da noi, con i Saraceni che tentavano di espandersi a nord con la forza, con i contatti politici importanti che avvenivano con i Bizantini della Grecia e dell’Asia Minore e con gli emirati arabi, navigando in quell’Adriatico che Carlo Magno definiva “una bagnarola”. Ma a cui andava, da Aquisgrana (oggi San Claudio) a Porto Civitanova (all’epoca inesistente) a farsi una nuotata, a mangiarsi un frittura di pesce appena pescato e magari per ammazzare il cinghiale sulla riva nelle battute di caccia descritte nelle cronache. Per poi ritornare ad Aquisgrana per la cena. Ciò lo poteva fare se fosse stato qui, a soli 20 chilometri dal mare. Ma da Aachen al Mare del Nord ci sono oltre 150 chilometri. Capisco che senza Carlo Magno e Aquisgrana nella loro zona germanica non sarebbero più la nazione millenaria che i regimi ottocenteschi e nazisti vantavano. E quindi doverebbero andare alla rivoluzione protestante per qualificarsi come “nazione”.
Mi piacerebbe rispondere anche alla Sahler, in estrema difficoltà a rispondere alle domanda fatta da Elisabeth de Moreau d’Andoy. Ma attendo che CM pubblichi l’articolo con la Sahler.
Comunque aspetteremo che il Centro Studi Storici Maceratesi pubblichi gli atti del convegno, per opportunamente scrivere la nostra opinione su questo convegno organizzato – chiaramente – per smentire la verità del prof. Giovanni Carnevale su Carlo Magno proprio in una cittadina che si dice sia stata fondata da Carlo Magno.
Moltissime grazie all’ottimo collega e medievista di fama internazionale Florian Hartmann per essere intervenuto: il suo contributo sarà prezioso per tutti
Non è vero che Civitanova non esisteva. All’epoca si chiamava Vince Cluana e si stendeva lungo il Chienti, allora navigabile e congiunto a S.Claudio da dove Carletto quando veniva in vacanza, prendeva il vaporetto. All’epoca c’era un porticciolo risalente ai romani con cui andava da Ttilio proprietario della Rotonda sul Mare, storico stabilimento balneare, con ristorantino ammesso. Cuoco, bieco et invidioso era Ciarrapicus, un pistacoppi trasferitosi in riviera per uno strano caso di avvelenamento alla locanda Vera Italia del console Parcaroll, signorotto del posto, amato e rispettato dai suoi villici che per lui si spezzavano la schiena per raccogliere il famoso ravanellum che si coltivava a Corridonia, oggi Montolmo , specie di grossa barbabietola che arrivava a 300 chili e che andava cotta intera per non disperdere le sue proprietà nutrizionistiche di cui purtroppo poco si sa perché il ricettarium fu portato via dal barone Vincisgrass, un austriaco che cantava sotto le finestre di Lavinia, la locandiera presidente dell’associazione “ A ce credete a tutte ste a?” di cui si sa che finì a vendere caldarroste ai russi del condottiero Baffò che mando tutti i leghisti locali, compreso il console , a raccogliere i ravanellum ed ancora oggi nella ricorrenza dei Primo Settembre ( non si è mai capito che festa fosse all’epoca e nemmeno oggi visto che sul calendario non è rosso) sembra di sentire i loro lamenti sotto sforzo che raggiungono Milanum. Qui viveva il più stupido apribocca della storia, Saliviniam testa di colza che durante il famoso attacco ai forni fu fatto a pezzi e divorato dalla folla inferocita dalla fame da cui lui non risparmiava nessuno per poter mantenere quell’invidiabile linea che ancora oggi si vede dai quadri del ritrattista toscano appartenente a Vince Vinci tal Leo di Nardo di cui si sono perse ogni traccia dopo aver ritratto Bossilio che andava dicendo in giro che l’ untuoso era un gran testa di quella materia di cui era fatta la famosa appendice di Carlo Martello. Ghiotto del Brodetto alla Portennara che si faceva consegnare direttamente da lù diavulo, quando questi si ritirò in pensione, Carletto disse se c’era qualcuno che sapeva districarsi in cucina. Si fece subito avanti il bieco Ciarrapicus che subito si mise a trafficare mentre Ttilius gli raccontava dei suoi trascorsi. Quando il pesce fu pronto e portato davanti a Carletto, questi si mise a fissarlo come se fosse stato colto da un dubbio tarlato. Ciarrapicus che era lì disse al re: “ Che fai Carlé non magni?. “ Magno magno, ma prima magna tu!”