Centrali a biogas, la Regione
non sta dalla parte dei cittadini

Le gravissime responsabilità politiche dell'Ente e gli strani silenzi dell'opposizione di centrodestra. Ecco la cronostoria dei provvedimenti regionali

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bommarito-giuseppedi Giuseppe Bommarito

Per la centrale a biogas di Petriolo, prevista a soli 200 metri dalla riserva naturale dell’Abbadia di Fiastra, nonostante l’evidente imbarazzo dei funzionari regionali si procede a tappe forzate, come da copione già scritto. C’è stato sì un rinvio, ma a distanza ravvicinatissima, da lunedì 3 a mercoledì 5 settembre (leggi l’articolo).

E mentre si è sempre in attesa delle prime decisioni del TAR sulle richieste di sospensiva relative agli impianti già autorizzati, mentre la Provincia di Macerata ancora deve decidere se costituirsi o no in giudizio, emerge sempre più evidente la gravissima responsabilità politica ed istituzionale della Regione Marche in una vicenda che ha portato i cittadini interessati ad essere trattati letteralmente come carne da macello. Una breve ricostruzione dell’atteggiamento della nostra Regione, a partire da quando si è delineato l’affarone del biogas realizzato con soldi pubblici ai danni delle collettività, renderà più chiaro il mio ragionamento.

 

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Il Comitato di Petriolo ieri mattina in Regione

E’ negli ultimi mesi del 2007 che, nell’ambito della legge finanziaria 2008 e del relativo “collegato”, comincia a rendersi particolarmente appetibile il meccanismo di incentivazione pubblica per le centrali a biogas e per altre fonti di energia alternativa. Si stabilisce, infatti, in primo luogo una tariffa particolarmente incentivante e vantaggiosa di cessione, tale per cui l’energia prodotta dagli impianti a biogas viene pagata dalla collettività, cioè da tutti noi, quattro volte più del normale, proprio in quanto “pulita” e derivante da fonte rinnovabile. Il tutto a condizione però che gli impianti vengano realizzati entro la data del 31 dicembre 2012. Ma non basta, perché, sempre nell’ottica di accelerare e incentivare e sempre sotto il manto protettivo dell’innovazione tecnologica politicamente ed ecologicamente corretta, viene messa a punto anche una procedura di approvazione decisamente veloce, semplificata ed accentrata presso le Regioni (la cosiddetta conferenza dei servizi, destinata a chiudersi in sei mesi). Addirittura si prevede che vengano dichiarate di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti, e quindi presupposti per procedure di esproprio verso chi intendesse opporsi, le opere necessarie per realizzare gli impianti in questione e le infrastrutture indispensabili (ad esempio, le strade di accesso).

Nel 2008-2009 quindi parte in tutta Italia la corsa all’oro verde (grossi finanziamenti e fortissime incentivazioni pubbliche) da parte di grandi gruppi, di speculatori e furbetti vari, nel sud spesso e volentieri anche di imprese collegate alla criminalità organizzata, tutti felicemente e fruttuosamente impegnati nel settore della “green economy” con il vento in poppa della simpatia verso le energie pulite e rinnovabili. Si comincia con l’eolico, che però, specie al centro-nord, incontra maggiori resistenze di tipo ambientale, per quelle grandi pale che indubbiamente deturpano crinali collinari e cime di montagne; poi si passa al fotovoltaico, dove il boom è forte, in quanto pochi all’inizio comprendono il devastante impatto dei pannelli posati a terra, e non sui tetti delle case, delle scuole, degli edifici pubblici e degli opifici industriali ed artigianali; e poi, nel giro di un paio di anni, tardivamente bloccato il fotovoltaico selvaggio, dalla fine del 2010 si arriva agli impianti a biogas, che oggi stanno impazzando da nord a sud, passando per il centro.

Qui però  le cose per lor signori si complicano un po’, perché, entrando pesantemente in ballo anche puzze, odori nauseabondi, rumori continui, emissioni nocive, in tutta Italia sorgono spontaneamente ed abbastanza rapidamente combattivi comitati di cittadini che attaccano le Regioni interessate per l’indubbia compiacenza, se non la vera e propria sudditanza manifestata verso i padroni del vapore; che criticano aspramente le Province ed i Comuni destinati ad ospitare questi mostri verniciati di verde per l’inesistente o scarsa opposizione, o per una opposizione che appare di pura facciata; che si rivolgono ad avvocati, ad agronomi e ad altri esperti per documentarsi sul piano tecnico e legale; che si presentano in massa alle conferenze dei servizi e pretendono di essere ascoltati e di mettere a verbale le loro più che puntuali osservazioni; che intervengono con critiche feroci sulla stampa cartacea e on line; che propongono ricorsi ai vari TAR competenti.

