Fra la fine degli anni cinquanta e l’inizio dei sessanta frequentai con una certa assiduità la biblioteca “Mozzi-Borgetti” e m’è rimasta impressa l’immagine di un austero signore che seduto in cattedra vigilava sul silenzio della sala di lettura e bastava un’occhiata a non far volare neanche una mosca. Ma la sua funzione era soprattutto un’altra: se qualcuno dei presenti, in gran parte giovani, aveva bisogno di una delucidazione o di un consiglio, poteva recarsi da lui, sempre senza far rumore, e chiederglieli. Su qualsiasi materia, latino, greco, storia, letteratura, filosofia, perfino scienze naturali. Dopodiché tornava al suo posto, con la mente più illuminata. Oppure si recava dall’addetto alle consegne e si faceva dare il nuovo libro che gli era stato suggerito. Ricordo che un giorno andai da lui per avere informazioni sulla “Lisistrata” di Aristofane, una commedia dell’antica Grecia che mi incuriosiva specialmente per le frequenti ed esplicite allusioni erotiche. Di queste, ovviamente non gli parlai, ma lui, dandomi del lei, abbozzò un sorriso fra il severo e il divertito: “Se le interessa proprio la ‘Lisistrata’, immagino che la sua predilezione non sia soltanto letteraria”.
Anche adesso mi capita di andare nella sala di lettura della “Mozzi -Borgetti” – la biblioteca più importante delle Marche – e sbaglierei se dicessi che l’atmosfera, lì, sia peggiorata. Ma è diversa, come diverso è il mondo. E manca lui, la sua straordinaria disponibilità di maestro, educatore, portatore di quei valori culturali e morali che nell’avanzare della modernità si sono a mano a mano affievoliti se non addirittura perduti. E chi era questo signore? Era Amedeo Ricci, direttore e potenziatore della “Mozzi -Borgetti” dal 1941 al 1964 (girava tutta Italia alla ricerca di opere da aggiungere al già formidabile giacimento esistente). Ventitré anni nel corso dei quali tantissimi maceratesi, via via affermatisi nelle libere professioni, nell’insegnamento e nella pubblica amministrazione, gli hanno dovuto gratitudine. In queste mie parole c’è sicuramente nostalgia per un passato che il ricordo della giovinezza mi fa credere più felice. Me ne rendo conto. Ma non c’è esagerazione, perché Amedeo Ricci è stato una figura di primissimo piano – e per lungo tempo – a conferma e a sostegno dell’appellativo “Atene delle Marche” del quale Macerata si vanta, con alti e bassi, da secoli.
Nato a Macerata nel 1895, laureato in giurisprudenza a Macerata e diplomato in paleografia e dottrine archivistiche a Roma, nell’arco di quarant’anni egli svolse compiti pubblici, alterni o concomitanti, in vari settori della cultura: riordinò gli antichi archivi della Delegazione apostolica e del Governatorato delle Marche, istituì e diresse la sezione maceratese dell’Archivio di Stato, fu segretario locale della Società nazionale per la Storia del Risorgimento, diresse il bollettino “Le Marche nel Risorgimento”, fu riordinatore e conservatore onorario del Museo marchigiano del Risorgimento (a proposito, che fine ha fatto quello di Macerata?), fu commissario prefettizio della società “Eredi dei Cento Consorti” allo Sferisterio e, come s’è detto, dedicò gran parte della sua vita alla direzione e alla cura della “Mozzi-Borgetti”.
E con quale stile svolse questi incarichi? Con un’altissima sensibilità per il decoro della funzione pubblica anche a prescindere dalle varie stagioni politiche, tanto che non di rado, ma con discrezione, assunse posizioni critiche nei confronti di prefetti, podestà, sindaci, assessori e questori. Il che era espressione del suo carattere: la riservatezza, l’onestà, il rigore sui principi. Ora io non vorrei parlarne come di un uomo eccezionale e magari unico. Della sua stessa tempra ce ne sono stati altri, in passato, e ce ne sono anche oggi. Ma per quanto riguarda la molteplicità degli impegni, la fermezza con cui li affrontò, il disinteresse personale e la dedizione alla cultura in tutti i suoi aspetti , il mio pensiero corre agli attuali costumi dell’Italia in generale e concludo che Amedeo Ricci una certa “eccezionalità” e una certa “unicità” se le merita. Ed è giusto – lui morì nel 1971 – che finalmente, dopo oltre quarant’anni di oblio, lo si ricordi con ammirazione.