. Il bieco cuoco cerco di fuggire ma dovette trangugiare con l’imbuto, legato alla sedia, il suo divino manicaretto così chiamato perché non si riprese più e da allora passa le intere giornate dentro il bagno chimico del colosseum, sorte di polisportivo sito sempre vicino al Chienti. Tutti lì stavano, dal commissario al sacrestano con gli occhi rossi e il cappello in mano, quello con cui il reggente di Vince Civitanova andava raccattando consensi per diventare forte dentro e fuori il palazzo, che allora era solo una capanna trasformata poi in carrozzone . Poco considerato allora, nemmeno oggi lo sarebbe se uno strano virus non avesse colpito i civitanovesi rammollendo loro la capacità di pensare con la propria testa altrimenti ce ne sarebbe per tutti. Figuriamoci poi per lui, se non ci fosse il virus . Forse a Predappium che lui non sa dove sta! Strano perché l’Aachen terribile servizio segreto di Carlo Magno ( soprannome che gli rimase dopo la disavventura di Ciarrapicus ), lo ha visto e fotografato proprio la con la Polo Roid, portata da un mercante veneziano dal ritorno dalle Indie che poi è una sola o dalla Cina. Siccome la” Storia” è lunga c’è chi dice che abbia cinque diecimila anni, la chiudo qua concludendo che effettivamente Carlo Magno soggiornò da queste parti, però dire che ci abitava abitualmente ( ma sai che pballe..) ce ne vuole.
…aspettatemi, sto per arrivare qui anch’io qui, adesso vado a’rcoglie le cucciole che co sto pioe n’è sscappate tante.
Già dall’incipit di Giorgio Rapanelli si conferma l’assoluta ignoranza storica e l’adesione bovina alle tesi strampalate di don Carnevale da parte dei cosiddetti Carolingi piceni. La madre di San Francesco si chiamava eanne de Bourlemont ed era originaria della zona di Tarascona. Forse di famiglia catara. Bernardone la conobbe in uno dei suoi viaggi come mercante di stoffe in Provenza. Ma no, per Rapanelli deve essere per forza originaria dell’inesistente Francia picena, visto che il soprannome è Pica…A confronto della setta carnevalesca, Scientology è un’allegra ed innocua associazione di boy scout. Non parlo poi del seguito del suo commento, che è una sequela di baggianate, un trita ripetizione pappagallesca dei deliri di don Carnevale (rip)
Jeanne de Bourlemont
Oltre a trovare molto condivisibile la ricostruzione storica del buon Sauro Micucci, credo che ci sono altri indizi etimologici e geografici che possono far pensare ad una Aquisgrana a San Claudio o comunque molto vicino a Trodica.
Il primo è senz’altro la parola Aquisgrana, da sempre da noi in dialetto si usa la frase “sto tutolo non se (Aqui)sgrana”.
Il secondo è nei nomi stessi dei protagonisti, il verbo Magno e la parte anatomica Pipino da sempre si nominano nel nostro territorio.
La parola Pica nel nostro dialetto esiste indica ad esempio la gazza, l’uccello a volte ladro.
Se esiste la Svizzera a Passo di Treia poteva benissimo esistere la Francia nel Piceno.
Se esiste il porto a Pignà a maggior ragione poteva esistere un porticciolo a Civitanova (picena).
Tutti questi indizi, insieme, potrebbero benissimo essere una prova.
