di Maurizio Verdenelli
La Signora in rosso danzerà da ieri sera e per sempre a fianco del visitatore (“ché non può fare a meno di conoscerla” diceva Federico Zeri) “per queste liete stanze”. Un verso tratto da una commedia del ‘600 (secolo esplorato per l’occasione: c’era pure un’Accademia degli Agitati) che è servito per dare ‘titolo’ e lancio al ‘riallestimento generale’ della Pinacoteca comunale “P. Tacchi Venturi” in via Salimbeni, che San Severino ha restituito ai suoi cittadino al termine di una lunga anteprima nel salotto buono della città: il teatro Feronia. “Una Pinacoteca virata di rosso” al posto del bianco, ha detto Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, già ministro, ospite d’onore dell’evento. Un pegno d’amore quello che Paolucci ha sciolto nel nome di San Severino, da lui definita una delle grandi capitali dell’arte italiana. E che chiede ora al suo prestigioso mentore di farsene ambasciatore nel mondo. “Dirò di più –ha detto Paolucci (senza però dare risposta al portavoce comunale, Daniele Pallotta)- questa città è stata la mia stella polare quando frequentavo questa parte di Marche da Camerino a Castelraimondo e Matelica”. Salutando il sindaco di Matelica Alessandro Delpriori, critico d’arte: “più città dovrebbero essere guidate da amministratori sensibili verso il bello artistico, un’esperienza che i nostri giovani dovrebbero fare sulla strada della crescita e della formazione umana”. Ancora su San Severino, in particolare su piazza del Popolo: “Pura e melodiosa come una conchiglia foderata di laterizio, bellezza da preservare da Urbino ad Ascoli Piceno”.
Un grande pomeriggio per la città dal territorio tra i più estesi delle Marche (il secondo in assoluto) che gioca tutto sulla cultura, sul far dello scadere del secondo mandato del sindaco Cesare Martini. “Perché –come hanno detto ad una voce la deputata Irene Manzi e l’assessore Simona Gregori, citando pure Hans Georg Gadamer, il filosofo che amava le Marche – con la cultura si può far reddito, si può mangiare ed andare avanti: l’unico bene destinato a crescere seppur diviso fra tutti”. E il rettore di Unimc, Luigi Lacchè: “Viviamo tra il piccolo (delle città, ndr) e il bello assoluto (dell’arte, ndr) e viviamo bene” Tanti i motivi di una giornata particolare, al di là del taglio del nastro di un museo che ospita Pinturicchio, Allegretto Nuzi, Crivelli, Pietro D’Alessandro, Paolo e Giovannino Veneziano e sopratutto i fratelli Salimbeni (“Nel Gotico internazionale vengono prima del glorioso Gentile da Fabriano e di Lorenzo Monaco” ha osservato Paolucci). Tanti, dicevamo, a cominciare dalle lacrime autentiche di Martini che ha ringraziato (“grazie, Alessandra”) chi pure all’opposizione, così come Gabriela Lampa, ha collaborato all’evento che riguarda l’intera città, e l’opera costante del personale comunale a gettare oltre ostacolo forze e cuore –a contraddire gli scandali italioti del menefreghismo, dell’inattivismo e non solo di molti dipendenti pubblici, è stato sottolineato.
Molti ringraziamenti sono andati ai due Convitati di pietra: l’arcivescovo di Camerino-San Severino, Francesco Giovanni Brugnaro e Vittorio Sgarbi, che venerdì ha presentato in prima assoluta la mostra Cavallini-Sgarbi a Palazzo Campana, nella vicina Osimo, con gli auspici di Regione e Comune. Entrambi assenti (dall’ex sindaco ed assessore sono pervenuti i saluti), entrambi protagonisti della ‘primavera culturale settempedana’ soprattutto il secondo ‘iniziatore’ di quel modello come amministratore e curatore di importanti mostre in città. Brugnaro –già assessore alla Cultura a Padova, da laico – ha avuto una citazione particolare per le indicazioni circa il ‘600. E Paolucci: “Un’importante e doverosa riscoperta, considerato che l’arte a San Severino sembrava avere nel ‘500 il suo capolinea. E così non è”.
