di Gianluca Ginella
Uccise il figlio a coltellate, la madre assolta perché non imputabile: era incapace di intendere e volere al momento del fatto. La sentenza decisa poco dopo le 15 di oggi dal giudice Enrico Zampetti del tribunale di Macerata che ha accolto la tesi di accusa e difesa che, entrambe, chiedevano l’assoluzione perché una perizia disposta dal gip in incidente probatorio diceva che la mamma di Simone, Debora Calamai, era afflitta da un disturbo schizoaffettivo bipolare. Il giudice ha inoltre disposto la detenzione della donna, per 10 anni, in una Rems (residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria).
Era la notte di Natale, lo scorso anno. Simone Forconi era a casa della mamma Debora Calamai, nella casa dove viveva la donna a San Severino. Quella notte si consumò uno dei fatti di sangue più tragici che siano accaduti in provincia negli ultimi anni: la donna, 39 anni, uccise il figlio colpendolo con 9 coltellate dopo averlo inseguito, in base alle indagini dei carabinieri, per la casa. Ma quando ha agito, dice la perizia di Gabriele Borsetti, nominato dal gip, che non fosse in grado di intendere e di volere. Una perizia le cui conclusioni di fatto erano già la sentenza del processo. E infatti è stata decisiva oggi quando la procura ha chiesto l’assoluzione per la donna (idem ha fatto la difesa, con gli avvocati Simona Tacchi, Tiziano Luzi e Mario Cavallaro). Il giudice Enrico Zampetti dopo essersi ritirato in camera di consiglio dopo una quarantina di minuti è uscito con una sentenza di assoluzione per non imputabilità di Calamai. Dovrà però curarsi. Il gup ha infatti disposto la detenzione per 10 anni in una casa di cura, dette Rems, che si trova nel Pesarese (dove la donna si trova attualmente dopo essere stata in un ospedale psichiatrico giudiziario a Castiglione delle Stiviere). La sentenza è arrivata pochi minuti dopo le 15. Al processo si erano costituiti parte civile il padre di Simone, i nonni e la zia, assistiti dall’avvocato Lucia Panzini. Hanno chiesto la condanna di Calamai ritenendo che quando Simone venne ucciso la madre fosse in realtà capace di intendere e di volere. Al termine dell’udienza, l’avvocato Tacchi ha spiegato che la sua cliente, a distanza di quasi 9 mesi dal fatto «non si ricorda niente di quello che è successo, per usare un termine da psichiatra aveva l’Io completamente scisso».
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