Al ritorno da dodici giorni trascorsi in Iran mi convinco una volta di più che compiere viaggi in paesi lontani significa conoscere, sia pure superficialmente, cioè da turisti, realtà sulle quali, prima di partire, avevamo idee pregiudiziali derivanti da anni di scuola, conformismi morali e politici, steccati religiosi, informazioni di parte. Idee non del tutto sbagliate, intendiamoci. Ma il confronto “de visu” con quelle realtà induce, almeno in parte, a cambiarle, spesso in meglio, e a maturare una più vera visione del mondo. Una visione che nel Duemila sta diventando una ineludibile esigenza esistenziale per ciascuno di noi. Perché il mondo sarà pure grande ma dobbiamo fare i conti col fatto che a mano a mano si fa sempre più piccolo – la globalizzazione dell’economia, lo sconfinato potere della finanza, i fenomeni migratori – e viverci senza capirlo vuol dire estraniarsi dal futuro che avanza e condannarsi a una sconfitta epocale.
Eravamo in sedici. Tutti maceratesi, della città o della provincia. L’Iran, dunque. Un grande paese collocato in un’area, quella medio-orientale, che negli ultimi decenni è stata ed è scossa da gravi tensioni di carattere nazionale e internazionale (l’Iran confina con l’Iraq, dove si tagliano teste, e con l’Afghanistan dei “talebani”). Ma oggi questo paese si va rivelando come il più compatto, il più stabile e il più sicuro, il che deriva anche dalla sua storia millenaria e dalle monumentali testimonianze di un passato che parla di filosofia, scienza, arte, letteratura e insomma di “civiltà” nel senso onnicomprensivo del termine. Non è questa la sede per entrare nel dettaglio – sarebbe troppo lungo – delle sue vicende, dalle remote genti indoeuropee che l’abitarono cinquemila anni fa ai vastissimi imperi persiani che nel corso di venti secoli, fino alle soglie del Novecento, subirono sì le invasioni di Alessandro Magno, dei Romani, dei Turchi, dei Mongoli e soprattutto degli Arabi, ma sempre, talvolta più forti, rinacquero. Tutto questo è lì. E basta aprire gli occhi: sacrari, regge, moschee, piazze sontuose, altissimi archi, torri del vento, palazzi da favola. Molto eroso – non cancellato – dal tempo, ma molto ancora ammirabile nella sua intatta bellezza, a documentare una coscienza di patria che non si è mai spenta neanche nelle vicissitudini più disastrose.
Il Novecento, dicevo. E, oggi, il Duemila. Le riforme filo-occidentali dei Pahalavi (gli scià Reza Khan e il figlio Reza), la rivoluzione del ’79 che estromise l’ultimo Pahalavi e la sua corte per gli eccessi di un esercizio troppo personale del potere, la durissima svolta teocratica e anti-occidentale dell’ayatollah Khomeyni che fece dell’Iran un’isola ermeticamente chiusa ad ogni fermento di progresso, l’attuale e cauta moderazione (non già nei sacri principi, che sono rimasti, ma nei fatti, con significative aperture al mondo esterno) dei governi che via via – non senza passi indietro, e si pensi al presidente “atomico” Ahmadinejad, sostituito l’anno scorso dal ragionevole Rohani – si sono succeduti al khomeynismo. Non più come impero e non più come Persia, giacché nel 1933 lo scià Reza Phalavi ne cambiò il nome in Iran per sottolineare quell’identità indoeuropea che lo differenzia dagli arabi. E il futuro? Ai posteri l’ardua sentenza. Ma la sensazione è che l’Iran sia in marcia verso la modernità del mondo. E che la modernità del mondo dipenda anche dall’Iran.