Da parte sua il professor Pier Luigi Falaschi ha segnalato l’importanza di avere anche un ‘museo diocesano’ in un territorio dove sono presenti 486 luoghi di culto, nella stragrande maggioranza storici. Tanti i chiamati sul palco, prima del gran finale che forse meritava uno spazio maggiore visto che si trattava della conferenza inaugurale di Paolucci, con a fianco il progettista degli interventi, Luca Maria Cristini e del direttore scientifico dell’allestimento, Alessandro Marchi. Entrambi lodati dall’ex ministro che ne ha condiviso le scelte, soprattutto il nuovo cromatismo in rosso e l’aver dedicato ‘alle piccole patrie’ un’intera stanza: gli stendardi delle varie comunanze presenti nel comune settempedano. Cristini, elettrico e felicissimo, ha segnalato che nel ‘nuovo’ museo ha trovato posto anche l’antico stemma comunale che nell’androne del palazzo era diventato ricettacolo diurno di pipistrelli. Una salvazione che si doveva fare, come molte altre cose restano naturalmente da fare, compreso un ascensore. Ma molto è stato fatto anche per la protezione e la sicurezza della Pinacoteca stessa che potrà essere ora ‘goduta’ interamente anche dai disabili, con un percorso che nuove tecniche hanno messo a punto. Tra i prossimi eventi nel museo “riallestito ci sarà anche una mostra sui carteggi tra Montale e il settempedano Zampa.
E’ stata infine una festa cui ha partecipato, con un intervento dal palco, il rettore di Unicam, Flavio Corradini, per cinque anni studente di scuola media superiore a San Severino. “Cinque anni indimenticabili, nel segno della cultura” ha detto l’ex allievo maceratese del ‘Divini’. In platea tanti ‘allievi’ di Paolucci a cominciare dalla soprintendente Anna Imponente Ruffini. E tra gli amministratori locali anche la vicesindaco di Macerata, Stefania Monteverde insieme con la dirigente alla Cultura, la settempedana Alessandra Sfrappini. E in direzione della realizzazione del ‘nuovo’ museo citazione d’obbligo per Gal Sibilla (presente Stefano Giustozzi), il sistema museale provinciale, Assem, Novapower ed una serie di sponsor, utilissimi in tempi di crisi e spending review, scontati sulla pelle dei comuni.
Un unico rimpianto? Quello che l’ospite d’inverno, l’ex ministro non potrà visitare Elcito (“molto più bello di Firenze dove è atteso” ha scherzato il conduttore Pallotta). Il paesino dove vivono stabilmente soltanto due persone, ma che è perfettamente restaurato, venne citato in anni ormai lontani dal Touring club come l’unico paesaggio andino in Europa, è per la piccola grande Capitale dell’Arte, la testimonianza del ‘museo diffuso’ non presente soltanto all’interno della città murata con al centro la ‘conchiglia’ di piazza del Popolo, ma pure sui monti a 25 km dal capoluogo. “La cultura ce l’abbiamo nel sangue –ha detto Martini- Un esempio: questa Pinacoteca piena di tesori, tre teatri che alzano 150 volte l’anno il sipario, 400 abbonati con il ‘Feronia’ che di posti ne ha 380…”. Insomma nell’arte, San Severino Marche vuole continuare a far reddito, vivere, crescere e (ri)nascere nonostante l’editto dell’ultima vigilia di natale che da Ancona impone la chiusura del Punto Nascite, un’altra eccellenza –questa in procinto di cassazione – di questa città ‘al confine’.
(foto Hexagon Group)
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San Severino sera toujours San Severino.