di Giancarlo Liuti
Talvolta in corso Cavour incontro un signore cui piace discutere dell’attuale situazione politica non solo cittadina e non solo italiana. Nel parlare con lui di un tema così impegnativo e non adatto a una chiacchierata di pochi minuti fra il rumore del traffico e l’andirivieni di passanti indaffarati in altre faccende è facile perdere il filo, anche perché la questione si presta a un’infinità di riferimenti vicini e lontani. Non sempre ne condivido le opinioni – ovvio, altrimenti che discussione sarebbe? – ma è presente in me il ricordo della sua lunga e coerente militanza di partito, delle cose importanti da lui fatte a livello nazionale, delle scelte da lui compiute per ragioni ideali e non d’interesse personale, di ciò che la sua leadership significò per la città. Acqua passata, certo. Un’acqua che oggi conta pochissimo. Anzi, è zavorra. Ma così va il mondo.
Nato a Macerata nel 1936, questo signore aderì non ancora ventenne alla Democrazia cristiana e vi portò un contributo di idee che adesso potremmo definire riformiste o di centrosinistra. Presto leader in città e in provincia di quel movimento di ricambio generazionale e apertura sociale che parafrasando la “nuova frontiera” di John Kennedy fu definito dei “kennediani”, egli si affermò nel partito e a 32 anni fu uno dei più giovani deputati di Montecitorio ( a proposito: nel 1968 vennero eletti parlamentari a Macerata anche Franco Foschi per la Dc e Domenico Valori per il Pci, tutti al di sotto dei quarant’anni, il che significa che allora il ricambio generazionale, in politica, era possibile senza bisogno di “rottamazioni”). Questo signore fu uno dei semplici “peones” dell’allora corrente fanfanian-forlaniana? Non proprio. Nel corso della sua ultradecennale milizia parlamentare, infatti, da sottosegretario all’interno e da presidente della commissione affari costituzionali legò il proprio nome a due leggi di grande respiro per il progresso democratico del nostro Paese: il superamento della mezzadria, cioè il riscatto del popolo contadino da un’antica condizione di sudditanza quasi antropologica, e l’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di provincia, una legge che ancor oggi è ritenuta uno dei rari passi avanti per una maggiore valorizzazione della volontà popolare (nelle “primarie” del Pd Matteo Renzi l’ha definita un esempio da tener presente anche per quella che sarà – quando? – una nuova legge elettorale).
Nel 1975 si dimise dal Parlamento e divenne presidente della Regione Marche. Tempi duri, quelli. Il terrorismo, le cosiddette stragi di Stato, gli anni di piombo, la Dc sulla difensiva per l’avanzare del Pci di Berlinguer. Questo signore condivideva il disegno delle “larghe intese” che Aldo Moro perseguiva al fine di assecondare il processo di democratizzazione in senso occidentale del Pci e di coinvolgerlo in responsabilità di governo in vista di una più matura democrazia dell’alternanza. E lui, che era unanimemente definito il “delfino” di Arnaldo Forlani, si trovò a dover fare i conti, nella propria coscienza, col passaggio dello stesso Forlani a uno schieramento contrario a quello di Moro. Così, nel congresso Dc del 1976, i voti del suo gruppo furono pressoché determinanti per la sconfitta di Forlani e l’elezione a segretario di Benigno Zaccagnini, sostenitore delle “larghe intese” e del “compromesso storico”. Una scelta pagata cara, tanto che nel 1978 la sua giunta entrò in crisi e lui si dimise da presidente. Tornò in Parlamento nel 1983 e vi rimase fino al 1994, ma, nel frattempo, l’avvento del cosiddetto Caf (Craxi, Andreotti, Forlani) determinò la fine di ogni ipotesi di superamento del “fattore K” e ristabilì una rigorosa chiusura a sinistra. Ragioni? Torti? Ce ne furono, anche di carattere internazionale, ed è inutile, qui, tornarci sopra. Comunque, proprio nel ’78, Moro fu ucciso dalle Brigate Rosse ma tuttavia non si spense la sua visione politica, che continuò, pur sotto traccia, a marciare e molto più tardi, in piena era berlusconiana, si realizzò nell’alleanza di centrosinistra fra i partiti riformisti e da ultimo nella nascita del Pd, al quale il nostro signore ha aderito.