E noi? Ci siamo andati da italiani e da maceratesi, seguendo l’organizzatore del viaggio e guida culturale Berzad Nikzad, cinquantasei anni, un iraniano che nella tempesta del ’79 lasciò avventurosamente il proprio paese e venne in Italia, dove apprese la nostra lingua all’università di Perugia, si iscrisse all’università di Camerino, si laureò in geologia, si trasferì a Macerata, si sposò con una maceratese, ne ebbe due figli e si dedicò al commercio di prodotti iraniani – tappeti, oggetti d’arte – e all’allestimento di soggiorni turistici nella sua terra d’origine. E fin da prima dell’inizio del tour l’amichevole rapporto fra noi maceratesi purosangue e questo maceratese di adozione ci è stato prezioso come stimolo di reciproca intesa. Poi, nel corso del viaggio, non sono mancate le occasioni di scoprire imprevedibili affinità fra noi e loro. E’ ben nota, ad esempio, la lunga lotta concorrenziale del nostro Enrico Mattei contro l’oligopolio petrolifero angloamericano delle “Sette Sorelle”. Ebbene, questa lotta ebbe inizio, nel 1953, proprio in Iran, quando il presidente dell’Eni e lo scià Pahalavi firmarono un contratto di sfruttamento del petrolio assai vantaggioso per quel paese. E fu una strategia che via via si estese ad altre nazioni medioorientali e dell’oriente europeo, una strategia contro la quale non cessarono le reazioni dei “poteri forti” occidentali, fino alla tragica morte di Mattei nell’attentato del 1962. E sentir parlare con gratitudine, in Iran, di questo marchigiano è stato per noi motivo di orgoglio.
Ma la scoperta più clamorosa – assolutamente inattesa per le idee con cui eravamo partiti – ha riguardato la gente iraniana, in particolare le donne. Gente entusiasta degli italiani, sorridente, gentile, pronta a darci una mano per qualsiasi cosa (una di noi s’è fatta male a una caviglia e subito gli inservienti di un vicino negozio si sono precipitati a procurarsi per lei un sacchetto di ghiaccio), fiera di mostrarci i suoi bambini, curiosa di noi più di quanto non lo fossimo noi di loro. Chiedevano soldi? Assolutamente no. A parte il fatto che scippi e borseggi, lì, sono rarissimi (in Italia, purtroppo, va peggio), in dodici giorni ci siamo immersi nelle folle di grandi città (Teheran, 14 milioni di abitanti, Esfahan, due milioni, Shiraz, un milione) ma abbiamo incontrato solo tre vecchi e timidi mendicanti. Ripeto: eravamo partiti con la convinzione di visitare un paese chiuso in se stesso e ne abbiamo trovato uno che in quanto a rapporti umani, verso gli stranieri ma non solo, è meno chiuso di Macerata, dove l’arrivo di qualcuno da fuori suscita un indifferente distacco e ci si conosce poco addirittura fra inquilini di uno stesso palazzo.
Iran chiuso rispetto al mondo? Per le leggi d’impronta islamica ancora lo è, in una certa misura. Per la gente non più. I costumi del popolo, insomma, sono più avanti delle leggi. E chi le applica ne tiene conto. Si pensi all’informazione planetaria che giunge dalle parabole satellitari: ce ne sono diverse, specie nei quartieri benestanti, e sarebbero vietate, e ogni tanto le autorità ne sequestrano una, ma altre rimangono. Si pensi alla percentuale relativamente alta di iraniani che frequentano Facebook facendosi “amici” in ogni continente. E si pensi alla circostanza che nelle case private i canali televisivi da antenna son tutti iraniani ma negli alberghi e nei ristoranti ve ne sono di inglesi e francesi.
E le donne? Indossare un velo nero che lasci scoperto solo l’ovale del viso e, sotto, una gonna nera fino ai piedi è obbligatorio in applicazione dei dettami del Corano e questa è per l’appunto una regola che intende esprimere, in pubblico, la riservatezza, la castigatezza, la modestia, forse la subalternità della donna. Ebbene, le iraniane, e non soltanto le giovanissime, girano sì vestite in questo modo, ma il viso di molte di loro è truccatissimo, labbra di uno scarlatto che pare una fiamma, morbida cipria sulle gote, occhi evidenziati da sottolineature nerissime, lunghe ciglia finte e alcune, come mi ha detto un ragazzo che parla l’inglese, ricorrono alla chirurgia estetica per ritoccarsi il naso. E sul velo che circonda il volto capita di notare, in rosso acceso, le scritte ultraoccidentali “Gucci” o “Prada”. La legge, certo. Che ormai ha ben poco, però, della riservatezza, della castigatezza, della modestia, della subalternità di un tempo. C’è invece il desiderio – come da noi – di esibire la propria bellezza. E ne ho viste tante, di donne, armeggiare, in strada, con gli “Smartphone” e gli “iPhone”. E c’era stato detto di non toccarle mai, le donne, per nessuna ragione. Ma sono state loro, talvolta, a porgerci la mano e a stringere la nostra. Altri passi, quindi, verso una modernità “liberale” che sa di Occidente. O, meglio, che sa di Mondo Nuovo.