 

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Striscioni a Loro Piceno

Insomma, pur dandosi atto ovunque e senza incertezze dell’indubbia utilità per l’agricoltura e per l’ambiente degli impianti a biogas a filiera corta e di piccole dimensioni (al massimo di circa 250 kilowatt), dappertutto, con riferimento agli impianti di maggiori dimensioni (che si collocano vicino alla soglia di un megawatt, pari a 1.000 kilowatt, e sono quelli che garantiscono un guadagno annuo che supera il milione di euro), si comincia invece a parlare apertamente e con dovizia di indiscutibili argomentazioni scientifiche di biotruffe, di bioinganno legalizzato e sostenuto da soldi pubblici, di danni all’agricoltura (le terre fertili sottratte alla funzione primaria di produrre cibo per uomini ed animali), di danni all’ambiente (per le emissioni nocive), di danni alla vivibilità ed alla salute pubblica (odori nauseabondi e rumorosità), di rifiuti di ogni tipologia che prima o poi (anzi, più prima che poi) finiranno anch’essi per essere “digeriti” in maniera incontrollabile nelle centrali sparse in tutta Italia.

E la Regione Marche, per forza di cose ben consapevole di tutto questo ambaradan generalizzato, di queste proteste, soprattutto di queste problematiche oggettive e direttamente riguardanti anche la vita e la salute dei cittadini, che fa? Nulla, se non recepire nel marzo 2011 le linee guida, necessariamente del tutto generiche, del decreto ministeriale del 10 settembre 2010 per autorizzare gli impianti a biogas, e poi tranquillamente mettersi ad aspettare le domande per nuovi impianti a biogas, che ovviamente non tardano ad arrivare in gran quantità e che riguardano siti sparsi in tutte le province marchigiane, in alcuni casi (non essendoci limitazione alcuna) collocati proprio a ridosso di case, abitazioni, scuole, esercizi pubblici, aree protette, aziende. Insomma, come si dice, fa il pesce in barile.

In verità  non è del tutto esatto quello che ho scritto sopra. La Regione Marche qualcosa è riuscita a fare in questo settore, peccato però che sia andato a tutto vantaggio delle lobbies dei grandi proprietari terrieri, dei potenti gruppi industriali entrati a tutto biogas nella green economy, degli speculatori dell’ultimo minuto che hanno fiutato l’affarone: nel 2012 con una propria legge (la n. 26 marzo 2012 n. 3) si preoccupa di escludere dalla VIA, la valutazione di impatto ambientale, tra le varie cose – guardate un po’ che coincidenza – anche gli impianti a biogas di potenza inferiore ad un megawatt (pari, come sopra detto, a 1.000 kilowatt), facendo finta di ritenerli sino a tale soglia di esigue dimensioni e di scarso impatto, tant’è che la gran maggioranza delle domande di autorizzazione riguarderà poi puntualmente impianti previsti per una potenza nominale pari a 999 kilowatt. Detto per inciso, la famigerata legge regionale n. 3/2012 successivamente sarà impugnata dal Consiglio dei Ministri dinanzi alla Corte Costituzionale per le maglie troppo larghe, diciamo pure larghissime, che essa lascia ad opere ed impianti di notevole rilevanza ambientale e paesaggistica e si è tuttora in attesa di un pronunciamento sul punto (e laddove la pronunzia fosse – come io auspico fortemente – di incostituzionalità, potrebbe aprirsi a carico della Regione Marche un vastissimo contenzioso per tutte quelle opere nel frattempo autorizzate senza la VIA e dannose per l’ambiente e la salute pubblica).

