I danni della vecchia Banca Marche
In fumo 1.5 miliardi di investimenti
Piccoli azionisti e fondazioni in ginocchio

SPECIALE/2 - Pesaro, Macerata e Jesi hanno perso circa 400 milioni. A più di mezzo miliardo ammontano invece i risparmi bruciati degli oltre 43mila piccoli azionisti. Azzerato anche mezzo miliardo di euro di subordinate. Per il tessuto economico regionale un disastro di proporzioni bibliche. Finisce definitivamente l'era Bianconi

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Massimo Bianconi allo Sferisterio nel 2012

Massimo Bianconi allo Sferisterio nel 2012

di Marco Ricci

Il piano di salvataggio di Banca Marche, attuato oggi (leggi l’articolo), ha messo in luce il vero e proprio disastro dai numeri impressionanti che si è abbattuto sulla regione virtuosa. Se da domani una Nuova Banca delle Marche sostituirà il vecchio istituto di credito – ormai destinato alla liquidazione coatta amministrativa – oggi sono chiari più che mai i danni provocati dalle precedenti gestioni della banca, dai prestiti ai tanti Ciccolella, Degennaro, ai principali gruppi edilizi marchigiani, a quel sostegno continuo all’immobiliare che ha rovesciato denaro facile sul tessuto imprenditoriale regionale, a quel voler bene agli amici degli amici. Tutti danni che hanno condotto Banca Marche sull’orlo della liquidazione coatta amministrativa.

I primi a pagare i frutti del disastro – come sempre – i piccoli risparmiatori, circa 43mila piccoli azionisti e un migliaio di obbligazionisti subordinati. Un esito forse non scontato ma assai prevedibile fin dal principio. Il tutto – ovviamente – consumato nell’ignavia e nel silenzio della politica marchigiana, delle associazioni di categoria (le quali spesso controllavano le Fondazioni e avevano i loro rappresentanti all’interno della banca), talvolta anche dei sindacati, senza che nessuno abbia chiesto conto delle responsabilità di quanto accaduto. Solo Fondazione Carima, già nel 2013, avrebbe voluto aprire un’azione risarcitoria contro gli ex vertici della banca. La proposta fu però bocciata dalle altre Fondazioni. Ma siamo nelle Marche e in fin dei conti ci si è imbattuti soltanto nel “più grande dissesto bancario italiano dopo i casi Calvi e Sindona del secolo scorso”. Un disastro di cui – prima, dopo e durante – pochi nella classe dirigente regionale sembrano aver avuto sentore.

(Fonte: Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro)

(Fonte: Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro)

Da questa sera, purtroppo, il sentore l’avranno in primis i possessori delle azioni Banca Marche, i possessori di quei quasi 1,3 milioni di titoli che adesso valgono come carta straccia. Immaginando un valore medio di acquisto di 0.85 euro, il dissesto della banca è costato ai soci di Banca Marche circa 1.1 miliardi di euro. In questa cifra – va ricordato – sono compresi i 180 milioni di euro relativi all’ultimo aumento di capitale del 2012. A questo amaro conto si devono sommare anche le obbligazioni subordinate – sia le upper tier II che le lower Tier II – le cui emissioni nel complesso valevano circa mezzo miliardo di euro e che oggi sono state azzerate. Facendo quindi i conti della serva, tra azioni e obbligazioni subordinate, è andato in fumo almeno un miliardo e mezzo di euro di investimenti. E sempre con un calcolo di massima, si scopre come almeno 600 milioni di euro di questi risparmi fossero frutto del lavoro delle famiglie, delle imprese e delle piccole attività, risparmi insomma dell’intero tessuto sociale marchigiano. Il resto delle perdite, invece, è a carico di investitori istituzionali, in particolare, delle Fondazioni principali azioniste dell’ormai ex Banca Marche.

La sede della Fondazione Carima

La sede della Fondazione Carima

Per Macerata, Pesaro, Jesi il danno provocato dal dissesto della banca conferitaria è immane. Stando ai numeri a bilancio 2012, la Fondazione Carima, che si era rifiutata di aderire all’ultimo prestito obbligazionario dell’istituto, ha visto andare in fumo circa 160 milioni di euro. Per Pesaro – considerando le obbligazioni subordinate BM – la cifra è simile. La Fondazione Carisj registra invece nel complesso una perdita di patrimonio di quasi 70 milioni di euro, comprendendo nella cifra anche l’ultima sottoscrizione di subordinate Banca Marche. Dalle tre Fondazioni, insomma, sono evaporati per sempre più o meno 400 milioni di euro, risorse che le tre istituzioni avevano ereditato dalle vecchie Casse di risparmio, i frutti insomma del lascito di intere generazioni di marchigiani.

Sulla tragicità di questa vicenda – disastrosa per l’economia marchigiana ma in qualche modo rivelatrice di un tessuto finanziario e sociale quanto meno opaco – l’ombra delle inchieste giudiziarie, con la Procura di Ancona e la Procura di Roma che indagano dirigenti, amministratori, imprenditori e consulenti dell’ex banca per reati che vanno – a vario titolo – dall’associazione per delinquere, all’appropriazione indebita, alla corruzione tra privati, oltre all’ostacolo alle autorità di vigilanza, al falso in bilancio e al falso in prospetto informativo. Questo mentre la Consob ha già sanzionato gli ex vertici dell’istituto in relazione all’ultimo aumento di capitale da 180 milioni di euro, quando vennero celate al mercato “informazioni che avrebbero verosimilmente potuto dissuadere dall’aderire all’offerta.” Secondo Consob l’ex direttore generale, Massimo Bianconi, e l’allora presidente della banca agirono con dolo nel nascondere queste informazioni, con i sottoscrittori di quell’ultima emissione che oggi si ritrovano con nulla in mano.

finanza banca marcheNon è difficile a questo punto immaginare le reazioni dei piccoli investitori i quali – incolpevoli, senza rappresentanti in Cda e basandosi unicamente su dati e bilanci oggi ipotizzati falsi dalla Procura di Ancona – diedero la loro fiducia a Banca Marche, agli ex dirigenti e agli ex amministratori dell’istituto. Risparmiatori incolpevoli i quali, come sempre avviene in tutti i disastri finanziari, sono i primi – e spesso purtroppo anche gli ultimi – a pagare. Non è neppure un bel segnale da parte della Commissione europea, proprio ora che entrano in vigore le nuove norme sulla prevenzione e gestione delle crisi, l’aver ostacolato ogni diversa soluzione che preservasse almeno in parte gli incolpevoli. Non resta a questo punto che attendere la magistratura, augurandosi che faccia luce al più presto su questo dissesto di proporzioni ciclopiche di cui nessuno – tranne la Vigilanza di Banca d’Italia che aveva ripetutamente sanzionato gli ex vertici della banca – fino al 2013, incredibilmente, avrebbe avuto il minimo sentore.

 



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