Da ultimo, e per due motivi che in qualche modo ci riguardano, mi soffermo su Shiraz, la patria e la tomba del trecentesco poeta lirico e mistico Hafez, uno dei padri della poesia iraniana, nelle cui composizioni non mancarono, già allora, accenni all’ipocrisia di chi si autodefinisce giudice di rettitudine morale. Davanti alla sua tomba ci siamo capitati di venerdi, che per gli iraniani corrisponde alla nostra domenica. C’erano centinaia di persone, forse non esperte di letteratura ma che nel suo nome rendevano omaggio alle radici nobili del loro paese. Tornato a casa ho cercato i suoi versi e ho scelto questo: “Ero perso con lo sguardo verso il mare. / Ero perso con lo sguardo verso l’orizzonte. / Tutto e tutto appariva come uguale”. E il mio pensiero è corso al “Naufragar m’è dolce in questo mare” del nostro Leopardi. Ma da noi non ci sono centinaia di persone che la domenica vanno a ricordarlo davanti alla tomba di Napoli o alla casa natale di Recanati. Sto fantasticando, lo so. Anche questo, però, mi è parso un nostro, pur vago e controverso, riferimento all’Iran. Non sarà che nonostante il loro non alto tenore di vita gli iraniani sono contenti di essere iraniani e questa è una forza, mentre noi italiani – non solo oggi, a causa della crisi, ma da sempre – non siamo contenti di essere italiani, e questa è una debolezza? E un altro spunto, sempre a Shiraz, riguarda il vino. Parrà davvero strano (in obbedienza al Corano gli iraniani non bevono alcolici) ma il vitigno che produce il rosso Syrah giunse in Europa, misteriosamente, mille anni fa, proprio dalle campagne di Shiraz. E che c’entriamo noi marchigiani? C’entriamo, perché a Cupra Marittina c’è la cantina “Oasi degli Angeli” che coltiva quelle viti e ne trae quel vino.
Nel rappresentare la Persia di ieri e l’Iran di oggi ho scelto una chiave diversa da quella che secondo la consuetudine turistica dovrebbe illustrare soprattutto le magnificenze storiche e culturali di ogni paese. Una chiave, la mia, che può apparire dimentica di quei valori. Ho tuttavia privilegiato un aspetto che mi è sembrato non meno importante, ossia, con uno slancio opinabile ma sincero, la “maceratesità” dell’Iran e la “iranietà” di Macerata. Ne chiedo venia, ma talvolta le piccole cose dicono più delle grandi perché, sommessamente ma con immediata spontaneità, aiutano a farci rendere conto di ciò che, sia pure a fatica, s’intende per “uguaglianza” fra gli esseri umani.
(Foto di Americo e Marilena Sbriccoli)
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Bella esperienza
Grazie. Ho trascorso, leggendoti, qualche importante momento in Iran.
Le “nostre” signore vestite come le loro ( è obbligo farlo ).
http://www.ncr-iran.org/it/articoli-mainmenu-71/26-regime/4623-un-portavoce-di-amnesty-international-l-iran-e-un-violatore-seriale-di-diritti-umani.html
Complimenti Giancarlo, per il viaggio affascinante e per il racconto delizioso. E per regalarci ogni settimana questo spazio d’alta scuola.
(video NON adatto ad un pubblico minorenne o facilmente impressionabile. Immagini moltio forti, soprattuto nel finale)
In pochi la ricordano, era il 2009 e stava soltanto lottando per la sua libertà.