Grandi casini scoppiano quindi inevitabilmente in più parti delle Marche, dove le richieste di autorizzazione per grossi impianti si moltiplicano, a volte arrivandosi in qualche località quasi allo scontro fisico; le conferenze dei servizi corrono come saette, forti evidentemente di un preciso mandato politico: approvare, approvare, approvare, e senza perdere tempo; l’Asur e l’Arpam vengono sistematicamente escluse dai tavoli decisionali anche laddove sono invocate dai Comuni interessati per dire la loro sui profili di salute pubblica e di inquinamento ambientale; furibondi contenziosi sollevati dai comitati dei cittadini arrivano in Regione e qui però si infrangono contro un vero e proprio muro di gomma. Non c’è niente da fare. Qualsiasi cosa venga detta da chi si oppone a questa tipologia di impianti a biogas, quelli che sfiorano il megawatt di potenza (non alle centrali a biogas in assoluto, tanto meno a quelle a filiera corta, è bene ribadirlo), anche la più ragionevole e di buon senso, non trova il benchè minimo ascolto. La linea negli ovattati palazzi regionali è sempre e solo una, quella che sopra ricordavo: approvare nel più breve tempo possibile.

Si arriva così  al 12 giugno di quest’anno. Sommerso dalle polemiche che piovono ormai da tutte le parti, il Consiglio Regionale delle Marche, a seguito di una mozione del FLI e credo anche della Federazione della Sinistra, approva una risoluzione che impegna la Giunta a prevedere un procedimento più trasparente, a coinvolgere necessariamente l’Asur e l’Arpam nei tavoli tecnici e soprattutto a stabilire una moratoria delle domande in corso sino a quando non saranno individuate con esattezza tramite apposita legge le aree non idonee. Buon senso allo stato puro, eppure apriti cielo! Subito interviene uno dei gruppi più attivi e potenti nelle Marche, quello impegnato nelle centrali a biogas di Loro Piceno, Corridonia, Montegiorgio (salvo altri), paventando un’incostituzionalità della moratoria in quanto contraria alla libertà d’impresa, e subito la Giunta Regionale (che in questa vicenda ha del tutto dimenticato ben altri principi di rango costituzionale, basti pensare a quelli riguardanti la salute e la pubblica incolumità e la tutela dell’ambiente) raccoglie l’imput e dichiara, con un comunicato a firma dell’assessore alle attività produttive Sara Giannini, che eventuali moratorie sarebbero illegittime. Nessuna moratoria, quindi. In Regione, nonostante le già ricordate interrogazioni della vicepresidente Paola Giorgi dell’IDV (lo stesso partito dell’assessore all’Ambiente Sandro Donati, invece schierato senza “se” e senza “ma” sull’altro fronte), si seguita ad andare avanti sempre veloci come treni, perché le imprese richiedenti devono assolutamente ottenere l’autorizzazione in fretta e completare i lavori entro il 31 dicembre di quest’anno, altrimenti addio alle favolose incentivazioni pubbliche. Solo un mese fa, il 1° agosto, ad estate inoltrata, la Giunta, senza peraltro avere nel frattempo individuato le aree non idonee ad accogliere questi mostri camuffati da impianti ecologicamente all’avanguardia, integra la normativa in materia di autorizzazione per gli impianti a biogas, finalmente prevedendo maggiori obblighi di trasparenza e di informazione e soprattutto rendendo necessaria la presenza dell’Asur e dell’Arpam. Ma – fate bene attenzione – questa più restrittiva normativa non si applica alle domande presentate in epoca anteriore, il che significa che per tutte le decine di domande presentate entro la fine di luglio 2012 continuano a valere le precedenti prescrizioni, quelle a maglia talmente larga che nemmeno prevedono la presenza degli stessi organi tecnici regionali (l’Asur e l’Arpam, appunto).

Che dire? Intanto che in una situazione del genere uno si aspetterebbe che l’opposizione di centrodestra facesse fuoco e fiamme e cavalcasse, convintamente o anche solo strumentalmente, i vari focolai di rivolta contro le centrali di biogas che stanno sorgendo ovunque e stanno mettendo a nudo le ambiguità, anzi, le vere e proprie assurdità nella politica agricola ed ambientale regionale, nonché le palesi sudditanze ai gruppi economici intervenuti nell’affarone delle centrali a biogas del centrosinistra che da decenni governa la Regione Marche. Invece, silenzio di tomba. Nel centrodestra – a meno che non mi sia sfuggito qualcosa – tutto tace, salvo uno sporadico interessamento dell’ultima ora. Mi chiedo: forse perché nel precedente disastro del fotovoltaico, cioè dei pannelli solari posizionati a terra, al centrodestra è stato consentito di muoversi e di supportare diverse discutibili iniziative imprenditoriali arrivate anch’esse velocemente a compimento? Certo che è strano che le uniche voci di opposizione in materia di biogas siano arrivate solo da una componente dell’IDV, che fa parte della maggioranza di governo regionale, nonchè ad opera del FLI e della Federazione della Sinistra.