Veniamo a Macerata. Dal ’67 al ’92, sostenuti da un crescente consenso popolare, i “kennediani” espressero sindaci come Ireneo Vinciguerra, Giuseppe Sposetti e Carlo Cingolani (Giorgio Meschini venne dopo, a partire dal Duemila, quando il progressivo logorarsi del panorama politico italiano aveva già provocato dissapori e defezioni anche in quell’originaria militanza, ma va pur detto che nessuno dei “kennediani” fu mai neanche sfiorato dalla tempesta di Tangentopoli) e presidenti di provincia come Azzolino Pazzaglia, Giancarlo Quagliani e Luigi Sileoni. Amministratori pubblici, costoro, di non misconosciuta qualità. Luci e ombre, com’è naturale: si può sempre far meglio. Ma quegli anni rappresentarono un’epoca nella quale, anche grazie a congiunture economiche assai meno pesanti dell’attuale, non si parlava di declino della città – nuovo palazzo di giustizia, nuovo ospedale, Accademia di Belle arti, il decollo dello Sferisterio, via Mattei, il quartiere satellite di Collevario, il Centro fiere di Villa Potenza, il Centro commerciale di Piediripa, il Mercato ortofrutticolo, l’edilizia economica e popolare nelle frazioni, la visione territoriale elaborata su scala regionale dal Centro Marche, il restauro del Lauro Rossi, il gemellaggio, propiziato dal socialista Bruno Mandrelli, col “Piccolo” di Strehler – e sopravviveva il pur iperbolico mito dell’isola felice. Tutto rose e fiori? Per carità, niente trionfalismi. All’interno della Dc, del resto, c’erano contrasti fra il gruppo “kennediano”, quello doroteo di Rodolfo Tambroni e quello forzanovista di Franco Foschi, vi furono lentezze, incertezze, errori. E vi furono sconfitte, come nella pur giusta battaglia per l’arretramento dell’autostrada adriatica. Ma, nel complesso, anche grazie al fattivo contributo dei partiti laici e – meno, sul finire – del Psi, le cose positive prevalsero sulle cose negative e mi pare di poter dire che quella fu una stagione di buona politica, ovviamente col senso della realtà, la prudenza, i compromessi e la ricerca di sintesi fra varie opzioni da cui per sua natura la politica, anche quella buona, non può prescindere.
Di che si occupò questo signore quando cessò il suo impegno parlamentare e ormai da tempo, scomparsa la Dc, l’elettorato cattolico si era sparso in varie direzioni? Fu consigliere comunale e capogruppo prima dei “Popolari” e poi della “Margherita”, ma dal 2005 non ricoprì alcun incarico di responsabilità istituzionale e dirigenziale. Per usare un’espressione che non mi piace ma oggi è molto in voga, potremmo dire che si “rottamò” da solo. Uscì dunque dalla politica? Ma che significa uscire dalla politica? Chiudersi in casa, non avere più idee, non comunicarle agli altri, non tentare di persuaderli, spesso non ascoltato, con gli argomenti della conoscenza e dell’esperienza, non partecipare a riunioni, assemblee, dibattiti? Via, siamo seri. Una cosa è certa: niente, da parecchi anni, è stato deciso e fatto, nel bene e nel male, da questo signore. Il quale, per ciò che ha deciso e fatto all’epoca della sua stella, merita non oso dire ammirazione – il giudizio sull’operato degli uomini politici dipende sempre dai tempi e dalla dialettica fra le forze in campo – ma pubblica e unanime stima. Tutto qui.
