L’anteprima di ieri del Flauto magico
di Maria Stefania Gelsomini
L’aria che tira in questi giorni a Macerata è un’aria lirica che più lirica non si può. La settimana del debutto del Macerata Opera Festival è arrivata, e in attesa delle prime in programma nel fine settimana, è ufficiosamente partita ieri sera, con l’anteprima del Flauto magico mozartiano riservata agli under30 (quella dell’Elisir d’amore stasera alle 21), la stagione impegnata e impregnata di #verdesperanza.
Nell’attesa, mentre ancora fervono le prove, i due registi Graham Vick e Damiano Michieletto, in compagnia dei rispettivi direttori d’orchestra, Daniel Cohen e Francesco Lanzillotta, il primo a pranzo, il secondo davanti a una coppa di gelato si concedono quattro chiacchiere con la stampa. Due incontri inediti e informali per svelare qualche dettaglio in più sul loro lavoro. Vick racconta volentieri la sua visione ma guai a svelare i dettagli, mentre i dettagli dell’Elisir di Michieletto, che non è una nuova produzione, si conoscono già. La vera curiosità è scoprire se si sia adattato facilmente ai 90 metri di palco dello Sferisterio, e pare proprio di sì.
Graham Vick
Il regista inglese vuole sorprendere il pubblico, come è abituato a fare. Questo Flauto sarà un pugno nello stomaco? «Spero di sì», risponde sorridendo il maestro, 64 anni e due occhi più azzurri del cielo dopo il passaggio dell’ultimo temporale sullo Sferisterio. Tre i significati che gli stanno a cuore: la perseveranza, il dovere di costruire un mondo migliore e il ruolo di uguaglianza della donna rispetto all’uomo nel futuro. E la sorpresa finale dell’allestimento sta proprio in questa inversione dei ruoli. Quando poi gli si chiede quanto il suo lavoro si sia adeguato al tema verdesperanza, la risposta è chiara: la speranza c’è, il verde no. La natura presente è la natura umana, il vero soggetto dell’opera. «E poi sperare solo non basta, bisogna anche fare», aggiunge. Vick si sofferma anche sul ruolo dei cento cittadini, «profondamente essenziali al tutto, il contenitore dello spettacolo» basato sulla grande energia che scaturisce dai contrasti: uomo-donna, bianco-nero, distruzione-creazione.
Una scena con i cento cittadini (foto Tabocchini)
Come un coro greco parleranno e reciteranno frasi scritte dallo stesso regista, esprimeranno commenti, pensieri, voci, proteste. La lettura del suo Flauto è una lettura politica, che sottolinea con l’evidenziatore l’uso della religione come strumento di controllo e di soppressione della donna. E intende ristabilire un equilibrio che sia anche linguistico fra luce e ombra, affinché il linguaggio stesso smetta di rafforzare, anche suo malgrado, valori sbagliati o addirittura razzisti. Perciò i cento cittadini saranno profughi, e in questo Flauto sarà rappresentata tutta la società, tutta l’umanità. Altra novità vickiana, la sostituzione della massoneria che ammanta la versione originale con l’invenzione di un nuovo culto panreligioso, ma senza una presa di posizione: assenza totale dunque dei classici simboli massonici ma presenza di tante prove iniziatiche, con un generico riferimento alle “prove dell’uomo”. E sei settimane di prove sono servite per il minuzioso lavoro creato ad hoc per Macerata, anche sotto il profilo musicale. Lo conferma Daniel Cohen, il giovane direttore israeliano (ha trentaquattro anni ma ne dimostra dieci di meno) di stanza a Berlino, allievo di Baremboim ed ex violinista.
«Per me il nostro Flauto in realtà è molto tradizionale – spiega – È vero, partendo da una versione già esistente, abbiamo cambiato la lunghezza delle frasi e le pause, ma non è un sacrilegio, perché lo abbiamo fatto seguendo la stessa intenzione di Mozart». È stato cambiato ciò che non era comunicabile al pubblico in italiano, che non era funzionale alla musica, al gesto. Mantenendo inalterata la narrazione e i punti salienti, i tagli hanno colpito laddove i dialoghi erano troppo lunghi e noiosi, sostituendoli con nuovi dialoghi della stessa lunghezza, un impegnativo lavoro di riscrittura opera dello stesso Graham Vick. Insomma un nuovo Flauto maceratese influenzato dall’acustica particolare e dal fatto di trovarsi all’aperto, in cui cambia la lingua e cambia l’orchestra, anche nel numero di elementi (sessanta), studiato apposta dopo numerose prove e sperimentazioni. «L’eco del passato è diverso – aggiunge Cohen – se l’opera viene fatta in tedesco. In italiano abbiamo creato un nuovo stile di Mozart. La mia è la stessa sfida del regista: tradurre questo nuovo stile in simbiosi con la produzione». Vick e Cohen consegnano allo Sferisterio «non una versione di Flauto magico ma una nuova opera di Mozart», conclude il direttore d’orchestra. Il regista inglese avrebbe tanto voluto che fosse unica e irripetibile, creata per Macerata e su questo palco chiusa e consegnata alla storia del teatro lirico. Ma con suo rammarico così non sarà perché, spiega lui, per poter realizzare la produzione che voleva (e quindi avere a disposizione un budget elevato) ha dovuto accettare un piccolo compromesso, cioè il cofinanziamento del teatro di Siviglia dove in novembre verrà replicata. «Ma non sarà una replica – si affretta a chiarire – lì sarà radicalmente differente».