Ovviamente però l’ultima parola la lascio agli esperti e ai loro convegni.
Dedicato da me al Signor AUGUSTO ANDREOLI da parte del Comune di BELMONTE PICENO, nel cui sito è scritto testualmente:
“Un fulmine a ciel sereno… Una rivoluzione copernicana… Un terremoto nella storia… Una notizia che, se fosse vera, sradicherebbe un assetto preordinato da secoli…”
“LA MADRE DI SAN FRANCESCO D’ASSISI ERA DI BELMONTE PICENO”
“La notizia è molto intrigante, specialmente per chi, come la scrivente, è nato in quel paese, per il quale sarebbe un grande orgoglio poter annoverare anche questo tra le glorie del suo passato, come l’essere stata una capitale dei Piceni, l’aver dato i natali a Silvestro Baglioni, uno scienziato di fama internazionale o un luogo in cui Coppi e Bartali erano di casa…
Sarebbe veramente un bel sogno!
Ma onestamente poniamoci qualche interrogativo che viene spontaneo: come è possibile quanto affermato sopra, se è risaputo che la mamma di San Francesco era francese?
E’ vero, ma non della Francia come è adesso che ancora non esisteva, nemmeno come nome; c’era invece una Francia Picena nel sud delle Marche che aveva accolto molti profughi del popolo dei Franchi.
Alcuni storici poi sostengono che monna Giovanna la Pica (notare la stessa radice di “piceno”) avesse per soprannome Beau Mont, cioè la francesizzazione di Bel Monte, paese che si chiamava così fin dall’ottocento, la cosa metterebbe un altro tassello alla valorizzazione dell’ipotesi.”
“Ma non è finita.”
“Si dice anche che suo marito e padre di Francesco, Pietro di Bernardone dei Moriconi, potrebbe essere stato un abitante di Monsanpietro Morico, un paese confinante con Belmonte.
I due personaggi poi, per i commerci di Bernardone, mercante intraprendente, potrebbero essersi trasferiti ad Assisi, dove è nato il loro figlio Giovanni Moriconi, vero nome di San Francesco… O no?”
“Dato che siamo nel campo delle ipotesi, proviamo ad allargare il discorso e fare delle considerazioni a dir poco… Azzardate…
Se quanto sopra questo fosse possibile, monna Giovanna potrebbe aver avuto dei parenti a Belmonte, che so… Genitori, fratelli, nipoti… E da Assisi sia tornata qualche volta a trovarli, magari con il piccolo Francesco, per farlo incontrare con i nonni, gli zii, i cugini…
Pensare che il più grande e il più venerato santo della cristianità, o almeno sua madre che ci sia nata o che ci abbia soltanto abitato, possa aver calcato la terra di Belmonte, suscita una grandissima emozione e fa sentire privilegiati non solo i belmontesi, ma tutti i marchigiani orgogliosi di condividere con San Francesco la terra di origine.”
“Isabella Cappella”
Ciò che noto è che voi sostenitori dei Tedeschi avreste dovuto contestare il Prof. Giovanni Carnevale quando era in vita scrivendo libri in opposizione alle sue tesi. Non lo avete fatto…
Avete organizzato un convegno a cui l’Amministrazione Comunale di Montecosaro ha dato il suo patrocinio (e magari pure soldi pubblici, su cui l’opposizione consigliare dovrebbe indagare) per tentare di distruggere le tesi del prof. Carnevale, facendo intervenire degli “esperti” germanici, che non hanno minimamente intaccato le tesi del prof. Carnevale: hanno “toppato” ribadendo semplicemente con le vecchie opinioni ideologico-politiche tedesche. E il Centro Studi Storici Maceratesi ha “toppato” con essi.
Pensavate che con la morte del prof. Carnevale tutto sarebbe ritornato con gli inganni di prima? Così non è stato, in quanto il prof. Carnevale aveva convinto un certo numero di persone, anche straniere, o conosciute nell’ambiente della Cultura (quella onesta), della concretezza delle sue tesi.