Al mio articolo odierno manca solo una cosa: il nome di questo signore. Ebbene, con una punta di amara ironia su ciò che ora passa il convento, l’ho omesso per non indurre in tentazione quei pochi o quei molti maceratesi – si pensi a taluni commentatori di Cm, e imperterrito ne aspetto le furie – ai quali serve quel nome per crearsi una persona diversa, un bersaglio che sia funzionale, in alcuni vecchi, a polverosi e antichi rancori, e, in molti giovani o quasi giovani, all’impulso cieco e istintivo di rinnegare, ma senza conoscerlo, ogni passato. Una persona, voglio dire, sulla quale riversare tutte le colpe di tutti i mali di oggi, le difficoltà del bilancio comunale, i vacillamenti della giunta Carancini, le insidie provenienti dall’interno della sua stessa maggioranza, il problema dei rifiuti, la piscina, il palazzetto, le troppe multe per divieto di sosta, i buchi nelle strade, le polveri sottili, i traffici oscuri dell’edilizia, financo – è accaduto, giorni fa, in uno dei commenti – le infiltrazioni d’acqua negli spogliatoi dell’Helvia Recina. Ma bisogna rassegnarsi. L’ho già detto e lo ripeto: così va il mondo.
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Manca la dicitura Messaggio PROMOZIONALE caro Liuti…
Al coccodrillo molto agiografico aggiungo gli ultimi delfini allevati nell’acquario del de cuius: Cavallaro e Sciapichetti.
Bravo Liuti, come sempre del resto.
E’ vero, Adriano è stato ed è un grande. Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo bene e l’occasione di portare avanti iniziative con Lui lo sa bene. Ha dato molto, con un grande cuore. Dopo essere stato per tanti anni parlamentare, accetto’, con vero spirito di servizio, di candidarsi in comune per travasare la sua esperienza politica sulla nuova coalizione di centrosinistra che si era formata a Macerata. Successivamente a chi gli chiedeva di candidarsi di nuovo in comune rispondeva garbatamente di no spiegando che il suo compito di guida lo aveva fatto ed i consiglieri comunali di centrosinistra che avevano maturato l’esperienza con lui erano in grado di fare da soli.E quindi, diceva Lui, era giusto che andassero avanti in prima persona.
Ora purtroppo di questi Signori della politica abbiamo perso le tracce. Dico questo non per partigianeria.Le stesse cose le direi per Moro, per Berlinguer ed Almirante. Tre modi diversi di concepire la società, tre idee completamente diverse, ma tre uomini che credevano in quello che dicevano e facevano. Uomini che, prima di tutto, avevano a cuore le sorti dell’Italia e degli Italiani.
Adriano Ciaffi è stato l’uomo politico maceratese più importante del dopoguerra, personaggio dalla grande intelligenza e di notevolissima preparazione e competenza. Sicuramente una spanna sopra tutti gli altri uomini politici che a destra, al centro e a sinistra hanno percorso la scena politica cittadina, provinciale ed anche regionale.
Detto questo, non sono certo d’accordo nel ritenerlo il responsabile di tutti i mali attuali della città di Macerata, è una rappresentazione di comodo, che funge da alibi per alcuni e serve a trovare un facile bersaglio per altri. Tuttavia non credo nemmeno che oggi sia del tutto fuori dai giochi e non abbia ancora una notevole sfera di influenza.
Influenza adesso di certo esercitata non più in prima persona, ma tramite personaggi a lui legati attivi nella scena politica cittadina (e non solo) ed anche tramite lo studio legale che porta ancora il suo nome, uno studio molto qualificato che tratta questioni di notevole rilevanza e quindi spesso funge da crocevia per problematiche economiche ed urbanistiche estremamente significative.
Cari amici,
perché ne parlate tutti al passato, quasi che solo per il fatto di non farsi vedere in giro fosse fuori da tutti i giochi politici della nostra città?
Anzi: proprio in forza di questo panegirico promozionale firmato dall’amico Liuti, direi che Ciaffi (ops… l’ho detto…) dovrebbe candidarsi sindaco la prossima tornata elettorale. Sarebbe la sua grande occasione per coronare una carriera quasi eterna ed avere l’occasione in prima persona, finalmente!, di risolvere gli annosi problemi cittadini!
