Lo scrittore Nicola Calzaretta, l’ex calciatore Fabrizio Ravanelli e i giornalisti Furio Zara e Bruno Longhi
I tanti presenti in fila per incontrare “Penna bianca”
di Leonardo Giorgi
(foto di Lucrezia Benfatto)
Sacrificio, famiglia, umiltà. Passa da queste parole la carriera sportiva di Fabrizio “Penna bianca” Ravanelli, campione d’Europa con la Juventus nel 1996. E sempre con queste parole si può descrivere il Ravanelli “uomo”, ospite nel venerdì sera del festival Overtime sull’etica sportiva. Una serata di riflessione sul passato e il presente del calcio italiano, con tanti momenti di commozione e retroscena su uno dei calciatori italiani più forti e decisivi della storia. Insieme al giornalista del Corriere dello sport, Furio Zara, e lo scrittore Nicola Calzaretta, l’ex attaccante ha incantato il numeroso pubblico accorso agli Antichi forni di Macerata con una rara dimostrazione di passione per lo sport. E proprio Macerata avrebbe potuto segnare una tappa importante della sua carriera da allenatore: «Sono stato vicino alla panchina della Maceratese a marzo e ho avuto un incontro con la presidente – rivela Penna bianca -, ma poi non si è fatto più niente».
Fabrizio Ravanelli
Una passione per lo sport, quella di Ravanelli, iniziata «fin da quando ero bambino – racconta – e andavo ad allenarmi a Perugia facendo l’autostop e portandomi un panino. Era dura, ma lo spirito di sacrificio mi ha dato umiltà e mi ha permesso di togliermi grandi soddisfazioni». Allenamenti in autostop che «ora come ora sarebbero impensabili – sottolinea -. La strada è stata la palestra della mia generazione. Ora il calcio è dominato dai social e i giovani non conoscono davvero il sacrificio, che io ho imparato da mio papà e dalla mia famiglia. Bastano due o tre buone partite ad un calciatore per arrivare in Nazionale, quando ai miei tempi servivano due o tre stagioni ad alti livelli per andare in azzurro». Azzurro di cui è stato protagonista lo stesso Ravanelli per diversi anni, dopo essere approdato alla Juventus nel ’92. «La Juve – ricorda il calciatore, 111 presenze e 41 gol in bianconero -, che è la squadra che ho tifato fin da bambino, è stata una scuola di vita. Alla Juventus cresci come calciatore, ma soprattutto come uomo. Ci sono delle regole che ti fanno capire tante cose e la competizione c’è sempre, ad ogni allenamento. Eravamo un gran gruppo. Ricordo Ciro Ferrara che al primo pranzo di squadra nel ’94 tirò fuori dal portafoglio un bigliettino con delle barzellette in napoletano e iniziammo a ridere per un’ora. Oppure Vialli che ogni giovedì sera organizzava una cena con tutti i compagni, i magazzinieri e i massaggiatori dello staff. Vivere lo spogliatoio è fondamentale, ed è una cosa che si è un po’ persa. Io ero sempre l’ultimo a tornare a casa».
Nicola Calzaretta
Una Juve feroce quella di Ravanelli, che vinse tutto. «Era stato Boniperti – spiega “Silver fox”, come lo chiamavano in Inghilterra ai tempi del Middlesbrough – a volermi in squadra. Telefonò alla mia famiglia e invitò mio padre a Torino pochi giorni dopo aver firmato il contratto». La figura del padre, per Ravanelli, è uno dei punti cardine della sua vita. «Quando si ammalò al termine della mia carriera – racconta il calciatore – tornai a giocare nel Perugia anche per lui, realizzando un suo sogno. Lui fu fondamentale per la mia educazione e per la mia visione di calcio. Ricordo che una domenica, durante una delle mie prime partite da bambino, non mi impegnai molto in campo. Lui l’aveva notato e mentre eravamo in auto dopo il match, a 4-5 chilometri da casa, si ferma e mi fa scendere dall’auto. “Visto che non hai corso in campo, non sarai stanco per tornare a casa a piedi” mi disse. Mi lasciò lì e, in quella lunga camminata, cominciai a capire molte cose. Il sacrificio e la famiglia sono alla base di ogni successo».
