Da sinistra Michele Spagnuolo di Overtime, l’ex campione Danilo Di Luca e lo psichiatra Gianni Giuli del dipartimento dipendenze patologiche
Danilo Di Luca
di Marco Ribechi
(foto di Lucrezia Benfatto)
Doping e sport, un binomio criticato ad ogni livello ma che sembra impossibile da sciogliere. Ad esternare i pensieri di un atleta che decide di migliorare le proprie prestazioni facendo ricorso a sostanze illegali è Danilo Di Luca, ex campione di ciclismo e autore del libro “Bestie da vittoria”, ospite a Macerata del festival dell’etica sportiva Overtime. Di Luca, tra i corridori più famosi dalla fine degli anni ’90, rappresenta un caso esemplare: trovato tre volte positivo ai test è stato radiato per sempre dal Tribunale nazionale antidoping da ogni competizione, anche amatoriale. Primo italiano a subire una condanna così pesante, è un caso emblematico per la bicicletta. Ad introdurlo Paolo Nanni del dipartimento dipendenze patologiche presieduto dallo psichiatra Gianni Giuli, anch’egli presente nell’aula Magna dell’università di Macerata per l’incontro.
Il pubblico presente nell’aula Magna
“La vita si suda” è infatti il ciclo di interventi ideati dal dipartimento per mettere in guardia i giovani dal seguire cattivi esempi sportivi e per dire loro che lo sport non è la vittoria di una competizione ma il percorso fatto per arrivare a quel traguardo. «Come dipartimento di prevenzione appartenente al sistema di sanità pubblica affrontiamo spesso il tema delle droghe – introduce Giuli – il doping è in realtà un ventaglio di sostanze dannose che per marketing e modalità di acquisto è molto simile alle normali droghe in circolazione. Nell’atleta scatta un processo che chiamiamo ‘narcisismo prestazionale’ che porta alla ricerca smaniosa di risultati e vittorie. Abbiamo cercato Danilo perché nel suo libro ha, con schiettezza, svelato quanto sia diffuso il fenomeno, l’ipocrisia di chi si gira dall’altra parte e la responsabilità personale che sta alla base del doping». La parola passa così al campione radiato che spiega i motivi che lo hanno spinto a truccare le proprie prestazioni. «Il doping è una scelta individuale che si fa per migliorare i risultati del 5 – 7 per cento. Non consegna la vittoria in mano ma in un sistema deviato è un passo quasi obbligato per diventare il numero uno. Quando si fa la scelta se passare da un livello amatoriale a uno professionista si accettano le regole del gioco per confrontarsi con i più forti del mondo».
Danilo Di Luca con Gianni Giuli
Un mercato poco controllabile quello delle sostanze illegali perché spesso anche le federazioni, come è stato il caso di quella russa, proteggono alcuni atleti dopati per ottenere delle medaglie. «Nello sport ci sono figli e figliastri, amici e nemici – continua Di Luca – Chi fa uno sport individuale come me, oppure come Alex Schwazer, rischia di più perché è meno protetto dalle società e finisce subito sotto la gogna mediatica. Non siamo tutelati come negli altri sport. Riguardo la salute, certo, il doping fa male, ma i grandi atleti sono consapevoli e controllati costantemente da equipe mediche, così non è per il doping amatoriale dove, come diceva il dottor Giuli, tantissime persone incaute si fanno passare o acquistano sostanze su internet senza poter sapere con certezza cosa sono e cosa fanno». Le parole di Di Luca suonano contraddittorie: da un lato il doping non consegna una vittoria sicura all’atleta e non modifica molto la prestazione, dall’altro senza doping non avrebbe potuto competere con i grandi campioni. Un sistema deviato dove secondo chi gareggia, per vincere bisogna doparsi. Se per un verso la responsabilità di barare è individuale, dall’altra sembra sostenuta da un sistema malato in cui girano, forse, troppi soldi. E i ciclisti diventano “Bestie da vittoria”.
L’intervento del questore Giancarlo Pallini
Tra il pubblico anche il questore Giancarlo Pallini: «Il compito delle forze di polizia spesso dimenticato dalla società è quello di formare la collettività affinchè si limiti la possibilità di sbagliare, la nostra non è solo un’azione di contrasto ma soprattutto di prevenzione. E’ necessario ritornare ai valori fondanti degli sport e controllare questo mondo oscuro che trama alle spalle per cui l’unica cosa che conta è l’ossessione della vittoria». A conclusione dell’incontro una domanda quasi d’obbligo sul più grande spettacolo sportivo mondiale, i giochi olimpici. Il quesito è sulla legittimità del sindaco di Roma di non candidare la città alle olimpiadi. «Credo che le motivazioni della Raggi siano condivisibili – conclude Di Luca – Conosco bene Roma, non è più la città di una volta. Le strutture mancano, sono carenti, non funzionano. Non parlo solo degli impianti, mancano anche i marciapiedi. Prima di ospitare un evento così costoso e anche non più lucrativo come una volta credo sia necessario ricostruire Roma. Le olimpiadi le vedrei meglio a Milano o Torino che sono le uniche due città d’Italia veramente europee».
Il libro di Danilo Di Luca, Bestie da Vittoria
Paolo Nanni
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“Senza doping nel ciclismo non si vince” Ma Sig. De Luca, che segnale diamo ai giovani che vogliono praticare il ciclismo!!!?? Si rende conto della gravità delle sue affermazioni??
…invece di dire che il Doping uccide e che non ci si si dovrebbe MAI dopare, lei fa queste pessime affermazioni!!!!?? ..ne avremmo fatto volentieri a meno di ascoltarlo!!