Dante Ferretti al centro tra il rettore John Mc Court e la prof Laura Melosi
di Luca Patrassi (foto di Fabio Falcioni)
L’accoglienza ricevuta da Macerata è come quella dell’Academy per gli Oscar? La risposta del maestro Dante Ferretti – che di Oscar per la migliore scenografia ne ha vinti tre- non sembra lasciare dubbi: «Migliore, molto ma molto migliore» dice lo scenografo maceratese di fronte a una selva di microfoni appena arrivato oggi pomeriggio in piazza Vittorio Veneto per la cerimonia di Unimc che si è svolta nella nuova Cattedrale di San Giovanni (leggi l’articolo).
C’è chi vuole sincerarsi del tono della risposta, scherzosa o meno, e gli chiede se siano finiti i tempi della tensione. «Io – osserva Ferretti – non devo fare alcuna pace con la città di Macerata, semplicemente perchè non ho mai dichiarato una guerra». Dante Ferretti, nella sua Macerata, con i suoi affetti maceratesi, ricorda gli inizi, la partenza: «Ricordo quando chiesi a mio padre se potevo andare a studiare a Roma all’Accademia di Belle Arti per fare lo scenografo, lui era buono e si limitò a dirmi che avrei potuto farlo se almeno una volta fossi stato promosso a giugno, non ho mai studiato così tanto come allora, fui promosso ed iniziò la mia storia».
Oggi Dante Ferretti è tornato nella sua città in veste professionale, invitato dal rettore John Mc Court e da Unimc per il conferimento del dottorato di ricerca honoris causa. La prof Laura Melosi, direttrice della Scuola di dottorato di Ateneo, ha svolto la laudatio in occasione del conferimento del titolo di dottore di ricerca honoris causa in Umanesimo e Tecnologie: «La confidenza di Ferretti con cineasti visionari come Pier Paolo Pasolini, Elio Petri, Marco Ferreri, Federico Fellini, Terry Gilliam, Martin Scorsese, Franco Zeffirelli, Anthony Minghella, Tim Burton, nasce dalla piena consapevolezza e condivisione della concretezza di ciò che appare impensabile. Riguardo alle applicazioni tecniche, Ferretti ha dichiarato di usare esclusivamente materiali veri, legno, vetro, mattoni, cemento, perché «l’emozione e la sensazione sono più forti, a volte inquietanti, se una forma di fantasia è realizzata come una costruzione reale».
Questo fa sì che lo spazio fantasmatico proiettato sullo schermo da un lato si mantenga sempre lontano dal senso comune e dall’altro ingeneri una grandiosa, stridente, incommensurabile percezione dello spessore e della concretezza. In ciò risiede il segreto della bottega Ferretti, guidata da un maestro nell’accezione antica del termine, rinascimentale per il rigore, barocca per l’inventiva, romantica per l’afflato sentimentale: un artefice d’altri tempi, a suo agio con i maestri della storia del cinema. Nessun complesso di inferiorità, nessuna competizione, soltanto un dialogo tra pari che cooperano per il raggiungimento di un risultato comune, da ammirare con incredulità, ma anche con inequivocabile cognizione dei volumi, dei colori, delle proporzioni, dei congegni, della meccanica ad orologeria. E il lavoro di Ferretti assume una particolare rilevanza sul piano dell’evoluzione del linguaggio e della tecnica cinematografica poiché traghetta il cinema d’autore da una concezione del décor, inteso come grande costrutto artigianale, a una combinazione di quella sapienza con la rivoluzione tecnologica digitale, permettendo così all’opera d’arte finale di non perdere la sua aura di unicità, tangibilità e fisicità nello spazio. Di questa sapienza, di questa sensibilità gli sono particolarmente grati gli attori, che si ritrovano immersi in atmosfere che consentono loro di immedesimarsi ed esprimersi al meglio».
