L’assessore Silvano Iommi traccia una storia di come è nato il progetto dello Sferisterio, in vista dell’inizio della stagione lirica in cui si celebreranno i cento anni dell’Aida. Il suo intervento sulle motivazioni che spinsero i Cento consorti a realizzare l’arena di Macerata ha suscitato molte reazioni e polemiche nelle scorse settimane.
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Quando sul finire del primo ventennio del secolo XIX si concepì l’idea di costruire una struttura ludico-sportiva polivalente, destinata poi a diventare il famoso “Sferisterio di Macerata”, la città era ancora sofferente per le conseguenze di una devastante crisi sociale, economica e sanitaria iniziata all’indomani delle battaglie murattiane. Una crisi drammatizzata anche dal difficoltoso avvio della restaurazione del Governo Pontificio, in cui incisero pesantemente i mancati investimenti sullo sviluppo dell’immenso patrimonio urbano e agricolo, trasferito nel periodo napoleonico dalla proprietà ecclesiastica a quella privata. A Macerata il malcontento generale divenne addirittura esplosivo nel biennio 1816-1817 arrivando a sfociare nel noto tentativo rivoluzionario carbonaro del 17 giugno 1817. Nonostante questo clima di grande incertezza, la sera del 30 agosto del 1819, venne redatta a Macerata una scrittura privata denominata “Obbligazione Primordiale” (oggi diremmo s.p.a), allo scopo di fondare una “Società del Circo” composta da 40 soci che si obbligassero ciascuno a versare, in cinque rate uguali, una quota (detta carato) di 100 scudi romani. Lo scopo era quello di raggiungere la cifra di 4000 scudi, stimati dall’ingegnere Comunale Salvatore Innocenzi come somma sufficiente per realizzare un edificio chiuso adatto particolarmente al gioco della “palla al bracciale”.
Il progetto primitivo, quindi, era già sommariamente tratteggiato nella “Obbligazione Primordiale” del 1819: “…un edificio chiuso intorno al rettangolo di gioco, che oltre al muro di appoggio fosse dotato di 40 palchi riservati ai soci con sottoposta una gradinata a quattro gradoni…”.
Tuttavia, questa obbligazione portava la firma di 45 soci perché tre palchi erano stati prenotati da altrettante coppie, ma il 19 febbraio del 1820 si dovette procedere ad integrare la prima “obbligazione” con un secondo atto perché il numero dei soci era aumentato sino a 55 e, c’era già chi intendeva portarlo a 100 con un nuovo progetto che prevedesse sia altrettanti palchi, sia il “massimo numero possibile di botteghe d’affitto da realizzarsi all’esterno”. La quota per ogni “caratante” doveva restare la medesima che, a quella data, era considerata come un buon investimento capace di rendere fino a 1000 scudi annui. I principali promotori dell’iniziativa furono l’avvocato Pantaleone Pantaleoni, l’avvocato Candido Paoletti e il possidente Pacifico Guarnieri; tre personaggi noti e stimati in città che si attivarono immediatamente come “Rappresentanza e Deputazione Provvisoria”. Le prime iniziative prese dalla “Rappresentanza” tra 1819 e il 1820 riguardarono l’avvio dei accordi preliminari con le autorità locali e statali finalizzati ad ottenere la cessione gratuita dell’area comprensiva del tratto di mura castellane da demolire, già individuati dalle autorità competenti, poi la concessione della “privativa” (esclusiva) su tutti gli spettacoli che potessero tenersi all’aperto con “venalità” (cioè a pagamento).
Successivamente la “Rappresentanza” avviò una sorta di concorso di idee atipico, invitando oralmente un ristretto gruppo di architetti della provincia (ma fatto circolare anche a Roma); fu in questo modo che alla Società Promotrice pervennero solo quattro progetti firmati dagli architetti maceratesi Salvatore Innocenzi e Filippo Spada, dal fermano arch. Augustoni e da un non meglio identificato Casella. Per formalizzare gli accordi raggiunti fu convocato il Consiglio Comunale che, nella seduta del 26 febbraio 1820, deliberò la proposta avanzata dalla “Società del Circo” con 18 voti favorevoli e 12 contrari, mentre l’approvazione della “Segreteria di Stato Vaticana”, che aveva la competenza esclusiva sulle mura cittadine, avvenne il 9 maggio 1820 con firma del cardinale Ercole Consalvi. I 4 i progetti pervenuti alla rappresentanza furono mostrati ai soci nell’assemblea del 17 maggio 1820 ma in quella occasione l’assemblea decise solo di inviare i progetti ad una accademia affinché scegliesse lei migliore in “arte ed economia”, magari fornendo anche eventuali suggerimenti utili. Ma nella stessa seduta assembleare si decise anche che i lavori sarebbero comunque iniziati il giorno dopo e, quindi, i soci dovevano anticipare la prima rata di 20 scudi. La mattina seguente, infatti, i lavori iniziarono e il cronista dell’epoca racconta che la mattina del 18 maggio 1820, su quell’enorme “spiazzo formatasi a seguito della demolizione dei fortilizi cinquecenteschi avvenuta tra 1806 e il 1810, si presentarono decine di lavoranti, in prevalenza anziani, donne e bambini, diretti dal maestro capomastro Emidio Baldassarri, sotto la discreta sorveglianza dell’ingegnere Salvatore Innocenzi. Era evidente, quindi, che quell’enorme spazio vuoto costituiva un’area strategica per lo sviluppo urbanistico esterno alla città murata e che la realizzazione di una piazza in quel sito avrebbe costituito l’anello di congiunzione tra la nuova Porta Mercato, Borgo San Giovanni e la nuova “strada di passeggio” (circonvallazione).
