di Giancarlo Liuti
Fino a tempi abbastanza recenti la comunicazione fra le persone era in gran parte affidata alla parola parlata, per telefono, in strada, al bar, nelle cene e negli incontri tra famiglie, mentre da circa dieci anni, grazie al Web, ai Social Network e agli spazi d’intervento garantiti dall’informazione “On line”, essa si affida in misura crescente alla parola scritta. Entrambe le parole, quelle parlate e quelle scritte, hanno però delle regole, sia prese una per una sia incluse in frasi più o meno ampie e più o meno complesse. Ma, come notavano i nostri padri latini col motto “verba volant, scripta manent “, l’inosservanza delle regole – gli errori – appare pochissimo nelle parole parlate, che volano subito via, mentre è evidente – e lo rimane – in quelle scritte. Per cui chi le legge può farsi l’idea che il loro autore sia privo delle più elementari nozioni di ortografia, grammatica e sintassi della lingua italiana. Un’idea che non tiene conto della progressiva perdita di valore, oggigiorno, della “disciplina” non soltanto nell’uso delle parole ma in qualsiasi altro aspetto della vita sociale – la diffusa illegalità, l’esasperato individualismo – e soprattutto, come vedremo, non tiene conto della epocale rivoluzione portata da Internet nei rapporti interpersonali e nei modi di esprimersi.
Ma adesso, per alleggerire un discorso che ahimè stava diventando noioso, cito un episodio verificatosi settimane fa all’ospedale di Macerata, la cui direzione decise di tranquillizzare i pazienti e i loro familiari informandoli sulle misure di sicurezza che si rendessero necessarie nella malaugurata ipotesi di accadimenti disastrosi. E a tale scopo fece affiggere cartelli il cui testo iniziava così: “Si rende noto a tutti gli utenti che il personale è preparato ad operare in caso di incendio o altra calamità secondo un prestabilito piano d’intervento”. Più sotto si accennava anche alle modalità di un eventuale “ordine di evacuazione”. Perfetto, ottima iniziativa. Ma siccome quello di Macerata è un ospedale di livello provinciale ed è giusto che tenga alto il prestigio della sua immagine, fu stabilito che quei cartelli contenessero anche la traduzione in tre lingue, l’inglese, il francese e il tedesco. La qual cosa venne affidata a colui – o a coloro – che aveva scritto il cartello in italiano.
Tralascio l’intero testo in inglese, che comunque contiene errori nella declinazione dei verbi e nelle congiunzioni, e immagino un turista britannico che si fosse recato in ospedale per essersi slogato una caviglia durante una visita alle bellezze del centro storico di Macerata. Ebbene, cosa ci avrebbe capito? Gli “utenti” son diventati “consumers”, ossia clienti di un supermercato. E “calamità” è diventata “magnete”, ossia “calamita”. E il “piano” è diventato “floor”, ossia il piano di una casa. E poi immagino che quel turista fosse berlinese, nella cui lingua “evakuierung” può significare anche abbandono in massa di un luogo ma più comunemente significa “andar di corpo”. Insomma il responsabile di quelle traduzioni, del tutto ignaro delle lingue straniere, s’era affidato, parola per parola, a uno dei “traduttori automatici” forniti da Internet. Ecco allora che “utenti” si trasforma in “consumatori”, “calamità” in “calamita”, “piano d’intervento” in “piano di casa” ed “evacuazione” in ciò che si fa seduti sul water. Vedete le insidie del Web?
Ma veniamo ai casi nostri, cioè al linguaggio dei numerosi commentatori “on line” agli articoli di Cronache Maceratesi. Ve ne sono molti scritti in perfetto italiano. Applausi. Altri un po’ meno. A un esponente politico di livello provinciale, per esempio, è capitato di scrivere “un’uomo” con l’apostrofo. Distrazione? E sia. Ma qua e là non mancano “ben ti stà” con l’accento, “da un bel po” e “pover uomo” senza l’apostrofo, “gente che ti chiedono”, “gente che stanno facendo”, “stiamo apposto”, sciaqquatevi la bocca”, “a collocuio”, “scuadra”, “criticare alle istituzioni”, “questi signori dovrebbe”, “non cera” (ma non si parlava di api), “li dietro”, “tanto so bravi” eccetera eccetera. Dimenticanza delle nozioni apprese alle scuole elementari? Parrebbe di sì. Ma uno dei nostri abituali commentatori si è infine scusato dicendo “dovrei essere più attento quando scrivo ma non ho il tempo di rileggere e riflettere sul fatto che scrivendo velocemente si possono usare termini sbagliati”.
Ebbene, a lui, non identificabile in quanto coperto dal “nick name”, va la mia ammirazione perché ha messo, come s’usa dire, il dito sulla piaga, ossia le dita sulla tastiera del computer che corrono più svelte del pensiero nella simultaneità di vari impegni mentali (mentre si scrive può accadere che il televisore sia acceso e si stia guardando una partita di calcio, o che squilli il cellulare e si controlli chi è stato a chiamare, o che giungano e-mail e in attesa di aprirle ci si chieda da dove provengano). Tutto ciò, che deriva dagli enormi sviluppi della tecnologia comunicativa, è definito “Multitasking”, ossia il dover fare più cose in uno stesso brevissimo tempo. E sono cose impegnative per il cervello, che invece è strutturato per farne una alla volta e per concentrarsi su di essa, mentre gli “Smartphone”, che oggi si stanno sostituendo ai cervelli, son capaci di fare – nell’attimo di un “nanosecondo” – le cose più disparate.
A sostegno di quanto ammesso dal commentatore di cui sopra, giunge ora l’allarme degli scienziati in neurologia di alcune autorevoli università, quella di Dallas, il cui Centro per la Salute del Cervello è di fama mondiale, quella del Michigan e quella di Ginevra. E quali sono gli effetti negativi del “Multitasking”? Gli errori, certamente, che tuttavia, nel caso dei commenti su Cm, sono veniali, al massimo fanno sorridere e lasciano il tempo che trovano. Ma ci sono effetti peggiori, perché questo simultaneo “iperattivismo mentale” nuoce, e non poco, alla naturale funzionalità del nostro cervello. C’entrano pure i “traduttori automatici” – stavolta ospedalieri – di Internet? Sì, in qualche modo. Vi era stato fatto ricorso per esaltare il prestigio del nosocomio di Macerata ma il risultato, purtroppo, è stato il contrario. Insomma, va a fidarti dei fenomenali progressi della tecnologia!
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In morfologia, per declinazione si intende la flessione di un nome, aggettivo o pronome secondo il genere, il numero e il caso.
Il concetto di declinazione è dunque simile a quello di coniugazione, la quale riguarda però i verbi secondo la persona, il tempo, l’aspetto.
Sutor, ne ultra crepidam…
credo che il problema non dipenda da internet o dal PC,ma abbia radici più profonde…
Sensazionale soprattutto la scoperta che se non hai cervello il computer non può aiutarti molto, seguita a ruota da quella che se metti troppa carne al fuoco o la bruci o la cuoci poco.