Ritengo l’articolo di Liuti corretto e veridico. I punti “attuali” della sua argomentazione, a mio avviso, sono questi e condivisibili. 1- non è vero che la “rottamazione” sia una “invenzione” modernissima ( magari Giancarlo che ha più memoria e precisione di me, poteva anche menzionare Assessori allora davvero giovani, a conforto della sua tesi) 2- con Giorgio Meschini ( non parlo della persona ma del tempo) inizia una era di frantumazione e le leaderschip della vecchia DC non hanno più quella solidità o non rappresentano più quella stella orientativa di prima 3- è giusto che Ciaffi sia, comunque, un punto di riferimento poichè chi ha una storia “custodisce” una esperienza. Vorrei aggiungere, per arricchire il panorama, che nonostante le tre correnti ( della DC) si può certamente confermare che tutte e tre, nonostante le diversità, erano unite da un unico obiettivo: la stabilità del Partito ( e del Paese) Condivido anche la tesi che la Giunta Carancini non abbia nulla a che fare con la geografia e lo spirito da Liuti evocato. Il dire che dietro c’è sempre “qualcuno” è da un lato sbagliato, dall’altro è una tecnica denigratoria dell’attuale “asset” che non avendo progetti o linee forti, entra in un labirinto nevrotico, pieno di confusione e totalmente falso. Mi permetto ora, stimolato dall’articolo, di ipotizzare qualche errore che fu fatto, ai tempi. La DC non doveva “spaccarsi”. Ciò avrebbe dato ad altri, ad altre forze politiche, la possibilità di formare quadri “storici” e non estetici: voglio dire che non basta andare da un grafico ed inventare un nuovo simbolo. Ma può darsi che io mi sbagli. Vedo nell’attuale panorama, oltre alla corsa verso nuovi tipografi e grafici, un tentativo ancora in potenza di ristabilire “radici” storiche. Non so se questo riuscirà.
Bravo in tutto ma come
Talent Scout e’ meglio il figlio
Luca , anzi moooolto meglio ..
Adriano è stato un grande uomo politico e io, giovanissima, fui una sua propagandista risoluta, nota e spesso determinante; Mauro Virgili me lo ha rimproverato per lungo tempo. Ha fatto solo un errore : ha allevato tante serpi in seno senza dargli la giusta preparazione politica ed etica. Oltre a tanti mi riferisco anche a un sindaco di un piccolissimo paese la cui ignoranza e boria, ha fatto tanti danni. Se Adriano invece di agevolare un suo posto all’Asur dell’entroterra, lo avesse fatto morire di fame, forse avrebbe fatto meno danni.
Probabilmente è che il fuoriclasse, una volta appese le scarpette al chiodo (ma le ha mai realmente appese?? perchè qualcuno dice che, nelle partite cittadine che ancora contano, fa l’allenatore in seconda a bordo campo e talvolta qualche minuto scende ancora in campo) non è riuscito ad allenare bene nessuno, dei tanti giovani che sono andati alla sia scuola calcio.
Poichè questi baldi giovani, di belle speranze, tutti provenivano dalla sua scuola si è immaginato/sperato che ci fosse qualche campione…
Purtropo la realtà dei fatti ci ha ampiamente dimostrato che, i talenti, tanto talenti non erano e che molto probabilmente (senza lo scudetto sulla maglietta e senza essere rampolli politici del Pelè locale) non sarebbero mai andati a giocare oltre la categoria dilettanti: anzi molti di loro (data la povertà di palleggio, la pessima visione di gioco, la mancanza di fiato, l’essere sovrappeso, l’incapacità di leggere la partita, ecc. ecc.) avrebbero giocato solo ed esclusivamente nelle partitelle domenicali scapoli/ammogliati…
Mister X santo subito!!! Ma levatevi!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Ma in città appena si parla di ciaffi non ho mai sentito qualcuno che ne parli in modo positivo..anzi. A me pare l Andreotti di Macerata. MA x macerata che ha fatto? x chi ne se ne intende la legge sulla mezzadria era ormai inutile e superata. Uno che ha contato molto davvero è stato Gaspari a Pescara: li ha portato l’autostrada da roma il centro delle Poste ed altro ancora…certo molto clientelare ma si faceva rispettare. Ciaffi a MAcerata è rispetttato ma fuori?..ormai è solo lo specchio del passato
@unoqualunque
come , è ormai generalizzata la lamentela nei confronti dei costi della politica , della mancanza del merito come criterio di selezione , e poi prendiamo come riferimento o pietra di paragone dell’azione politica uno come Gaspari che , non da solo ovvio, ha posto le basi dell’immane debito pubblico e del decadimento della morale pubblica con il suo sistema di potere tutto basato sul clientelismo ed il sistema delle raccomandazioni ? Ma non ce la facciamo proprio a ricordare ?