Ma quello era un calcio diverso, come sottolineato da Nicola Calzaretta, autore dei due libri della serie “Alla ricerca del calcio perfetto”. Ravanelli è tra i protagonisti della sua ultima pubblicazione. «Non so se una volta – dice Calzaretta – questo sport fosse effettivamente migliore, ma sicuramente era più affascinante. Nel mio libro ho raccolto tantissime storie degli uomini dietro i calciatori e alcuni aneddoti sono totalmente inconcepibili per il calcio di ora. Oltre alla storia dello stesso Ravanelli possiamo pensare a Paolo Pulici del Torino, uno che dopo le partite al Comunale tornava a casa a piedi passeggiando insieme ai tifosi». Un calcio diverso, dove la vicinanza tra i componenti dello spogliatoio, ha portato Ravanelli a momenti di grande affiatamento e, purtroppo, anche di grande dolore. E’ il caso della storia di Andrea Fortunato, giovane promessa bianconera, scomparso per una gravissima forma di leucemia nel ’95. «Conoscevo Andrea – racconta commosso Ravanelli, che ai tempi della malattia del ragazzo gli prestò la sua casa a Perugia durante i periodi di terapia – fin dai tempi del militare. Eravamo amici e lo ritrovai alla Juventus. Sarebbe diventato uno dei terzini migliori d’Europa e avrebbe sicuramente avuto un grande futuro. Era un ragazzo straordinario. Quando sapemmo della sua malattia, fu un fulmine a ciel sereno. Avevamo notato che quell’estate, in ritiro, non era più lo stesso. Si sentiva spesso male e non riusciva a correre. Rimasi in contatto con lui e con il suo dottore quotidianamente, fino alla fine. Quello che gli è successo mi ha segnato molto». «Quando nel nostro mondo, del calcio voglio dire – disse ai tempi Giampiero Boniperti -, succedono cose del genere, c’è da rabbrividire. Perché è un mondo che vive di giovinezza. E la giovinezza dovrebbe essere immortale». Così come quel “calcio perfetto” che Nicola Calzaretta, nei suoi libri, continua a cercare.
Il sindaco di Macerata e tifoso juventino, Romano Carancini, insieme alla moglie
I libri di Nicola Calzaretta: “Alla ricerca del calcio perduto” e “Alla ricerca del calcio perduto – secondo tempo”
L’autografo di Ravanelli sulla maglia blu stellata con cui la Juve vinse la Champions nella stagione 1995/96
Il sindaco Romano Carancini con Fabrizio Ravanelli
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Con Lamberto ‘Bongo’ Boranga, Stefano Tacconi, ‘Menco’ Marinelli (coriaceo terzino degli anni 60) e i ‘grifoni’ adottivi Angelo Montenovo (ricordate le sfide anni Maceratese-Perugia?) Ilario Castagner, Walter Alfredo ‘Monzon’ Novellino ed infine con l’indimenticabile ‘sor’ Guido Mazzetti e l’attualissimo mister Serse Cosmi, Fabrizio Ravanelli rappresenta nell’immaginario collettivo il calcio stellare ‘made in’ Perugia. Il ragazzino timido di Mugnano che ce l’aveva fatta a sfondare nel ‘big game’: l’uomo mascherato campione tra i campioni della Juventus. Un idolo per noi tifosi del ‘Grifo’. Mi ha fatto piacere leggere da Leonardo Giorgi che ad un certo punto la strada di Fabrizio stava nuovamente per incrociare quella della Maceratese. Nuovamente? Già, perché Ravanelli aveva esordito a solo diciassette anni proprio contro i biancorossi a Perugia. Per la squadra di casa si trattava dell’ultima spiaggia: ‘Chiodo’ Roscini, l’allenatore, non aveva più il pur asfittico attacco titolare (cinque elementi indisponibili!). Gli rimaneva solo un ragazzino timido delle ‘giovanili’ con quel paradosso dei capelli bianchi. Non aveva alternativa. Azzardò la scelta e Ravanelli lo ripagò con quella che sarebbe diventata la sua celebrata specialità: il colpo di testa. Perugia-Maceratese: 1-0, e i grifoni fuori dalla crisi! In tribuna stampa quel ragazzino con i capelli precocemente argentei mise tutti in grande imbarazzo, anche il ‘nostro’ Enrico Maria Scattolini. Che al solito non si perse d’animo, e di fronte a quella chioma definì lo sconosciuto numero 9 al suo esordio: ‘L’esperto attaccante del Perugia’. Lo sarebbe diventato attraverso una carriera leggendaria. Al ‘Curi’ molti anni dopo rividi ancora un colpo di testa vincente di Fabrizio in Italia-Georgia. In campo tra gli azzurri anche un ‘certo’ Antonio Conte e il mitico ‘soldatino’ Di Livio, anch’egli come Ravanelli e Gattuso, stella ‘esplosa’ a Perugia.
Maurizio Verdenelli