Acqua salata e acqua dolce
nelle lacrime di Porto Recanati

I soliti e inutili “ripascimenti” su spiagge sempre più strette e l’incredibile vicenda del troppo cloro bevuto per quasi un mese

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liuti-giancarlodi Giancarlo Liuti

L’inizio dell’estate portorecanatese, quest’anno, non è stato dei più felici. I turisti di fine giugno e dei primi di luglio, infatti, si sono trovati alle prese con due problemi che entrambi riguardano l’acqua, sia quella salata, cioè del mare, sia quella dolce, cioè del rubinetto. La prima, com’è noto, s’è mangiata una considerevole parte di spiaggia sui versanti settentrionali e meridionali della cittadina, tanto che oltre a subire i danni provocati dalla forza delle burrasche i gestori degli stabilimenti balneari hanno dovuto ridurre gli spazi solitamente riservati alle sdraio e agli ombrelloni, per cui, stando alle dichiarazioni apparse sulla stampa, non pochi bagnanti hanno deciso di tornarsene a casa.

Cominciamo dall’acqua dolce, quella da bere e da cucinare, che è stata al centro di una paradossale vicenda iniziata il 9 giugno, con l’Astea, società cui compete la gestione delle risorse idriche, che, in vista della stagione turistica e per escludere il rischio di eventuali contaminazioni batteriche, ha immesso nel serbatoio di Montarice un’eccessiva quantità di cloro, dopodiché, il 10 giugno, l’Arpam, società cui compete la tutela dell’ambiente, ha analizzato l’acqua, s’è accorta del troppo cloro e, pare, ne ha avvertito l’Astea e l’Asur, cui compete la sanità nel Maceratese. Il tutto, pare, è stato comunicato al sindaco solo il 3 luglio e il sindaco ha provveduto ad emettere un’ordinanza di non potabilità, ordinanza che il 4 luglio è stata ritirata perché l’Astea, nel frattempo, aveva fatto rientrare il cloro nelle percentuali fissate per legge. Per quasi un mese, dunque, residenti e turisti si sono serviti di acqua non potabile e non cucinabile (leggi l’articolo). Che dire? Prendendo atto di ciò che è stato ripetutamente riportato da televisioni e giornali senza rettifiche né smentite, io non faccio ipotesi di colpevolezza sulle rispettive inefficienze da cui è derivato qualche rischio per la salute delle persone. Mi limito a citare tre sigle: Astea, Arpam e Asur, che unite alle centinaia o migliaia di altre – pubbliche, semipubbliche, partecipate, parapolitiche, paraimprenditoriali – danno l’idea di come funziona l’Italia.
Ma veniamo all’acqua salata, cioè al mare. In questo caso si tratta di una questione annosa e molto più grave, per la quale non esistono soluzioni, come per l’acqua dolce, che siano magari tardive ma, alla fine, positive. No. Ogni volta che c’è una mareggiata le spiagge si assottigliano e se anni fa erano di quaranta metri adesso si sono ridotte a venti o anche meno. Oltretutto bisogna tener conto anche delle previsioni mondiali a medio termine della scienza del clima contenute nell’ultimo rapporto intergovernativo dell’Onu, previsioni che in seguito allo scioglimento dei ghiacci polari e allo scontro coi vapori più caldi del Mediterraneo annunciano anche per l’Italia giornate di intenso calore alternate a nubifragi, alluvioni, straripamento di fiumi e burrasche marine più frequenti e violente che in passato (e ne sanno qualcosa la Sardegna, la Calabria, la Liguria e altre zone costiere, non ultima la stessa Porto Recanati). Come si tenta di porvi rimedio? Col sistema del cosiddetto “ripascimento”che ogni anno consiste nel rimettere sabbia (si fa per dire, giacché spesso si tratta di materiale proveniente dalle cave pietrose dell’Appennino) al posto di quella divorata dal mare. Risultato? Provvisorio, nella speranza, affidata al Dio Nettuno, che il mare non faccia capricci. E invece li fa, sempre più spesso e sempre più aggressivi. Da che deriva la parola “ripascimento”? Dal verbo “pascere”, che significa “mangiare”, detto di animali erbivori. E siccome questi “ripascimenti” sono non soltanto inutili ma anche costosi, un forse immaginario collegamento etimologico m’induce a sospettare che esistano animali erbivori pure fra gli esseri umani.
E allora? La soluzione ci sarebbe e si chiama “scogliere”, come da parecchi decenni le ha gran parte dell’intera costa adriatica e le ha pure Porto Recanati, ma soltanto davanti al centro storico e non a caso, lì, le mareggiate non fanno danni. Niente, invece, a nord e a sud. Quel nord che porta il nome ruspante di Scossicci e quel sud che invece si chiama addirittura “Lido delle Nazioni”, a imitazione un po’ vanagloriosa del “Lido delle Nazioni” di Comacchio, località turistica giustamente famosa a livello europeo. Ma quali nazioni, santo cielo? Forse quelle del vicino Hotel House, un casermone di 16 piani, 480 appartamentini e migliaia di extracomunitari giunti da trenta nazioni diverse? Ma davvero si può pensare che loro appartengano alla categoria dei turisti estivi? O forse – ma semmai in futuro, e non è detto – quell’albergo ultralusso a sei stelle e una quarantina di villette da costruire a Montarice, sul colle del Burchio, ad opera di una società di capitali russi e ucraini per ospitare, d’estate, danarosissimi turisti russi (ma il nuovo sindaco, eletto a maggio, non è d’accordo e staremo a vedere). In questo caso, comunque, le nazioni sarebbero solo due, la Russia e l’Ucraina, che da qualche tempo, però, sono in guerra fra loro. Questo pomposo “Lido delle Nazioni”, insomma, non soltanto non è “delle Nazioni” ma, purtroppo, a forza di “ripascimenti”, non è neanche un “lido”. Ahimè quante stranezze d’acqua salata e d’acqua dolce son venute a turbare l’apertura di questa stagione balneare! Un tempo Porto Recanati era la “perla” del litorale maceratese. Oggi un po’ meno. Sia per la incredibile storia del cloro, che s’è conclusa tardi, sì, ma positivamente. Sia, soprattutto, per la un po’ misteriosa storia dei “ripascimenti”, che continuano a “pascere” chissà che cosa e chissà chi ma non certo le spiagge, chi ci lavora e chi ci va a prendere la tintarella.



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