Altrettanto evidente e naturale appariva che il primo lato della futura Piazza fosse costituito dalla nuova porta Mercato che, infatti, sarà ultimata nel 1823, il secondo lato est doveva essere la facciata del futuro “Circo” o “Anfiteatro”, il terzo lato a sud-ovet sarebbe stato il monumentale ingresso all’Orto Botanico dell’Università (che verrà realizzato moto più tardi poi demolito), il quarto lato di sud-est sarebbe stato la facciata del grande edificio condominiale da realizzarsi sull’area Ciccolini.
Ritornando alla vicenda dello Sferisterio è noto che lo svolgimento della prima fase relativa alla scelta del progetto e del progettista fu molto travagliata a causa di dissidi interni di varia natura ma anche per le ambiguità che, in qualche misura, riguardarono i rapporti e le interferenze con le stesse Accademie interpellate, non a caso, in sequenza tra il 1820 e 1822 (Brera di Milano, Clementina di Bologna e S. Luca a Roma).
Tutte e tre non espressero mai un giudizio chiaro e definitivo ma furono prodighe nel fornire consigli e suggerimenti. Quando ormai lo smarrimento, la sfiducia e il malcontento dei soci era già oltre il limite tollerabile, e i lavori erano bloccati alle fondazioni e in parte al 1° livello di elevazione, l’assemblea dei soci, convocata per il 17 agosto 1823, decide di delegare totalmente ogni decisione in merito al progetto e all’appalto dei lavori, alla autorità di Governo e alla “Rappresentanza”. Fu così che il Gonfaloniere in carica M.se Amico Ricci e il Delegato Pontificio Ugo Pietro Spinola, nel novembre 1823, incaricarono il giovane architetto sanseverinate Ireneo Aleandri (già in disaccordo con l’Innocenzi), di proseguire l’opera previa revisione del progetto sulla base dei “generosi suggerimenti” pervenuti in particolare dall’Accademia romana. L’Aleandri inizierà subito la sua attività ma già alla fine del 1824 inizia a disertare il cantiere fino ad abbandonarlo completamente poco dopo. Si dovrà, quindi, richiamare l’Innocenzi che condurrà i lavori fino all’inaugurazione del 5 settembre 1829. Intanto l’Aleandri già nel 1828 aveva pubblicato a Firenze il suo progetto che avrà grande successo editoriale, tuttavia i disegni pubblicati non rappresentano lo sferisterio esattamente come realizzato ma come lui lo aveva ridisegnato e teoricamente immaginato. Ancora oggi resta emblematica e non chiarita la frase con cui Nicola Ranaldi Gregoriani, Presidente in carica nel maggio del 1828, concluderà la lettera di ringraziamento all’Aleandri che gli inviò una copia omaggio del suo libro: “… La Società sarebbe stata ben più grata se ella nella relazione illustrativa del progetto avesse scritto tutta la verità…”. Oggi lo Sferisterio, dopo averne apprezzato caratteristiche impreviste quali l’alta prestazione acustica e la flessibilità funzionale, appare luogo perfetto per rappresentazioni teatrali e canore all’aperto, diventando per questo famoso nel mondo.
Aree di cantiere con l’indicazione delle demolizioni e l’allineamento della facciata sulla piazza (1820)
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Pace (sembra) fatta dunque tra l’assessore Iommi e i cento consorti che apparsi in sogno all’architetto evidentemente gli hanno spiegato nel dettaglio come andarono esattamente i fatti, tanto che la descrizione che quest’ultimo ora ne fa risulta precisa e decisamente accattivante. Errare è umano, rimediare è divino, penso !