Ciao Nada
https://www.youtube.com/watch?v=Mxt5cdhBnc4
abbiamo fatto la stessa meravigliosa esperienza nell’aprile scorso e visitare un Paese così bello in compagnia di Behzad è davvero un’esperienza unica.
https://www.facebook.com/media/set/?set=a.10203075397557315.1073741844.1577163144&type=1&l=eee470e84f
Sì, nella corsa verso il Mondo Nuovo l’Iran e Macerata se la giocano proprio testa a testa tra di loro, in un appassionante duello dall’esito ancora incerto, entusiasmante come quello per la conquista dello Spazio nel quale si cimentarono gli USA e l’URSS del secolo scorso, ma di ben più alto livello culturale.
Se però Macerata e l’Iran dovessero decidere di tagliare il traguardo del Mondo Nuovo fianco a fianco, e sollevandosi al cielo a vicenda il braccio trionfatore, ne deriverebbe un’apoteosi ancor più bella, una vera e propria palingenesi universale e globale.
E’ inoltre possibile che prossimamente qualche estimatore del rosso syrah se ne esca, da quella cantina di Cupra Marittima sulla quale un Liuti quasi presago dottamente ci ragguaglia, con l’idea che l’antica Persia fosse nel maceratese. Ormai si sa che, specie quando può far leva su punti d’appoggio di natura enologica, il radicale ed illuminante revisionismo storico alla maceratese non perde un colpo e non dà tregua neanche al più pervicace pregiudizio.
Ogni critica sarebbe inutile: questo “articolo” è talmente pieno di concetti vuoti da mediocre benpensante che risulta incommentabile.
L’unico commento che potrebbe avere valore sarebbe quello espresso dalla ragazza che il mese scorso è stata arrestata a Teheran (il fulcro della spinta moderna mondiale secondo questo pover’uomo) perchè era presente ad una partita di pallavolo maschile.
Altri commenti utili sarebbero quelli delle donne lapidate nel moderno Iran, o dei gay che sicuramente vivranno meglio che in Italia: un paese talmente moderno che sicuramente la società è più avanti delle leggi.
Pensare solo lontanamente certe cose sono un insulto all’intelligenza e alla vita di chi viene perseguitato in quel paese perchè vuole vivere libero.
E’ una vergogna che ogni giorno certa gente utilizzi la libertà di cui qui gode quotidianamente per insultare intellettualmente la vita di chi in altri paesi non può goderla, e vogliono anche passare per i “buoni”: uno schifo intellettuale.
Cetro che l’IRAN è un paese OSCUSO, ma più che incomprensibile è INACCETTABILE!
Un paese che impicca gli omosessuali, che condanna a morte chi si converte ad altre religioni per blasfemia, che condanna a morte le donne accusate di adulterio, ecc.., che condanna a 6 ANNI di galera dei giovani solo perché in un video ballavano a suon di musica … ma COSA andiamo CIANCIANDO, volgliomo per caso in qualche modo “capire” un regime intollerante e brutale? Risparmiateci questee c…te che sono una offesa verso le vittime di questo regime.
Liuti se le e’ piaciuto cosi’ tanto perche’ non ci e’ rimasto cosi’ ci risparmia questi articoli? Poteva chiedere alle donne se si divertono tanto in quei posti. E’ incredibile come i sinistrorsi che tanto si sono battuti a suo tempo per la liberazione delle donne e dei diritti civili siano oggi cosi’ affascinati dai regimi di questo tipo e di fronte a repressione lapidazioni e divieti di ogni genere stiano zitti zitti. Solo quando c’e’ di mezzo il Papa e il cattolicesimo tornano leoni e ritrovano il coraggio tanto sotto casa sei sicuro non ti aspetta nessuno.
ma se le nostre donne devono mettersi in abiti tradizionali per rispettare le loro usanze, perchè allora le loro donne quando vengono da noi non rispettano le nostre usanze togliendosi i veli/teli/stoffe varie? Non credo che le donne di quei paesi siano poi cosi libere se non possono nemmeno andare a vedere una partita di pallavvololo.
C’è chi si imbacucca e c’è chi il velo se lo toglie in barba a Khomeini. Ma non tutte si chiamano Oriana.
