C’è un’immagine che fissa per sempre in modo suggestivo e poetico la presenza di Benedetto XVI alle Marche. Un’immagine che ci riporta al primo settembre 2007 a Montorso -quanti eventi da “EuroHope” dal settembre 1995 in poi con un grande protagonista, Wojtyla! Ci riporta, il ricordo legato all’immagine, a quell’anfiteatro naturale dominato dal Centro Giovanni Paolo II da dove si vede Loreto che sarebbe stato ancora il 4 ottobre scorso l’ultima tappa di Ratzinger, l’ultimo viaggio da pontefice nelle Marche, in Italia e nel mondo. In quel sabato pomeriggio di oltre cinque anni fa, nei colori abbaglianti di un tramonto caldo ed ancora estivo, accompagnata dalla voce emozionante di Andrea Bocelli che intonava l’Ave Maria di Schubert, aureolata da fiori bianchissimi la statua della Madonna arrivava dal fondo di quell’anfiteatro straripante di folla (in prima fila i vescovi marchigiani, tra i quali l’allora neoeletto Claudio Giuliodori) convenuta per l’Agorà dei giovani: l’anno successivo si sarebbero dati appuntamento a Sydney.
Ad attendere quella statua bianca scintillante, a Montorso nel luogo reso ‘immortale’ dodici anni prima nella coscienza religiosa europea e mondiale, c’era Benedetto XVI. Un pomeriggio indimenticabile, con i giovani dell’Agorà a raccontare al papa ansie, speranze, progetti, illusioni ed anche fallimenti. Perchè Ratzinger volle, assolutamente volle, che la realtà resa sempre di più aspra dalla strisciante crisi economica, fosse ‘raccontata’ davvero. Quella sera dormì a Loreto, Benedetto XVI (arrivato nelle Marche con qualche problema fisico tanto da doversi assentarsi per almeno 30′ dal suo posto, accompagnato dal fedele padre Georg) e il giorno dopo, ancora a Montorso presiedette la grande concelebrazione eucaristica domenicale prima di ripartire alle ore14, in elicottero, per Roma. I ragazzi “di Wojtyla”, arrivati da tutto il Vecchio Continente, ‘coloratissimi’ con bandiere e canti, lo acclamarono come ‘uno di loro’, così come avevano accolto, intonandone ritmicamente il nome, negli anni precedenti “Giovanni-Paolo”.
Cinque anni ed un mese più tardi, il 4 ottobre scorso, un’altra messa, la prima nella sua storia millenaria sul sagrato della Santa Casa, Benedetto XVI l’avrebbe ‘detta’ a Loreto. In un viaggio, breve, ma pieno di suggestioni e ricordi. Un viaggio sulle orme, 50 anni dopo, di colui che definì “il mio grande predecessore’, il papa Buono, il quale nel giorno del Patrono d’Italia, San Francesco d’Assisi, aveva voluto raggiungere Loreto (poi Assisi) nella prima uscita di un pontefice dopo l’Unità d’Italia fuori dalle mura leonine. Giovanni XXIII annunciò nelle Marche il Concilio Vaticano II° che una settimana più tardi si sarebbe aperto ufficialmente, mentre Ratzinger ha annunciato l’Anno della Fede e l’assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema da lui personalmente dettato: “La nuova Evangelizzazione per la trasmissione della Fede Cristiana”.
Fu, rispetto a quello del Papa Buono un viaggio ‘in tono minore’ in una città ‘assolutamente non blindata’ (come dichiarò il capo della Protezione civile, Roberto Oreficini) in un giorno infrasettimanale, giovedì, che tuttavia raccolse cinquemila fedeli, 2.170 erano i posti a sedere davanti alla Santa Casa. Fu una giornata ‘storica’. Non soltanto per tutto quello che significava apertamente (di cui abbiamo detto) ma anche per ciò che sarebbe maturato di lì a poco. Il lunedì successivo ci fu la sentenza di condanna per ‘il Corvo’ ma il successivo perdono papale chiuse la vicenda. Lo spirito e la politica di conciliazione da parte di Ratzinger erano tuttavia già apparsi evidenti all’ombra della Santa Casa dove Benedetto XVI° aveva voluto accanto a sè il cardinal Angelo Comastri. L’ex Legato pontificio lauretano (dal 20 ottobre 2011 pure ‘cittadino onorario’ di Cingoli) era allora al centro di polemiche legate allo stesso caso del ‘maggiordomo papale’ e il gesto del Successore di Pietro contribuì a rasserenarlo in modo decisivo.
