Scappa dall’Ucraina al nono mese
e partorisce a Civitanova:
Davide figlio di speranza e coraggio

GUERRA - La storia di Iryna Ruban, 28 anni che alla 38esima settimana di gravidanza ha attraversato da sola l'Europa per raggiungere la cognata a Porto Sant'Elpidio, dopo che l'ospedale di Zhytomyr era stato bombardato. E ieri ha dato alla luce il suo bimbo: «Non so cosa gli racconterò di tutto questo quando sarà grande, sicuramente gli dirò del bene che ho ricevuto e di come l'Italia mi ha aiutata a salvare le nostre vite»

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Nella foto da sinistra la dottoressa Silvia Battistoni, l’ostetrica Selenia Traini, Iryna Ruban, Fabiola Mannetta ed Elisa Catania e la dottoressa Elisabetta Garbati

di Laura Boccanera

E’ nato il giorno prima del compleanno della sua mamma, dopo aver percorso oltre 2000 chilometri, più di 20 ore di viaggio e attraversato cinque Stati. Il piccolo Davide è il figlio della speranza di una nazione e del coraggio della sua mamma, Iryna Ruban, 28 anni, che una settimana fa, alla 38esima settimana di gravidanza ha attraversato da sola l’Europa per raggiungere la cognata a Porto Sant’Elpidio.

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Iryna Ruban

Ieri ha partorito il suo piccino all’ospedale di Civitanova, con ancora negli occhi il bombardamento ad un altro ospedale, quello dove aveva immaginato di dare alla luce il suo piccolo, nella città di Zhytomyr non lontano da Kiev, Ucraina. La donna è stata accolta dal personale superando velocemente le difficoltà e le procedure burocratiche e ieri con parto cesareo ha dato alla luce il piccolo Davide. Sia la mamma che il bambino stanno bene. Davide è il primo parto avvenuto in provincia di una profuga ucraina.

La loro storia comincia quando allo scoppio della guerra sia la mamma che il papà si trovano in Ucraina. Inizialmente non vogliono lasciare la propria terra, ma poi il bombardamento dell’ospedale rende incerto quel futuro che i due neo genitori immaginavano costellato solo di gioia per la nascita del loro primo figlio. E così il papà non ci pensa due volte e decide di mandare Iryna, seppur incinta al nono mese, oltre il confine, in Polonia, per farle raggiungere Porto Sant’Elpidio dove vive sua sorella Iryna Ymelina. Con l’Italia anche loro hanno un rapporto speciale: sono infatti bimbi di Chernobyl, e per anni da piccoli entrambi hanno vissuto da Maria Teresa Tombolini: «E’ la mia mamma italiana», dice oggi Iryna che ci aiuta a raccontare la storia di sua cognata che dall’ospedale non parla italiano ed è ancora provata dal lungo viaggio. «Mia cognata è arrivata in Italia domenica scorsa – spiega – mio fratello le ha fatto attraversare il confine con la Polonia e poi è tornato indietro, è volontario e aiuti i soccorsi e l’approvvigionamento di merce dall’Occidente. Iryna è scappata da sola col pancione, è arrivata in Polonia, è passata per la Germania e volevamo farle prendere un aereo, ma nelle sue condizioni la compagnia aerea non le ha permesso il volo. E così ha dovuto prendere un pullman ed è arrivata fino a Milano. Da qui poi ha raggiunto Porto Sant’Elpidio. Viste le sue condizioni subito ho parlato con la mia ginecologa Patrizia Offidani affinché si attivasse per permetterle di partorire in sicurezza».

La giovane mamma infatti aveva anche particolari condizioni cliniche di criticità che il calvario vissuto ha acuito. Subito però è stata presa in carico dal consultorio consentendo ai medici e alle ostetriche del reparto di ginecologia e ostetricia di Civitanova di prenderla in carico. Fondamentale è stato anche Bogdan, infermiere ucraino dell’ematologia che ha tradotto la cartella clinica consentendo una completa conoscenza della paziente. E ieri con un cesareo alla 39esima settimana è nato il piccolo Davide. Nell’equipe il dottor Claudio Ban, Silvia Battistoni, l’ostetrica Elena Pecora e l’anestesista Silvia Tacconi. Aiutati nella traduzione dalla cognata la giovane mamma ha solo parole di ringraziamento. Ad averla accolta infatti non è stato solo il sistema sanitario e i familiari, ma l’intera comunità di Cretarola di Porto Sant’Elpidio che in quattro e quattr’otto hanno raccolto tutto ciò di cui una neomamma ha bisogno per sé e per il proprio piccolo, corredino, pannolini, materiale igienico e quant’altro. Ma la giovane donna ricorda davvero tutti, perfino l’autista del Flixbus che conducendola in Italia ha chiesto ad una persona di spostarsi e di far sedere la donna davanti al suo fianco così da poter monitorare il suo stato di salute. E poi ovviamente tutto il reparto: «Partire è stato brutto – racconta tradotta dalla cognata-  ma volevo dare una possibilità al mio bambino e quando l’ospedale della mia città è stato bombardato con mio marito abbiamo preso questa decisione. Ringrazio tutta l’Italia che ci ha accolto, e il reparto, non ho mai visto un’accoglienza del genere, si sono tutti preoccupati per me e per il mio bambino». Ma lo choc è ancora vivo pur potendo tenere fra le braccia il proprio piccolo: «Non so cosa gli racconterò di tutto questo quando sarà grande, sicuramente gli dirò del bene che ho ricevuto e di come l’Italia mi ha aiutata a salvare le nostre vite».

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