Damiano Michieletto
Non sarà invece tanto differente dall’edizione originale che ha debuttato qualche anno fa a Palermo l’Elisir d’amore, produzione che è stata poi esportata anche in Spagna, a Valencia e a Madrid. Una platea destinata ad allargarsi ulteriormente, visto che sabato sera la prima verrà ripresa dalle telecamere di Rai 5, che la trasmetterà il 26 luglio in prima serata, mentre già domani sera andrà in onda, sempre sul canale culturale Rai, un documentario sullo Sferisterio a sostegno del festival e della città. «La scelta di fare qui questo Elisir che ha un’ambientazione festiva e all’aperto – ha spiegato il regista Damiano Michieletto – si sposa bene con le caratteristiche peculiari dello Sferisterio. Il primo giorno che ho visto la scena sul palco, sembrava che fosse molto a suo agio, a casa sua. La spiaggia è lunga, orizzontale e il palco qui è molto allungato, quindi è una scena che sta meglio qui che in altri teatri, più piccoli e al chiuso. Con lo scenografo abbiamo dovuto rilocalizzare gli spazi, riadattare le entrate e le uscite del coro e dei solisti perché fossero organiche in questo spazio, e poi rivedere il lavoro d’insieme con l’ingresso dell’orchestra, per evitare di essere dispersivi. Ma non è stato difficile». Michieletto ha trovato naturale sfruttare tutta la lunghezza del palco per raccontare la storia di una calda giornata d’estate, ricreando un ambiente che non fosse fine a se stesso e che rendesse i personaggi interessanti, vivaci, dinamici, divertenti e soprattutto concreti. Al di là delle etichette, che fossero contadini o bagnanti poco conta, ciò che conta sono le azioni teatrali dei protagonisti. Questo Elisir è un microcosmo in cui Belcore è un marinaio stereotipato che “deve” conquistare una ragazza prima di riprendere il largo. Dulcamara è un venditore di prodotti di bellezza per il corpo come se ne incontrano realmente sulla spiaggia, dove tutti si mettono in mostra in competizione per la fisicità. Adina è la classica ragazza che ama stare al centro dell’attenzione ed è la proprietaria del chiosco. Del carattere dei personaggi, oltre che delle sue scelte musicali, parla il maestro Francesco Lanzillotta che promette, in linea con l’allestimento, una direzione brillante e frizzante:
L’elisir d’amore (foto Tabocchini)
«Questa è una versione integrale di Elisir, con l’apertura dei concertati a cui tengo molto, ed è resa possibile grazie anche a un cast eccezionale. Funziona anche perché tutti i rapporti fra i personaggi sono rimasti inalterati sottolinea – come quello fra Adina e Nemorino. Adina simboleggia l’aria, l’elemento inafferrabile, e all’inizio lei è così, mentre Nemorino simboleggia l’acqua, l’elemento che supera gli ostacoli. Alla fine Adina diventa instabile e Nemorino diventa il perno intorno a cui ruotano Adina e le altre ragazze. E poi è un libretto raffinato, pieno di citazioni colte, basti pensare ai riferimenti a Paride e a Creso». Mega-lattine di energy drink a parte, questo sarà un Elisir pieno di spumante che fuoriesce dalla bottiglia, parola di direttore musicale, ma anche intriso di quel velo di malinconia che è l’asse portante di tutta l’opera. Resta da svelare, prima delle prime, come rispondono Lanzillotta e Michieletto alle osservazioni polemiche che si ripropongono puntualmente di fronte a un allestimento innovativo. Secondo Lanzillotta «parlare di tradizione o modernità non ha senso, esistono solo i registi bravi e quelli non bravi». Mentre Michieletto distingue l’aspetto commerciale dall’aspetto artistico: «tutti i teatri sono in competizione fra loro, e il business dell’opera, che è inserita in un mercato, ha bisogno di novità per sopravvivere. Però bisogna dare al pubblico la maggiore qualità musicale possibile e raccontare una storia. Per farlo ci sono tanti modi, si possono anche produrre eccessi, cose inutili o senza senso, non ci sono regole né limiti, solo risultati, e questi li stabilisce il pubblico».
Intanto dal botteghino arrivano notizie positive con numeri che sembrano migliori anche a quelli della passata stagione: domani nel corso di una conferenza stampa verranno resi noti i dati sulla vendita dei biglietti. Doppio appuntamento nel pomeriggio: alle 17,30 “Trekking fra i musei”, passeggiata fra le mostre in città; alle 18,30 l’inaugurazione del festival al Palazzo degli Studi con il testimonial 2018, l’architetto Mario Cucinella.
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