Joseph Ratzinger in piazza San Pietro nel 1991 con i parrocchiani di Santa Maria in Selva e Don Giuseppe Branchesi
Il sesto papa dimissionario della storia rimarrà in ogni caso nel cuore di questa regione. Ratzinger è un devoto di San Nicola da Tolentino ed almeno due volte, da cardinale, vestito con modesti abiti talari, è stato ‘riconosciuto’ e salutato all’interno del santuario tolentinate durante le tappe del viaggio che lo portava ogni volta da Roma a Loreto. E c’è pure una foto con i fedeli treiesi di Santa Maria in Selva (indicati da un cartello) che lo ritraggono in piazza di San Pietro nel ’91. “Riconobbi il cardinale -racconta il parroco, don Giuseppe Branchesi- e lo chiamai per una foto ricordo. Cui gentilmente si …sottopose”. Lo stesso sacerdote, lo scorso 27 giugno in occasione dei suoi 50 anni dall’ordinazione, è stato ricevuto in Vaticano dal papa. “Ho portato con me i prodotti tipici della regione, le nostre eccellenze, in particolare liquori. Per questo dono stato ringraziato tramite lettera nella quale si dice che Sua Santità apprezza da sempre le Marche e i suoi prodotti. C’è inoltre da dire che sin dal gemellaggio con la cittadina tedesca di Grobenzell, la parrocchia è in contatto con herr Neumann (nostro ospite a Treia l’estate scorsa) e con suo padre, noto architetto bavarese, vicino di casa e grande amico dei Ratzinger e contavano di poter essere a breve ricevuti da Benedetto XVI°. Non rinunciamo però ad un futuro contatto con lui, anche se ha rinunciato al papato”.
Padre Georg Gaenswein, segretario particolare di Benedetto XVI da lui nominato di recente Arcivescovo di Urbisaglia
C’è poi la polenta marchigiana. In particolare quella cucinata dai polentari della stessa frazione treiese, guidati dallo stesso don Branchesi, venne apprezzata il 7 settembre 2011, dal cardinal Camillo Ruini (per 17 anni presidente della Cei) che la gustò nei locali della Cattedrale di Fabriano insieme con il vescovo Vecerrica. L’organizzazione della ‘Festa contadina’, a cura della Coldiretti, avvenne in preparazione del 25° Congresso eucaristico nazionale che si sarebbe celebrato quattro giorni più tardi alla presenza dello stesso Benedetto XVI.
Che, dimettendosi, lascia ‘virtualmente’ alle Marche e al Maceratese un religioso a lui molto caro ed apprezzato: padre Georg Gaenswein, suo segretario nominato di recente arcivescovo di Urbisaglia. Chissà se adesso potrà concretizzarsi il desiderio dei fedeli dell’ex capitale della “Quinta Regio” romana, una città di 35.000 abitanti in epoca imperiale (attualmente, come noto, di tremila) di poter salutare il ‘proprio arcivescovo’ e con lui (chissà?!) Joseph Ratzinger.
Ed una testimonianza di questo Ponteficato che non …si sgretolerà resta ancora in questa terra, a Macerata, scolpita nel marmo collocato sulla facciata del restaurato tempio filippino di San Filippo Neri, riaperto dopo anni, il 22 dicembre scorso. Una lapide che, come noto, ha ‘mosso’ a rumore l’opinione pubblica cittadina ma che ora resta in ogni caso un documento storico di un papa che, dantescamente, ‘ha fatto il gran rifiuto’.
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Anche le reti televisive ne anno parlato di questi forti legami con la nostra terra.
Bruno Vespa stentava ha riconoscere quei prelati vicino all’ abate Branchesi poi gli hanno detto che uno è il cardinale Joseph Ratzger e l’altro Don Guido un modesto parroco di Chiesanuova di Treia.
Il Papa compie un gesto storico umile e onesto e generoso e subito i vengono elencate le conoscenze importanti di Branchesi. Il povero Don Guido nella foto è solo un accessorio.
stiamo esagerando?????
Almeno questa lapide acquisisce valore!!