La mia non voleva essere un apologia di Gaspari: dico solo che almeno nelnegativo qualcosa per la sua città ha fatto. Ciaffi che ha fatto? niente. troppo facile e comodo fare l onorevole e non fare niente per la propria città.
In fatto di raccomandazione è noto che gaspari aveva le folle intorno al lettino da spiaggia dove passava le vacanze; tutti gli chiedevano un favore. Qui da noi è lo stesso ma non cosi sfacciato diciamo piu in modo sottorrenao o quasi.
Per completezza di informazione ricordo che quanto alla riforma agraria lo stesso Ciaffi fu assediato dai dimostranti in pelliccia di Ciccio Franco venuti appositamente da Catanzaro, dentro la caserma dei carabinieri di Macerata e come Adriano fosse bersaglio di attentati da parte delle brigate rosse per il suo riformismo e le aperture a sinistra. Quanto al clientelismo di certo nessuno potrebbe muovere nessuna accusa. Adriano, per caratura politica, ha volato sempre troppo alto rispetto alle piccole cose. Mentre altre correnti della DC disponevano di mezzi e risorse ingenti (i tambroniani, per fare un esempio, godevano di mazzette di buoni benzina a go go, noi ciaffiani dovevamo pagarci le pizze per le cene elettorali), l’unica arma a disposizione di Ciaffi era ed è la capacità intellettuale di riscuotere consenso attraverso il confronto e il coinvolgimento. Nel momento in cui è venuta a mancare la visione di insieme e la capacità di traguardare a lungo figure come quelle di Adriano non hanno più avuto ragione di esistere. E si è fatto posto alla politica del giorno per giorno. Con i risultati a tutti noti. Epperò le sue intuizioni ( la città regione o quella del bacino dei centomila – tanto per citarne alcune sono più che mai attuali. Tutto questo per dire che, soprattutto in politica, per fare un Ciaffi, ci vogliono come minimo cento Gaspari…
nella biografia dell’innominato manca un capitolo: la caduta di Anna Menghi .
Giuseppe scrive “Lui “, manco si riferisse al Padreterno.
Se per parlare di politica a Macerata dobbiamo tornare al personaggio nobile della storia politica maceratese, vuol dire essersi fermati, aver fermato la storia.
Sicuramente Macerata non ha trovato più una persona capace di proporsi in politica, prendendo il testimonio lasciato dal caro Adriano, per lanciarsi su un nuovo percorso, rilanciando la politica in questa città. Né vedo qualcuno all’orizzonte. Ancora viviamo di passato e di un presente povero di idee ed etica. Non c’è un laboratorio politico che pensi alla città di Macerata per il futuro. Ci siamo seduti ognuno sul proprio orticello perdendo di vista l’interesse generale.
Lo stato confusionale nel quale viviamo ne è la palese conferma. La verità è che la politica (essenza del bene comune) è morta da un pezzo ed ha segnato il declino di Macerata.
Abbiamo bisogno di ritrovare una progettualità che ci indichi con coerenza un percorso condiviso per i prossimi decenni che rappresenti la bussola per tutti i cittadini che vivono in questa città.
Sarebbe il caso di ricordare che quando l’On. Ciaffi era in auge (sembra – così si dice oggi – che ancora oggi non c’è foglia che si muova che il Grande Vecchio non lo voglia) si era nel tempo delle vacche grasse, quando bastava sputare per terra per vedere crescere cavoli e geni politici.