Il ricordo, appunto. Che non giunge da un ente o da un’istituzione, come ci saremmo aspettati e ben prima di adesso, ma da un libro – curato dai figli, il pittore Nino e l’esperto in comunicazione Luigi – che s’intitola “Amedeo Ricci, Storie maceratesi”. Sono 137 pagine, arricchite da un’ampia rassegna fotografica e in alcuni esemplari da una bella acquaforte di Nino, che oltre a scritti dello stesso Amedeo sulle Marche e su Macerata (la tormentata vicenda dello stemma della città è quasi un giallo), contengono testimonianze di Pio Cartechini, già direttore del locale istituto archivistico, della docente universitaria Francesca Coltrinari, dell’attuale direttrice della biblioteca e dirigente dei servizi culturali del Comune Alessandra Sfrappini e del recentemente scomparso Libero Paci, che collaborò a lungo con lui nella “Mozzi-Borgetti” ed era notissimo in città per gli aneddoti storici vivacizzati da un umorismo spesso dialettale.
La Sfrappini apre il suo ampio intervento con una frase di Marguerite Yourcenar che la dice lunga sul valore del personaggio: “Fondare biblioteche è come costruire granai pubblici, ammassare riserve contro l’inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”. E Libero Paci? Sentite: “Si polemizzava elegantemente. Io, da ‘papalino’, gli parlavo del ‘risorgi-scucchia’, una mia traduzione maceratese del ‘risorgi-mento’, e lui mi rispondeva citando l’attivismo in campo amoroso del cardinale Giacomo Antonelli e dei soldati del Papa, che però non furono buoni a ‘carpire’ una rapa. Ma alla fine ci si riconciliava nel grande affetto per Macerata”.
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SENTIRE RICORDARE PERSONAGGI ILLUSTRI MARCHIGIANI,IN QUESTO CASO MACERATESI, DI GRANDE CULTURA E SERIETA’ FA BENE AL CUORE E ALLA MENTE..
Caro Giancarlo,
è sempre un piacere leggere i tuoi scritti. Io frequentavo meno di te la Biblioteca, ma ogni volta che ne uscivo provavo la sensazione di sentirmi a posto con la coscienza di studente.
I nostri genitori non potevano, come altri del resto, fornirci tutti i testi di cui avevamo bisogno e lì li trovavamo.Inoltre, quel silenzio, quella precisione, ordine e compostezza erano esempi di buona educazione. Poi magari, all’uscita si tornava ad essere ragazzi. E due parole due su Zeppelin le vogliamo dire ? Il primo che me ne parlò fu Claudio, e forse fu lui a battezzarlo così.
Grazie, a presto.
Un ‘pezzo’scritto con il cuore , o perlomeno l ho percepito e letto così.
Bellissime le foto, mai viste prima e sottolinerei , come dice Liuti, che la Mozzi Borgetti è la più importante biblioteca delle Marche.
Er Duca saputo
Circa ar zor Duca tu discessi, Nina,
c’un ometto aggiustato come cquello
nun ze trova in ner monno, anc’a vvolello
cercà da San Giuvanni a Tterrascina.
E io te so arisponne stammatina
che cquer nostro sor Duca, poverello,
drent’ar cestone in cammio de scervello
ce tiè ’na provatura marzolina.
Quanno jerzera je portò Mmadama
quela tartaruchetta sciuca sciuca,
sai che jje disse lui? «Sora salama,
sta bbèstia nun zi disce tartaruca,
ma ssi chiama testuccina, si chiama».
Chi le sa ste cazzate? Ir ziggnor Duca.