M’accorgo d’esser proprio un ragazzo fortunato, perché per apprezzare certe piacevolezze da Mondo Nuovo io non ho neanche bisogno di scomodarmi ad andare in Iran. Mi basta rimanere a Camerino, dove – in perfetto spirito liberale di “camertitudine” o di “maceratesità” o di “iranietà” che a questo punto dir si voglia – tra le altre mi vien donata la gioia d’una raffica di processi per diffamazione avendo io osato ribellarmi a certi notabili locali che mi sanificano (e santificano) l’aria di casa immettendomi dalle finestre innovativi e balsamici fumi di caldaia e di cucina (di marchio esclusivo camerte, più buoni del profumo del rosso syrah) e che m’intrattengono nottetempo con il molto cinetico “studiare” di studenti d’eccellenza talvolta capaci d’attirare ad ore antelucane nel condominio dove vivo (senz’altro in virtù del carisma scientifico del quale son dotati) più folla osannante di quanta se ne possa trovare il venerdì presso la tomba del poeta Hafez a Shiraz; dove ricevo il bene d’esser lapidato a parole da importanti “firme” dell’ateneo locale (personaggi che a scagliare una fatwa contro chi sgarra ci mettono quanto ci si mette a pronunciare un amen o un inshallah) e d’esser quindi sanzionato disciplinarmente dalle supreme autorità di Unicam persino in anticipo sulle sentenze d’una Magistratura che come purtroppo si sa da noi è lenta nel dispensare giustizia ma che potrebbe una buona volta sveltirsi recependo magari meglio il luminoso esempio proposto dal paese degli ayatollah.
@Anselmo Paleari
totalmente d’accordo!
grandissima Oriana e grandissimo il tuo nick 😉
Per Massimo Giorgi
Io chiederei asilo politico in Iran, ove sarebbe forse possibile sottoporre ad attento esame scientifico le esalazioni da Lei subìte. Potrebbero tornare utili nell’ormai imminente scontro con l’Isis.
Certo Bommarito, ed anche l’immediato schieramento NATO sul confine turco d’un contingente di granitiche teste camerti potrebbe creare grossi problemi all’Isis.
Come al solito, le idee preconcette prevalgono su qualunque analisi dei fatti e delle valutazioni, con nessuna disponibilità a rivederle spesso anche di fronte all’evidenza.
Non mi pare che Liuti abbia detto che l’Iran è un paradiso in terra! nessuno nega i problemi di un paese al centro di un’area da molti decenni turbolenta, anche per volontà altrui!
L’idea di Liuti mi pare che fosse la meraviglia di trovare la gente con caratteristiche che non ci si sarebbe aspettato, rispetto alle considerazione che la stampa internazionale diffonde a tappeto e che solo una conoscenza diretta riesce a sfatare.
Altra cosa ovviamente è il governo o la classe dirigente, anche se è purtroppo quella che appare soprattutto all’estero:
Anche molti italiani sperano di non assomigliare al proprio governo e forse anche a chi, senza conoscenze, ma solo per sentito dire, trancia giudizi sommari o non avendo letto l’articolo o peggio non avendolo capito, chiuso dietro i propri pregiudizi.
Comunque Bommarito, se intanto che io trovo riparo in Iran a Lei dovesse invece pigliar voglia di fare un po’ di giornalismo d’inchiesta anche qui a Cameriran, mi raccomando non dimentichi d’indossare il velo, qua le supreme autorità non amano la discriminazione di genere, sono molto paritarie.
Che vuole egregio Carlo Capodaglio, il Liuti è troppo avanti per certi parrucconi i quali, attanagliati da troppe idee preconcette, proprio non gliela fanno a tener dietro all’energico ardore anticonformista che sempre riccamente sostanzia il suo pur così lieve e misurato dire. E’ un’eleganza intellettuale davvero rara quella del Liuti, ed ogni volta che s’ha occasione di gustarla essa non manca mai di richiamare alla mente l’aforisma di Karl Kraus «Non avere un pensiero e saperlo esprimere: è questo che fa di qualcuno un giornalista».