Voglio ricordare il Ciaffi giovane. Si era nel 1967, quando il Nostro non era ancora onorevole, ma un democristiano di belle speranze… I Giovani Liberali di San Severino Marche avevano organizzato una conferenza con padre Adriano Bonfanti, un comboniano espulso dal Sud Sudan, che raccontava del genocidio di quelle popolazioni nere e della guerriglia in atto…
Lascio la parola al giovane liberale Pacifico Fattobene che in un articolo del dicembre 1967 su Marche Liberali dal titolo “Un James Bond democristiano in missione Sudan“, scriveva: “Ma il dissenso più sconcertante è venuto dal segretario della DC di Macerata, l’avv. Adriano Ciaffi. Costui, forte di alcune notizie “riservate” e di fonte governativa, ha negato che si possa parlare di genocidio, ha sostenuto che la situazione sudanese non è affatto grave, che non è minacciata la libertà di culto (i missionari sarebbero liberi e ben accolti) e che a sparare non sono gli arabi, ma i neri sugli arabi, i quali, pertanto, dovrebbero difendersi. Indignazione e disagio hanno suscitato le dichiarazioni del “fanfanasser” democristiano. Egli si è poi rifiutato di far commentare e di rendere di pubblico dominio il testo delle sue riservate notizie. Ciò ha fatto pensare che tali notizie fossero non tanto riservate, quanto piuttosto contrarie alla realtà. Il contenuto e il tenore di queste notizie rispecchiavano, infatti, il punto di vista del governo, che “riscontra” miglioramenti nella situazione del Sudan meridionale. E ciò perchè, spinto dalla sua politica filoraba, prende per buone e sincere le “assicurazioni” del governo sudanese, e vede la sorte delle popolazioni nere del Sudan meridionale come la vede spesso il Vaticano: attraverso i soli occhiali del Vicariato Apostolico di Khartoum“.
Così scriveva Pacifico Fattobene. Da parte mia, che ero presente alla conferenza e che ero in contatto con il fronte di liberazione del Sud Sudan e sapevo della politica filoaraba del ministro degli Esteri Fanfani, già in combutta con i comunisti italiani sostenitori del governo sudanese, foraggiato dal governo italiano e dai Sovietici per ammazzare le popolazioni del Sud Sudan, ebbi questa reazione: devo andare nel Sud Sudan a filmare e fotografare la guerriglia, in modo poi da poter smentire questo giovane democristiano e il ministro Fanfani.
Andai, ebbi la scorta dei guerriglieri, ci lasciai la salute e per poco non ci lasciavo pure le penne.
L’Onorevole Ciaffi è stato il classico politico italiano che non ricerca la “verità”, ma si piega alla “verità” di chi gli dà parte del suo “potere” e che gli impone quella “verità”.
Oggi siamo in questa situazione disperata e verso la catastrofe proprio perchè non si ricerca la “verità”, ma abbiamo tutti – iniziando da me in politica – creduto alla “verità” che il Partito, o il leader, ci raccontavano. L’unica eccezione che feci – pur da uomo di Sinistra – è che sul Sud Sudan non accettai la “verità” raccontata dalla Sinistra sull’Unità e sui quotidiani di regime.
Onore a Giorgio Rapanelli per quanto ha fatto e per le verità che ha esposto.
Ora bigna porre fine alla falza politica clientelare.