Infatti, quando la nostra Elisabeth de Moreau d’Andoy ha posto alla dott. Hildegard Sahler domande sulle cappelle di Germigny-des-Prés in Francia e di Hereford in Inghilterra, la Sahler ha dimostrato platealmente di essere in difficoltà, come è dimostrato dalle sequenze del filmato da me posto su YouTube. Al punto che “qualcuno” mi ha fatto togliere dal filmato alcuni secondi – forse compromettenti – dal parlato della Sahler.
E Andreoli, per dare enfasi alla sua denigrazione nei nostri confronti, tira in ballo pure Scientology con una affermazione che conoscendo personalmente il sevizio legale della Chiesa di Scientology mai avrei esternato in forma scritta. Infatti scrive: “A confronto della setta carnevalesca, Scientology è un’allegra ed innocua associazione di boy scout.”
Lei definisce “tesi strampalate di don Carnevale” e “deliri di don Carnevale”… Spero che queste valutazioni le abbia dette durante le conferenze dibattito che don Carnevale teneva periodicamente quando era in vita. Ha contestano pubblicamente don Carnevale quando era in vita nei dibattiti, o con scritti pubblicati?
Il dott. Medardo Arduino, che in un suo scritto pubblico ha pure lui ipotizzato che la Pica fosse di Belmonte Piceno, nel suo ultimo notevole libro “IL PICENO Storia e Cultura”, nel quale riconosce al popolo Piceno la sua competenza nel campo della fabbricazione delle armi in acciaio, esportate perfino nel nord dell’Europa, oltre ad essere un grande civiltà, nella dediche scrive: “Al ricordo del prof. don Giovanni Carnevale, scopritore della Francia Picena e suo indomito difensore”.
Già il titolo che parlava di X-XII secolo faceva capire che ci sarebbero stati interventi di alto livello; è stato un convegno molto interessante e, non a caso, il teatro è stato pieno per tutto il tempo.
Ho trovato molto interessante la ricostruzione del progressivo passaggio delle nostre terre dall’influenza benedettina/cluniacense di Farfa a quella dei cistercensi.
Aspetterò con ansia gli atti del Convegno per recuperare gli interventi di domenica che non ho potuto seguire dal vivo.
Il convegno del Centro Studi Storici Maceratesi è stato molto partecipato, qualificato e importante, come e forse più, del resto, dei 57 convegni annuali che l’hanno preceduto, con la relativa mole di volumi di atti fin qui pubblicati. La storia si fa sulle fonti, non c’è altro modo; cioè cercando e studiando documenti (di carta e non solo) su cui basare ipotesi e certezze, e ovviamente citando quelle fonti così che ognuno possa verificarle e semmai implementarle e reinterpretarle. Da 58 anni il Centro Studi Storici Maceratesi garantisce questo metodo storico e offre sedi qualificate di confronto, e il 58° Convegno dei giorni scorsi si è basato su relazioni di storici di serietà e professionalità riconosciute a livello nazionale e internazionale. La generosa ipotesi “carolingia” su San Claudio al Chienti – decisamente intrigante per noi maceratesi – si basa per ora solo su congetture e ricostruzioni che prendono spunto da alcuni indizi, tanto interessanti quanto labili. Indubbiamente c’è ancora da indagare su un periodo storico e su presenze architettoniche su cui le fonti sono scarse, soprattutto quelle riguardanti il nostro territorio. Il Centro Studi ha dato conto della lettura storica più aggiornata e accreditata dalla comunità degli studiosi che si occupano di questo nelle Università. Altri possono ovviamente dare conto di altri studi e altre fonti, e la comunità degli storici non potrà che confrontarvisi ove abbiano basi solide. L’importante è restare dentro un confronto scientifico e corretto. Le accuse (o perfino gli insulti), le tifoserie, le invettive, le ipotesi che diventano verità assolute, è interesse comune lasciarle da parte.
