Mario Morgoni
di Federica Nardi
«Siamo andati incontro a una disfatta». Non usa giri di parole Mario Morgoni, senatore Pd uscente e, probabilmente, uno dei pochi dem che entrerà in Parlamento. Candidato alla Camera al proporzionale per Marche sud, i due big davanti a lui (Paolo Gentiloni e Marianna Madia) sono stati eletti agli uninominali di Roma. Insomma, quasi certezza un posto per Morgoni, anche se è tutto da vedere nei prossimi giorni in Cassazione, che ha l’ultima parola sui dati in arrivo dalle Corti d’appello. Idem per il segretario regionale del Pd Francesco Comi, che ha qualche chance di farcela nonostante la debacle clamorosa del partito.
«Se andrò in Parlamento non è che ci sia comunque grande soddisfazione – dice Morgoni -. La situazione è drammatica». I dati sono ancora tutti da studiare, ma l’analisi di Morgoni sui motivi della perdita di consensi in casa Pd è già lucida. «Sicuramente l’influenza locale c’è – dice Morgoni -. Non avrà inciso in modo determinante sugli orientamenti nazionali, ma c’è. L’effetto Macerata c’è stato sicuramente per la Lega, come l’effetto terremoto che ha neutralizzato anche la spinta positiva di un candidato come Corradini. Da un lato il calo di consensi tradizionali del Pd, persi per le polemiche in relazione al terremoto. Dall’altro l’irrompere delle forze populiste che oggi hanno la maggioranza. Forze politiche che con molto cinismo e in modo strumentale hanno soffiato sul fuoco dei problemi reali, esasperandoli e facendoli diventare un’arma contro chi gestisce il potere. In questa campagna elettorale anche i social hanno avuto una forte incidenza nell’orientamento dell’opinione pubblica e il Pd su quel terreno lì non è vincente».
Da sinistra Mario Morgoni, Francesco Verducci, Piergiorgio Carrescia e Irene Manzi alla manifestazione antifascista organizzata dal Comune di Macerata
Altro aspetto il rapporto con la base. «Il Pd ha dei difetti – ammette Morgoni – Le lacerazioni, la divisione che ha avuto. Anche Grasso si è messo su una strada fallimentare. Ci ha fatto male, a livello regionale, il percorso delle candidature maturate con sofferenza. Tutto questo ha lasciato strascichi. Bisogna pensare al nostro modo di essere. Sono convinto che se gli 80 euro fossero stati 200 avremmo perso lo stesso. Non credo che quello che facciamo e diciamo cambi le sorti del Pd, è che la gente non condivide più (anzi, esprime ostilità) per quello che siamo. La casta, il potere: questo è il marchio che abbiamo. Dobbiamo quindi interrogarci su quanto abbiamo concorso a farci identificare così. Come mondo separato dalla società. È un problema ineludibile».
E accanto a questo l’avversità contro la politica. «La politica è disprezzata e quindi il Pd soffre di questo disprezzo. Ma c’è preoccupazione per il livello di civiltà raggiunto. Troppi insulti e rabbia. Siamo una società che sicuramente deve ritrovare una strada. Non è con ipotetiche prese della Bastiglia che si risolvono i problemi. Dobbiamo ripartire dal sapere essere comunità e non da quella politica che usa le difficoltà piegandole a proprio beneficio elettorale. Oggi i 5 stelle sono sopra il 30%, il centrodestra al 37%. Noi nel 2013 avevamo il 25% e ci siamo presi il 100 percento della responsabilità. L’elettorato ha dato fiducia a queste realtà. Quindi oggi tocca a loro. Adesso dobbiamo vederli all’opera con il peso della responsabilità. Noi faremo una ragionevole opposizione».
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Dice “Rivediamo il nostro modo di essere”. Ma non era il governo dell’essere, bensì quello del fare!
Condivido i “troppi insulti e rabbia”.
Effettivamente insulti e rabbia, per quanto motivati, non cambiano le cose in meglio.
Forse non serve neppure continuare a votare il PD, come ho fatto io, senza alcuna convinzione se non quella di un’idea di un partito che forse non esiste, con la speranza e il desiderio che il PD e che le cose cambino in meglio.
Purtroppo il PD non cambia e quando cambia, cambia in peggio.
I dirigenti del PD non cambiano e quando cambiano, cambiano in peggio.
Ciò accade per tanti motivi, io ne evidenzio uno in particolare: in Italia e nel PD è consentito ricoprire incarichi diversi per tutta la vita e siccome la natura di certe persone, seppur iscritte al Partito Democratico, è tutt’altro che democratica, ne consegue che queste persone, dotate di eccezionale determinazione, abbiano il modo e la possibilità di adoperarsi per tutta la vita, per tutto il tempo e in ogni modo a scalare la piramide del potere e degli incarichi, fino ad arrivare in cima.
E’ chiaro che in un partito così, per arrivare in alto, le competenze, la cultura, l’onestà intellettuale, l’impegno, lo spirito di servizio verso la comunità contino relativamente.
Ciò che conta è la determinazione.
Che da un certo livello in poi, per continuare l’ascesa, diventa prepotenza.
A certi livelli, subentra la prepotenza.
Per arrivare in alto, anche perché nessuno si fa da parte, si usa prepotenza.
Dunque prepotenza nel mantenere la posizione raggiunta e prepotenza per raggiungere una posizione migliore.
Tanta prepotenza. Troppa prepotenza.
Ne consegue la legittima convinzione che la gente si è fatta rispetto all’idea che il PD sia una casta.
Come cambiare le cose?
Sta ai dirigenti del PD cambiarle.
Io voto PD e aspetto che i prepotenti lascino il PD.
Altri credo abbiano fatto come me e aspettano che le cose cambino in meglio.
Ma siamo meno che in passato.
Perché altri, che in passato votavano il PD, questa volta hanno preferito votare altre formazioni politiche.
Rispetto e capisco la loro scelta e mi domando quale delle due sia la scelta giusta.