IL PERSONAGGIO DI CUI SI PARLA, SALVO UN BREVE PASSAGGIO QUALE SEMPLICE CONSIGLIERE COMUNALE, NON E’ IN POLITICA DA 20 ANNI. IO PENSO CHE I COSI’ DETTI KENNEDYANI SIANO STATI UNA ROVINA. NON HO CONDIVISO QUASI NULLA DELLA LORO POLITICA. MA DA QUI A DIRE CHE CIAFFI, IL POVERO VINCIGUERRA, SPOSETTI E CINGOLANI SIANO LA CAUSA DEI NOSTRI PROBLEMI E CHE DUNQUE BISOGNA DIFENDERLI, MI PARE UNA FREGNACCIA. NON SONO STATI SUPEREROI, MA NEMMENO LA CATASTROFE. UNA COSA BUONA CE L’AVEVANO SENZ’ALTRO. ERANO NORMALI, IL CHE DI QUESTI TEMPI E’ UN GROSSO PREGIO. I DISCORSI CHE SENTO ASSOMIGLIANO AD UNA SEDUTA PSICANALITICA: MI SENTO MALE PERCHE’ HO AVUTO CIAFFI COME LEADER POLITICO EPPOI MAMMA DA PICCOLO MI MENAVA. SUL DECLINO DI MACERATA VA DETTO QUESTO. MAGARI SI TRATTASSE DI MACERATA. E’ L’ITALIA CHE E’ IN DECLINO. UNA DELLE CAUSE E’ STATA QUESTA. QUANDO IN GERMANIA E’ ANDATO SOTTO PROCESSO KOHL PER FINANZIAMENTO ILLEGALE E CORRUZIONE, HANNO AFFIDATO IL PARTITO DI MAGGIORANZA ALLA MERKEL. NOI INVECE ABBIAMO BUTTATO VIA TUTTO ALLUCINATI DALLA POLITICA DELLE PROCURE DELLA REPUBBLICA. NOI ABBIAMO PERMESSO, PERCHE’ CIASCUNO NE AVEVA UN TORNACONTO, POLITICHE SPENDACCIONE E ASSURDE. DUNQUE, LASCIAMO IN PACE CIAFFI E PENSIAMO AI CASI NOSTRI.
Se siamo al punto di spendere inchiostro virtuale per esaltare le doti ed i meriti del “grande vecchio” della politica maceratese siamo messi davvero male!! Caro Liuti, magari atteggiandoti, predisponendoti e cercando con la stessa bonomia e disponibilità d’animo adottatato in questa articolessa, troverai tante cose buone anche nell’operato dell’ex premier Berlusconi. E, comunque, più risalto e peso si attribuisce al ruolo del “grande vecchio” di Corso Cavour, più responsabilità occorrerà addebitargli per il grave, inesorabile, incontrovertibile declino dell’Italia (è stato o no un leader regionale-nazionale per 30 anni???) e, soprattutto, di Macerata, città da sempre governata da maggioranze gradite o comunque strattamente connesse al suddetto! Amen!!
Parlare di Ciaffi, al di là dell’uomo, dobbiamo parlare della DC, un Partito che ha sperperato soldi in opere inutili, costose, di incompiute, latrocini personali a parte. Oggi, i rimasugli della sinistra democristiana li ritroviamo insieme ai rimasugli del PCI, nel PD. Continua la solita storia degli sperperi, delle inutili spese e delle ruberie, in tono inferiore solo perchè siamo nel profondo rosso del deficit.
La Destra democristiana la ritroviamo invece nel PdL, con le stesse caratteristiche di ciò che passa il convento del PD. In mezzo, ci sono ancora democristiani che si “infornano” dove possono ottenere poltrone e potere. Mi riferisco all’UDC.
Che fare? Non andare a votare, significherebbe farci prendere a permacchie dalla Casta che continuerebbe, grazie alla legge porcata della porcellum, il bengodi di questa marmaglia di inetti e di ladri.
Molta gente ormai è su odio verso la Casta e arriverà su collera quando le ultime fabbriche chiuderanno… Questi idioti confidanp nel popolo che rimanga bove e permetta loro di continuare a gestire il potere nel modo clientelare usato fino ad oggi.
La vendetta, allora? Sì, la vendetta. Che, speriamo, non si traduca in violenza, ma in un voto di rivolta contro la Casta. Ecco, perchè vedo solo il Movimento 5 Stelle, magari pure gli Arancioni, ma nulla di utile dal centrodestra al centrosinistra, e neppure in Monti, l’uomo dell’Alta Finanza, che del popolo se ne frega, per cambiare i connotati alla Casta e fare ritrornare la ragione ai rimasti.
Oggi, l’onorevole Ciaffi sarebbe uno dei manovranti che cercano di mantenere la poltrona. Con la differenza che l’onorevole Ciaffi è un valido avvocato e, senza la poltrona, potrebbe vivere dignitosamente. Al contrario di altri che, senza la polrona, sarebbero costretti a mendicare un posto di lavoro, alla pari di altri milioni di italiani.