Parole e segni, come la consegna da parte del rettore McCourt al maestro Ferretti del sigillo di Ateneo. In chiesa, Ferretti non fa discorsi, la cerimonia prevede una intervista e lo scenografo maceratese ha risposto alle domande del prof Anton Giulio Mancino ricordando i trascorsi maceratesi e gli inizi professionali partendo da Fellini: «Diceva al capo scenografo “ho bisogno di un colore beige, voglio fare una scena beige.. questo no, no, no”. A un certo punto io ho trovato a terra un pezzo di cartone e gli ho detto “questo va bene?”. Ecco questo va bene, ma tu chi sei? mi ha detto Fellini e io di rimando ma come chi sono, sono tre mesi che sto a lavora’. Alla fine non mi ha messo nemmeno il nome come aiuto scenografo».
Dante Ferretti risponde alle domande del prof Anton Giulio Mancino
Ferretti ha anche ricordato i suoi anni maceratesi, la frequentazione da chierichetto della chiesa di San Giovanni, un vicolo del centro storico rimasto celebre per aver ospitato una “casa chiusa”. «Macerata è sempre nella mia mente, quando sogno ripercorro i vicoli, le strade, le piazze che percorrevo da giovane» ed alla fine la battuta: «Come sempre, so sempre iniziare ma mai come chiudere, che devo dire, andiamo tutti a mangiare Da Rosa», infine scherzando rivolto al sindaco Sandro Parcaroli: «Inutile che ti togli la fascia, ti riconosco lo stesso».
David Miliozzi seduto al fianco di Dante Ferretti
Dante Ferretti ieri sera è stato ospite di Fabio Fazio a “Che tempo che fa”, presentazione del libro “Immaginare… prima”, a cura di David Miliozzi, appena pubblicato che ripercorre la sua sua carriera e la sua vita partendo da un episodio chiave che – come detto dallo scenografo, ha segnato il lato umano e quello professionale. Il bombardamento di Macerata, una pagina tragica nella storia cittadina e chiave di volta di un’idea scenica che ha portato Ferretti a vincere un Oscar per The Aviator di Martin Scorsese.
Fabio Fazio parte da quelle immagini , Ferretti cavalca l’onda, anche emotiva, dei ricordi: «Sono nato a Macerata nel 1943, il giorno del bombardamento avevo un anno e mezzo, ero in casa con la mamma e una sorella, mio padre era nella bottega artigiana che allora era vicina casa nella zona di corso Cairoli. Gli aerei erano arrivati con l’obiettivo di colpire la vicina caserma, ma hanno sbagliato i calcoli e colpito le case, anche casa mia. Appena sentite le bombe, mio padre è corso verso casa e nel tragitto è stato colpito, ed ha perso una gamba. Mamma e mia sorella sono scappate subito, io sono rimasto sotto le macerie per un giorno e mezzo. Mi ha salvato un mobile che aveva costruito mio padre e che si era incastrato tra la camera e le scale e mi ha protetto. In questo senso mi ha salvato mio padre, poi quando mi hanno proposto quel film è stato come se lo avessi tutto già in mente, lo avevo ben chiaro anche se di quell’episodio non ricordo direttamente nulla, l’ho sempre sentito raccontare dai miei».
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C’è tanto da renderci orgogliosi e spero che si faccia proprio il museo con le sue opere.
DANTE FERRETTI sta’ portando orgogliosamente MACERATA nel MONDO.
Chissà se a Ferretti,in quell’ambiente che non capisco perché sia stato scelto ecc. ecc. guardandosi intorno si è ritrovato in un oramai lontano passato quando fu sua la scenografia del film che più di ogni altro dà dei fascisti l’immagine più reale che Pasolini di loro poteva dare. Quattro Signori, rappresentanti dei poteri della Repubblica Sociale Italiana, il Duca (potere di casta), il Vescovo (potere ecclesiastico), il Presidente della Corte d’Appello (potere giudiziario), e il Presidente della Banca Centrale (potere economico) si riuniscono a Salò per manifestarsi nella loro ” magnificenza”. Il film” Le 120 giornate di Salò” usci dopo tre mesi dalla morte del regista e adesso non so se immaginarlo come un testamento spirituale visto che doveva far parte di una triologia ma certo lascia una immagine indelebile su chi lo ha ammazzato condividendo lo stesso pensiero politico dei carnefici interpretati nel film.
Chissà Mariella quanto sarebbe stata contenta di poterci essere, ieri… ma sono sicuro che c’era lo stesso, dall’alto. Giustamente orgogliosa del fratello che amava così tanto.