Diverse interpretazioni sono possibili al riguardo e andando avanti forse si capirà meglio il motivo dell’ostinato silenzio del centrodestra. Quel che è  sicuro, invece, è che la maggioranza di centrosinistra, complessivamente intesa, in questa vicenda degli impianti a biogas non è stata affatto dalla parte dei cittadini, visti solo come rompiscatole e come ostacolo, da rimuovere in fretta e con metodi sbrigativi, lungo il veloce percorso destinato a portare nel più breve tempo possibile ai provvedimenti autorizzativi (si parla di circa 50 impianti a biogas già autorizzati). Di sicuro la Regione Marche e il centrosinistra al governo regionale, in questa partita economicamente molto rilevante, con milioni e milioni di euro in ballo e per di più di provenienza pubblica, sono stati solo ed esclusivamente dalla parte sbagliata.

E’ indubbio, infatti, che l’aver autorizzato, a raffica e senza tanti complimenti verso chi ha provato ad opporsi, una serie di impianti da 999 kilowatt nuoce all’ambiente, alla stessa agricoltura e alla salute dei cittadini. E nei fatti non porta ad alcun reale risparmio energetico.

Nuoce all’agricoltura, perché ogni impianto che arriva alla soglia di un megawatt sottrae alle coltivazioni finalizzate all’alimentazione circa 300-350 ettari di terra fertile e fa comunque lievitare i prezzi di quella residua. Nuoce all’ambiente ed alla salute, perché il biogas comporta emissioni nocive di polveri sottili e di ossidi di azoto e perché le coltivazioni intensive di mais comportano un grande utilizzo di acqua e di pesticidi chimici. Ed anche perché un impianto da 999 kilowatt richiede per essere alimentato circa 7-8 viaggi al giorno di camion carichi di mais, di letame, di liquami, con una emissione giornaliera di CO2 da carburanti che fa a cazzotti con gli sbandierati propositi di favorire l’energia pulita e da fonti rinnovabili.

Quanto al risparmio energetico e alla “pulizia” dell’ambiente, fate i conti da soli, visto che sono semplicissimi. Per supportare un impianto da 999 kilowatt occorrono circa 300-350 ettari coltivati a mais. Ebbene, per irrigare un solo ettaro (ripeto: un solo ettaro) di mais con una pompa da 90 cavalli occorrono dai 500 ai 600 litri di gasolio; aggiungiamoci sopra il carburante occorrente per l’aratura, l’erpicatura, la semina, la concimazione, il diserbo, la raccolta, ecc., ed avremo il quadro preciso di un disastro ecologico, di un vero e proprio bioinganno legalizzato senza precedenti, realizzato per di più con soldi pubblici, con la complicità delle istituzioni pubbliche  e ai danni di migliaia di cittadini inermi.

Chiudo con una serie di domande, che lascio ai lettori come tanti sassi lanciati nello stagno. Perché la Regione Marche, prima di ogni altra cosa e visto che nessuno glielo impediva, non ha individuato i siti non idonei (in primo luogo case, scuole ed esercizi pubblici) ad accogliere gli impianti a biogas, quanto meno quelli superiori a 250 kilowatt, come logica e buon senso avrebbero imposto? Perché ad oggi questa individuazione ancora non è stata fatta? Perché solo il 1° agosto di quest’anno, e non dell’anno scorso, si è ritenuto di rendere obbligatoria la presenza dell’Asur e dell’Arpam nei procedimenti autorizzativi? E infine, parlando della classe politica che opera nelle Marche a livello regionale, è sbagliato in questo caso parlare di totale e palese asservimento ai potentati economici che sono entrati con grande forza e notevole arroganza nel lucrosissimo affare del biogas?

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Il servizio precedente:

Il disastro annunciato delle centrali a biogas (leggi l’articolo)



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