La Nouvelle chansons de geste e sua altezza imperiale Lisa de Moró d’Andò a Monteco’e del suo paladino preferito.
(a tra poco qui)
La Nouvelle chanson de geste, cap.1
Il paladino George de Ravanel è appena entrato nella sala consiliare di Montecosaro e ha sguainato la spada contro il sindaco. Sig. De Ravanel, perché sta cercando la guerra?
https://beforechartres.blog/2020/08/13/san-claudio-soffocata-dai-suoi-amici/?fbclid=IwAR3Nke-aiTRiSb6W40hBlOa6Rls0tdYnsydWaP13ZMISIzQk6sogYHtJ5PE
Al signor Giorgio Rapanelli consiglierei di non addentrarsi ulteriormente nella questione, perché le pezze che mette sono peggio del buco. Lasciando da parte il fatto che Bourlemont ha poco a che vedere con Beau Mont, lo sa il suddetto che di località che si chiamano Belmonte ce ne sono diverse in Italia ? Che di città francesi che si chiamano Beaumont ne esistono svariate sul territorio d’Oltralpe ? Che c’è una Beaumont anche nel Regno Unito ? Che l’antica famiglia dei nobili Beaumont era di origine normanna e da lì si spostò oltremanica nel XI secolo ? In quanto a miei precedenti interventi in risposta alle perentorie affermazioni di don Carnevale e di altri, ce ne sono molte in rete, in cui argomentando e citando fonti storiche coeve (latine e non tedesche) dimostravo, qualora ce ne fosse stato bisogno, che tutta la vicenda della corte carolingia si era svolta nel triangolo attuale Francia del nord/Belgio/Renania. Metto solo il link ad un articolo ospitato da Cronache Maceratesi dove alcuni assiomi che don Carnevale poneva come risolutivi per il suo stravolgimento storico venivano puntualmente smentiti. https://www.cronachemaceratesi.it/2010/7/28/aquisgrana-a-san-claudio-troppe-cose-non-quadrano/37209/
Desidero tranquillizzare Giorgio Rapanelli: il Convegno di Studi Storici Maceratesi svoltosi a Montecosaro non è stato organizzato per “smentire” alcunché; ha affrontato da diverse angolazioni un tema, un periodo storico, rispettando rigorosamente le fonti come va fatto per ogni discorso che voglia dirsi “storico”. Se poi qualcuno ne ha tratto la sensazione che con ciò venissero smentite le sue credenze, è un problema suo e non certo del Centro Studi Storici Maceratesi, che ha ancora una volta onorato nel modo migliore il suo statuto e il suo servizio culturale al nostro territorio. Altro che “toppato”!
Si tranquillizzi anche per la Sahler: non è stata affatto in difficoltà nel rispondere alla domanda di quella signora; ha voluto dare una risposta educata, oltre che esaustiva, ad una domanda che per il contenuto e per il tono rischiava di non meritarla.
Insinuare poi che il prof Hartmann sia stato e sia avaro di documenti o opportunista nell’uso delle fonti è quantomeno temerario.
Ma non può che fare piacere il fatto che Rapanelli aspetti la pubblicazione degli atti del Convegno, anche se può suscitare qualche perplessità (o qualche ilarità) il fatto che dica di aspettarla per èrgere la sua “opinione” a giudizio ultimo e supremo.
La Storia non si fa con le ipotesi suggestive, né con le aspirazioni campanilistiche, né con la pretesa di selezionare le fonti che fanno comodo o interpretarle in modo strumentale.
Per esempio, avrei molti più dubbi di Rapanelli sul fatto che “la Francia di cui tutti hanno parlato al convegno all’epoca di Carlo Magno si chiamava ancora Gallia”; ma non è documentato un Regnum Francorum già dal V secolo? E di cos’altro parlano i Decem libri historiarum di Gregorio di Tours?
Avrei anche molti dubbi, sempre per fare un esempio, sulla “Francia Picena da cui proveniva Pica”: Pica Bourlemont? Ma davvero basta l’assonanza con Belmonte (Piceno) per dirla “picena”?
