Ast, Mirella Franco attacca Daniela Corsi:
«Non aveva i titoli per fare la direttrice,
gli atti che ha firmato sono legittimi?»

CIVITANOVA - L'ex segretaria comunale del Pd ed ora esponente della civica Squadroni: «Venne scelta nel 2020 tramite un avviso pubblico, questo nonostante ci fosse pronta una terna che era stata indicata dall’allora direttrice dell’Asur Marche, con che logica venne fatto?». E ricorda quanto accadutole nell'azienda sanitaria: «Demansionata a pochi mesi dal pensionamento e trasferita a chilometri di distanza dalla mia sede abituale»

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Mirella Franco

di Luca Patrassi

In attesa che prima o poi la Regione nomini il nuovo/a dirigente della Ast Macerata, c’è un intervento che propone alcune riflessioni a margine della vicenda che ha portato alla nomina di Daniela Corsi alla guida dell’azienda sanitaria pubblica  e alla recente sentenza del Tribunale di Roma: a firmarlo è Mirella Franco, logopedista in pensione della Ast e da tempo protagonista della vita politica civitanovese, prima come responsabile del circolo dem e poi nella lista civica di Paolo Squadroni.

«Si viene a sapere – osserva preliminarmente Mirella Franco – che la nomina di Daniela Corsi verrà presto revocata, dopo la recente sentenza del Tribunale di Roma al ricorso della dirigente. Niente da fare per la dottoressa Corsi: la sentenza sancisce che non ha i titoli per svolgere le funzioni di direttore generale di Area Vasta e convalida in tal modo la decisione presa a suo tempo dalla Commissione ministeriale di escluderla dall’elenco nazionale degli idonei a ricoprire il ruolo di direttore generale di aziende sanitarie pubbliche. In sintesi, non avendo i requisiti fondamentali, quel ruolo non lo può ricoprire, Punto. Resta il rimpianto per un paio di atti importantissimi, a dire della Corsi, giacenti sulla sua scrivania, che ora rischiano di finire nel macero: peccato».

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Daniela Corsi

Mirella Franco ricostruisce la questione e formula i primi interrogativi: «Ricordiamo che la prima nomina della Corsi, nel dicembre 2020, non avvenne scegliendo il suo nome dalla terna indicata solo qualche mese prima dalla Direttrice dell’allora Asur Marche, Nadia Storti, ma sulla base di una selezione attuata tramite un avviso pubblico dal titolo “Avviso pubblico in relazione al comma 3 articolo 10 della legge regionale 13 del 2003”. Come si spiega la scelta di indire un avviso pubblico che avrebbe prolungato i tempi per la nomina, anziché attingere da una lista già pronta di nominativi? Nell’avviso pubblico erano richiesti i requisiti necessari per rivestire il ruolo di direttore generale di un’azienda sanitaria pubblica, che la dottoressa Corsi evidentemente non possiede? Come mai nessuno aveva fatto ricorso?». Non solo domande legate alla nomina: «Se dunque la dottoressa Corsi ha rivestito, dal 2020 ad oggi, una funzione gestionale strategica per il Servizio Sanitario come la direzione generale di un’Area Vasta, senza averne i requisiti, sono legittimi gli atti scaturiti durante il suo mandato e da lei firmati?».

Dagli aspetti generali ai riflessi locali e personali. Mirella Franco osserva: «Inoltre, non avendo la dottoressa Corsi i requisiti fondamentali, per quel complicato ruolo, tanto delicato in periodo di pandemia da far dimettere il predecessore Alessandro Maccioni perché “l’emergenza e stata tosta … so che e un’esperienza che l’ha provato” (da una dichiarazione dell’allora presidente di Regione Luca Ceriscioli pubblicata da Cronache Maceratesi il 27 luglio 2020) era lei in grado di valutare adeguatamente le complicate decisioni che doveva assumere e le relative conseguenze? Nel decidere, ad esempio, quale personale sanitario demansionare o sospendere, applicando solertemente quanto il decreto Speranza, poi convertito in legge, richiedeva, aveva la dottoressa ben chiaro quali sarebbero state le conseguenze drammatiche sull’organizzazione del Sistema Sanitario da lei diretto, già carente di personale, in una situazione oltretutto di piena pandemia? Mi risulta – secondo il punto di vista di Franco – che alcuni sanitari esonerati non siano stati spostati nemmeno per un giorno dalla propria sede e mansione, mentre altri sì, e di corsa, come ad esempio nel mio caso, che già nella prima tranche, a due mesi e mezzo dal pensionamento, sono stata dirottata ad altre mansioni, a chilometri dalla mia sede abituale, costretta a sospendere dall’oggi al domani i miei pazienti in trattamento (poco male perché gli stessi avranno certamente trovato tempestivamente una risposta adeguata ai loro bisogni), mi é stato impedito di accedere alla mia stanza anche per prelevare i miei effetti personali, lasciati in balia di chicchessia, e, soprattutto mi é stato impedito di fare il naturale passaggio di consegne con tutte le conseguenze per l’organizzazione della Unita Operativa cui appartenevo. Dulcis in fundo, mi é stato omaggiato il Covid, a 10 giorni dal mio pensionamento, costretti ad usare gli stessi apparecchi telefonici tra un turno ed un altro, con il risultato che, su 6 operatori demansionati, in quella sede, prendemmo il Covid in 4, nonostante le mascherine e le cornette da noi “ammuchinizzate” a dovere».

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