La professoressa Francesca Testella
di Alessandra Pierini
Gestione dell’acqua partecipata esclusivamente dai Comuni o società creata con la partecipazione degli attuali concessionari? E’ questo il dilemma che da mesi sta affrontando l’Aato 3 alle prese con la scelta del gestore unico del servizio idrico. Sul fatto che l’acqua debba restare pubblica, concordano in linea di massima tutti gli amministratori coinvolti ma sulla scelta del tipo di società è impasse.
In realtà potrebbe esistere una terza via. Quella di cui parla Francesca Testella, professoressa a contratto dell’università di Macerata e dell’università di Urbino, ha svolto attività di ricerca, oltre che negli atenei, nella Fondazione Eni Enrico Mattei e nel Centro euro mediterraneo per i cambiamenti climatici. Attualmente è ricercatrice all’Enea. La professoressa Testella è l’autrice del libro “Diritto all’acqua e statuto della risorsa idrica. Con particolare riguardo a proprietà e tariffa” e ha un occhio esperto sulle questioni legate alla gestione di questo prezioso bene.
Professoressa Testella, la gestione del servizio idrico si trova in questo momento davanti a una scelta di fondamentale importanza. Perché?
«Prima di tutto perché ci si allinea al dettato normativo, superando la galassia di piccoli e grandi enti locali, resistenti al cambiamento, consolidando il settore e poi in quanto la gestione unica del servizio idrico nell’ambito di riferimento rappresenta lo strumento principale per assicurare efficacia e efficienza, elevare la qualità del servizio e dotare la società che gestisce della solidità finanziaria e patrimoniale necessaria a recuperare il divario dalle migliori esperienze europee fissando obiettivi di investimento più ambiziosi e coerenti con le reali necessità dei territori serviti».
Le proposte sul tavolo della discussione sono due: la società consortile di primo livello e quella di secondo livello. Quali sono criticità e punti di forza di questi due modelli?
«Per quanto riguarda la società consortile di primo livello il vantaggio è che anche i piccoli comuni potranno influire nelle decisioni del CdA, ma gli svantaggi sono i costi di costituzione, l’indennizzo del precedente gestore e il rischio di influenza politica nelle decisioni del CdA. Riguardo invece la società consortile di secondo livello i vantaggi sono l’assenza di interferenze di nomine politiche nella gestione e la mancanza per i comuni di costi derivanti dalla nascita della società consortile. Lo svantaggio è che i comuni che non hanno partecipazioni saranno presenti solo nell’organo di vigilanza e non anche nella società “socia” del consorzio».
Cosa cambierà nell’uno o nell’altro caso per i cittadini?
«In ogni caso i cittadini dell’intero territorio interessato si interfacceranno con un soggetto unico in grado di realizzare politiche di intervento e investimento di più ampio respiro e a lungo termine per lo sviluppo dei territori, coniugando la tensione all’efficienza con la realizzazione delle opere e migliorando di conseguenza la qualità del servizio, che è quello che alla fine dei conti interessa all’utente».
Esiste una terza via?
«L’esempio della gestione del ciclo urbano dell’acqua nella città di Cordoba, attraverso un’impresa pubblica partecipata con i cittadini, dimostra che esistono meccanismi del settore pubblico che sono capaci di fornire un servizio di qualità con maggior efficienza delle imprese private. Permette, altresì, di verificare che questo buon servizio è compatibile con tariffe ragionevoli e buone condizioni lavorative per i dipendenti dell’impresa.
La struttura di Emacsa è corrispondente a quella di una società per azioni (Assemblea generale degli azionisti, Consiglio di amministrazione, presidente, direttore) la cui proprietà appartiene al 100% al Comune. La partecipazione si realizza direttamente nel massimo organo di direzione dell’ente, il Consiglio di Amministrazione.
La sua composizione plurale parte da una rinuncia da parte del gruppo o dei gruppi politici che hanno la maggioranza nel Comune trasferendola nel Consiglio citato.
La sua composizione attuale è la seguente: hanno parola e voto 2 consiglieri eletti su proposta di ognuno dei tre gruppi politici che hanno rappresentanza nel Comune (Iu, Pp e Psoe), 2 consiglieri eletti su proposta di ognuno dei due sindacati maggioritari (Cc.Oo e Ugt) e un consigliere in più, eletto su proposta del movimento cittadino.
Hanno parola ma senza voto il direttore di Emacsa, il segretario generale e il controllore del Comune. Questo sistema prevede un meccanismo di partecipazione che porta ad una presa di decisioni condivise tra i diversi attori che partecipano al CdA. Il Consiglio prende decisioni in relazione alla formulazione, elaborazione, esecuzione e controllo del bilancio dell’impresa».
In base alla sua esperienza anche da amministratore, qual è il modello più adatto per la provincia di Macerata?
«Premesso che potrebbero essere esplorate altre strade come ad esempio la soluzione della società patrimoniale, convengo comunque in linea di massima sulla scelta in atto della società consortile, capace di coniugare una visione univoca e unitaria riguardo a decisioni strategiche (relative, ad esempio, alla finanza) con il mantenimento del presidio territoriale richiesto dagli enti locali aderenti. Dovendo nel dettaglio poi scegliere tra le due soluzione proposte, la soluzione di secondo livello garantisce la vigilanza dei comuni evitando che siano nominate nel CdA persone senza conoscenza del settore ma solo per meri motivi politici, conoscenza invece espressamente richiesta dall’Arera come condicio sine qua non per evitare il ricorso all’amministratore unico, soggetto indicato in via ordinaria dall’Arera stessa».
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La la bolletta dell’acqua è una truffa politica perpetrata da tutti i partiti.