No, la Storia è un’altra cosa.
E se la “verità su Carlo Magno” è quella di Don Giovanni Carnevale, come dice Giorgio Rapanelli, mi sia consentito di dire la mia verità su Don Giovanni Carnevale. L’ho conosciuto e frequentato dal 1962. L’ho stimato e ne ho un ottimo e carissimo ricordo: integerrimo sacerdote, bravo professore, efficace divulgatore, brillante comunicatore. Ma non offendo la sua memoria se dico che non era uno storico. No, non lo era né per formazione né per struttura mentale. Abbia fiducia Rapanelli: non l’ho contestato in pubblico ma ci ho parlato in privato con molta franchezza.
E la “contestazione” più seria di certe teorie non va certo cercata nelle polemichette da cortile: bastano gli studi degli storici veri, quelli basati su fonti autentiche e integrali e su rigorosi riscontri.
San Claudio al Chienti è bella e importante così com’è e come l’ha ben descritta e contestualizzata nel Convegno Hildegard Sahler. Non ha alcun bisogno di fingersi un’altra cosa. Così come al Piceno basta la propria storia, senza commistioni con le storie e i personaggi di altre terre.
Sono stupito dalle polemiche sul convegno di Montecosaro. Un convegno di altissimo livello. Non bisogna dimenticare la presenza e il contributo di un grande storico come il Prof. Tommaso di Carpegna Falconieri che ha chiarito che cosa s’intendeva, all’epoca, per Francia. Una delle ultime volte che ho visitato San Claudio ho trovato, persino, un depliant con una foto di un tipico mulino del 1800 dove vi era scritto che era quello di Carlo Magno. La storia, purtroppo, è una cosa maledettamente seria. Se ci si innamora di una tesi, poi, si cercano tutti gli indizi che la possano confermare; è un classico processo mentale estremamente pericoloso e la funzione degli storici, preferibilmente dell’accademia, è proprio quello di fare il percorso opposto. Cosa ci azzecca San Francesco e sua madre con Carlo Magno? o la insignificante coincidenza di qualche nome? Ho partecipato da spettatore al convegno di Montecosaro e sono stato molto colpito della maleducazione di un soggetto, che con atteggiamento aggressivo, si è rivolto alla bravissima relatrice Hildegard Sahaler. La Sahaler ha risposto con educazione da studiosa e ricercatrice e non da “innamorata” delle proprie tesi e ciò è un grande pregio per chi si confronta con la storia. Una delle osservazioni mosse alla Sahaler è per un capitello presso una chiesa di Sassoferrato che rappresenterebbe Carlo Martello e ciò sarebbe una prova a sostegno della tesi che Aquisgrana fosse nelle Marche. Mi faccio una domanda: tutte le volte che vediamo capitelli o colonne romane nei templi cristiani vogliano retrodatare l’affermazione del cristianesimo al tempo della morte di Gesù? A parte le battute mi preme sottolinare che l’innamoramento ad una tesi è estremamente pericoloso; anche oggi, purtroppo, accadono questi abbagli basti pensare alla nostra storia recentissima. Si afferma che Gino Bartali ha salvato molti ebrei tanto che il suo nome compare tra “i giusti” (in verità in un primo momento il museo della Shoah a Gerusalemme aveva respinto la richiesta); sono stati scritti libri e fatto, persino, un film. Se il materiale circa Gino Bartali lo diamo in mano a degli storici questi ci rispondono che non vi è nessuna prova o documento che confermino i fatti, anzi ci dicono che il mito di Bartali, salvatore di ebrei, nasce da un romanzo degli anni ’60 scritto da un americano.
