di Giancarlo Liuti
In alcune graduatorie di merito – quelle elaborate dal “Sole 24 Ore” e da “Repubblica” – l’università di Macerata figura per vari aspetti fra le migliori d’ Italia, comprese le più grandi, e il suo prestigio su scala nazionale è tale da aver fatto crescere – anche quest’anno – il numero delle immatricolazioni, che negli ultimi tempi è aumentato del 14 per cento mentre nel complesso degli altri atenei statali è diminuito del 6,4. I dipartimenti maceratesi – ai miei tempi si chiamavano corsi di laurea – sono cinque: economia e diritto, giurisprudenza, scienze della formazione, scienze politiche e studi umanistici che comprendono filosofia, lettere, lingue straniere e mediazione linguistica (la sede degli ultimi tre si trova in corso Cavour nel neoclassico Palazzo Ugolini).
Di questa premessa, che riguarda le cose grandi, va tenuto conto nell’occuparci di una cosa piccola, che è piccola – ma non tanto – allorché la si confronta con le grandi che ovviamente contano di più. E mi riferisco all’incredibile scarica di strafalcioni abbattutasi sulle targhe-lapidi di alcune aule della facoltà di lettere. L’idea dell’ex direttore Filippo Mignini, in pensione dalla fine di ottobre, era ammirevole anche sotto il profilo della capacità comunicativa: intitolare le singole aule a figure immortali della poesia e più ampiamente dello scibile umano quali Dante, Virgilio, Erodoto, Dostoevskij, Confucio, Averroè, Balzac e altri. Dopodiché, all’ingresso di ogni aula, apporre una targa-lapide con sintetiche notizie sul personaggio celebrato: data di nascita e di morte, qualche suo verso, qualche suo motto.
Ebbene, il 29 di ottobre – dieci giorni fa – Cronache Maceratesi dette notizia dei madornali errori che figuravano sulla targa-lapide di Dante: data di nascita 1256 invece di 1265 e quel celeberrimo verso del XXVI canto dell’Inferno che dovrebbe essere “Fatti non foste a viver come bruti” e invece saltava fuori come “Nati non foste a viver come bruti”. E ancora: “Per seguir virtute e conoscenza” invece della parola “canoscenza” che Dante aveva usato pare in chiave arcaica e meridionalistica. Piccola cosa, si dirà oggi nel prevalere a ogni livello e in ogni occasione dell’approssimazione, della superficialità, della fretta e dell’ignoranza che purtroppo hanno vastissimo campo nell’universo del Web, di Internet e dei Social Network. Ma qui si trattava di un dipartimento universitario e la cosa non poteva non fare scalpore. Numerosissimi furono infatti i commenti più o meno indignati dei lettori, uno dei quali, firmato dal poeta Filippo Davoli nello scrupoloso rispetto degli endecasillabi danteschi fu, con amarezza e feroce sarcasmo, il seguente: “Fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza. / Indi, seppur tirandovela, o bruti, / dovete constatar vostra insipienza. / Così ridotto avete il bel Palazzo / dell’Itala cultura e della scienza, / divenendo di tutti gran sollazzo. / Niun ch’abbia segnalato ‘l grave errore: / niun che si sia sdegnato, in quello sguazzo. / Né uno studente e manco un professore. / Così la nostra Atene se ne va: / tra movide, spocchiette e disonore. / E questa, amici, è l’Università”.
E che accadde il giorno dopo? La targa-lapide di Dante fu tolta ma non si ebbe notizia di un’indagine interna per sapere chi fosse l’autore di quegli strafalcioni. Un docente? Peggio! Uno studente? Meno peggio, ma di poco! Uno del personale amministrativo? E perché mai quell’incarico di così notevole impegno culturale era stato affidato a un ragioniere o a un esperto di contabilità? E se invece fosse stato un bidello (pardon: oggi bisogna dire “operatore scolastico”) o magari la donna delle pulizie che oggi andrebbe più dignitosamente definita “operatrice ecologica”?
Altre cose, comunque, sono poi emerse, sempre su questo giornale. Ossia che errori del medesimo tipo e dunque della medesima mano vi sono pure nelle targhe-lapidi di altre aule: quella dedicata a Virgilio, con la parola “urgen” invece del latino “urgens”, quella dedicata a Dostoevskij, la cui data di nascita e morte sarebbe la stessa – toh! – di Goethe, come se il romanziere russo fosse coetaneo del poeta tedesco. E ancora mancanze – nessuna data, nemmeno sul secolo – per Confucio ed Erodoto. E Averroè, chiamato “Roshd” invece di “Rushd”. Povera idea di Filippo Mignini, che misera sorte le è stata riservata!
Adesso c’è, finalmente, un comunicato ufficiale del nuovo direttore Carlo Pongetti. Eccolo: “Eravamo consapevoli degli errori, dovuti a sviste del tipografo o nostre, ma non abbiamo considerato il problema in cima alle priorità del Dipartimento. Ora non possiamo prendere impegni di spesa perché manca poco alla chiusura del bilancio, ma provvederemo a rifare le targhe non appena ne avremo la possibilità”. Poche e laconiche righe,in linea coi 140 caratteri imposti da Twitter. Prima considerazione: questa vicenda non sta “in cima alle priorità del Dipartimento”, da cui si deduce che ad essa non va data troppa importanza. Seconda considerazione: “Errori forse dovuti a sviste del tipografo o nostre”, da cui si deduce che ancora non s’è capito se gli strafalcioni vanno addebitati al tipografo oppure a qualche docente oppure a qualche studente (ma per quale capogiro il tipografo si sarebbe sognato di cancellare o modificare intere parti dei testi che gli erano stati consegnati?). Terza considerazione: visto che un ateneo statale non vive in un irraggiungibile empireo ma è immerso nella società civile dalla quale trae la sua ragion d’essere ci saremmo attesi un pur timido cenno di scuse che invece è totalmente mancato.
Ma basta. Nella speranza che a questa brutta storia si ponga presto rimedio preferisco passare a una dimensione più leggera, divertente, scherzosa. Ai tempi della mia giovinezza noi studenti osavamo dipingere, la sera, nerissimi baffi sui volti in marmo dei personaggi eternati lungo il corridoio d’ingresso dell’università, baffi che l’indomani venivano cancellati dall’usciere. Una goliardata, la nostra. E perché non pensare a una goliardata pure per gli strafalcioni su Dante e Virgilio? Non a caso sono stati perpetrati proprio nel periodo di Halloween, la festa celtica nella quale bambini travestiti da maghetti vanno nelle case chiedendo qualche dono e dicendo “dolcetto o scherzetto?”. Ebbene, nella nostra facoltà di lettere è stato fatto il pessimo scherzetto di travisare nomi, date e parole. E il dolcetto? Per ora niente di dolce e molto di amaro, ma mi sorregge la fiducia che il nuovo direttore Pongetti manterrà la sua parola. Qualche dubbio non manca, specie sulla contiguità di pensiero e di azione con Mignini. Staremo a vedere.
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Non è una citazione dantesca, ma renziana. Anche il premier concittadino di Dante parla di ‘conoscenza’. È il prezzo da pagare al potere…
A farne una questione d’etichetta si potrebbe notare, oltre a quella delle pubbliche scuse, anche la mancanza di pubblici ringraziamenti a chi ha scoperto gli strafalcioni, ma che cos’è un professore universitario se non una varietà tra le più pregiate tra quelle di coloro che hanno sempre cose più importanti alle quali pensare per il bene di noi tutti?