Chapeau al commento di Nazzareno Gaspari! Credo che sia giunto il momento – ed il Convegno di Montecosaro ne è stata un’ottima occasione – di relegare questa favola di un’Aquisgrana in Val di Chienti nella lista delle strampalate teorie che ogni tanto fanno capolino in quest’epoca di revisionismo storico. Direi anche che sarebbe il caso di restituire alla chiesa di San Claudio la dignità che merita, ripulendola dal vergognoso mercato che se ne sta facendo. Via la lapide che parla di un Carlomagno sepolto sotto la pavimentazione (e di cui non c’è la benché minima prova), via la bancarella di libri e quella ridicola immagine cartonata dell’Imperatore sulle scale che portano alla chiesa superiore. Come diceva il grande Totò “ogni limite ha una pazienza”. Ridiamo dignità alla storia del territorio che, come giustamente sottolinea Gaspari,non merita e non ha bisogno delle ridicole e avvilenti incursioni dei Carolingi piceni.
Grande partecipazione di pubblico, come mai negli ultimi anni, per quello che è stato uno tra gli eventi culturali di maggior spessore mai visti nel nostro comune. Studiosi e scienziati di primo piano che hanno relazionato su temi di grande interesse, dimostrando con prove inconfutabili i loro studi.
Organizzazione impeccabile da parte del Centro Studi Storici Maceratesi rappresentato dal prof. Alberto Meriggi. Fondamentale è stato il contributo del Comune di Montecosaro nella persona del sindaco Prof. Reano Malaisi, sempre sensibile e attivo nel sostenere iniziative di spessore perché, come ricordato anche dal nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, «Ogni investimento nella cultura è un investimento ben speso anche ai fini della crescita del nostro Paese», ed è forse su questo principio che maggioranze ed opposizioni si trovano spesso d’accordo. Lasciamo invece le sterili polemiche, le provocazioni, la maleducazione, l’arroganza e la critica infondata fine solo a sé stessa, a chi ha la presunzione di stravolgere la storia con stravaganti interpretazioni e tesi insostenibili per scopi editoriali e turistici. Un doveroso ringraziamento ai relatori, a quanti hanno contribuito alla buona riuscita dell’evento e ai tanti intervenuti.
Purtroppo non mi è stato possibile essere presente di persona al Convegno di Montecosaro, ma la sua organizzazione meticolosa e la sua riuscita sono evidenti anche in controluce, attraverso le reiterate baldanzose litanie dei ferventi sostenitori della nota teoria “Aquisgrana = San Claudio”.
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Ho visto un video, qui citato in modo inutilmente astioso, dove la Sahler durante il Convegno risponde pacatamente a una delle solite questioni care ai Valdichientisti. Non so in cosa sia stato “purgato” il video (mi par di capire che sia stato tagliato un commento poco appropriato venuto dalla platea), ma la studiosa non si è affatto confusa. Ha ribadito un concetto già acquisito da decenni dalla storiografia: quando nei documenti medievali si parla di “copia” di un edificio, non ci si può e non ci si deve aspettare una riproposizione meticolosa del modello. Ogni “copia” del Santo Sepolcro edificata in Europa sin dal sec. X ha delle somiglianze assai risicate (se non quasi nulle) con l’Anastasis di Gerusalemme. Allo stesso modo, le varie “copie” di Aquisgrana non possono essere intese come dei “cloni” dell’edificio voluto da Carlo Magno. Non voler capire questi concetti equivale a precludersi ogni conoscenza elementare del Medioevo. Ignorare questi concetti, inalberando verità preconcette, non serve a nulla.
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https://youtu.be/LaJWrR0mreU?feature=shared
La nobilissima sig.ra di cui appena sopra ha insultato volgarmente(” la sua risposta mi fa schifo!”) la Dott.ssa Hildegard Sahler (funzionaria dei Beni Culturali della Baviera) e il Prof.Tommaso di Carpegna Falconieri (cattedra di Storia Medievale c/o Università di Urbino). Per caso la nobilissima sedicente discendente diretta di Carlo Magno è uscita di testa?
Il convegno di Montecosaro ha la registrazione audio di tutte le relazioni e di tutti gli interventi/domande dal pubblico.
Accà nisciun(e) è fess(e)!!!!