Da alcuni mesi è in corso una riflessione fra politici, ricercatori e imprenditori sulle Marche come regione che più di altre possiede e produce cultura e sul modo di organizzare e valorizzare questa risorsa anche a fini di sviluppo economico e coesione sociale. Non è vero infatti che “la cultura non si mangia”, come ebbe a dire un autorevole ministro dell’attuale governo e come pensa, purtroppo, gran parte della cosiddetta gente comune. E’ vero, invece, il contrario, perché la cultura, se promossa e gestita con realistica lungimiranza, è in grado di far sì che “mangi”, meglio e di più, l’intera comunità dei cittadini.
Grazie anche al maceratese Pietro Marcolini, assessore al bilancio e alla cultura, la Regione aveva capito in anticipo l’importanza di questo settore, tanto che, in controtendenza rispetto all’andazzo nazionale e nonostante che i tempi fossero già di vacche magre, aveva mantenuto e, anzi, aumentato, per il 2010, le risorse da destinare alle attività culturali, passandole da 6-7 a 11-12 milioni. Ma adesso, con gli ulteriori e pesantissimi tagli delle manovre anticrisi e le crescenti difficoltà in cui si dibattono tutti i soggetti pubblici e privati (Regione, Province, Comuni, Camere di commercio, Fondazioni bancarie, singole imprese), sappiamo che le vacche saranno sempre più magre e che ci aspettano giorni, mesi e forse anni di duri sacrifici.
E allora? In che modo le istituzioni e le iniziative culturali potranno salvarsi? Secondo certe sbrigative opinioni, le soluzioni sarebbero due: o lasciare che molte di esse chiudano i battenti o decidere che tutte insieme si rassegnino allo scadimento dei loro livelli qualitativi. In entrambi i casi, però, ne soffrirebbe l’intero patrimonio della nostra cultura, vale a dire la carta forse migliore che le Marche possono giocare sul tavolo nazionale ed europeo della presenza attiva e competitiva. Soluzioni, quelle due, che la Regione respinge. Quale sarebbe, dunque, la via da seguire? Mantenere le strutture operative e salvaguardare la qualità del prodotto. Ottimo. Ma come? Fare squadra, creare sistemi di rete nella spesso disorganica moltitudine di realtà grandi, medie e piccole che agiscono nei vari campi della cultura, dal patrimonio artistico, archeologico e architettonico alle biblioteche, agli archivi storici, alla ricerca, alla musica e al teatro, facendo leva, non da ultimo, sulla tutela del paesaggio e sulle antiche tradizioni civili. Semplice? No. E’ una sfida, una coraggiosa scommessa sul futuro. La storia insegna, del resto, che dai momenti difficili si può uscire soltanto applicando l’eterno principio secondo il quale l’unione fa la forza e ciascuno rinuncia a qualche pezzetto della sua modesta sovranità.
Squadra, sì. Ma con quali regole? Anzitutto con una seria verifica del rapporto, per ciascuna realtà, fra bilancio strettamente economico e bilancio sociale, inteso come benefici che la comunità ne ricava in termini imprenditoriali, occupazionali e di flusso turistico. Laddove tale verifica si riveli totalmente negativa su entrambi i versanti, non c’è ragione di tenere aperto il rubinetto delle risorse. In secondo luogo, ripeto, con la logica dei sistemi regionali o provinciali di rete, una logica che, superando quella degli steccati di campanile, consenta di mantenere alta la qualità complessiva grazie ai risparmi assai consistenti che deriverebbero da meno doppioni, da meno sprechi e da servizi comuni (ecco la funzione del Consorzio Marche Spettacolo, nato un anno fa con l’adesione spontanea di Sferisterio, Rossini Opera Festival, Fondazione Pergolesi-Spontini, Teatro stabile delle Marche, Form, Musicultura e altri, per fornire servizi comuni nella pubblicità, negli uffici stampa, nelle consulenze legali, nelle biglietterie, nello stoccaggio dei materiali scenografici eccetera). In terzo luogo coinvolgendo in questa visione le università, le accademie, le conservatorie e gli istituti di ricerca e allargando l’orizzonte della cultura al design, alle nuove tecnologie, alla green economy, alla moda, all’enogastronomia. Il tutto – l’ho detto – sostituendo il concetto di “contributo” con quello di “finanziamento” finalizzato alla crescita della società nel suo complesso.
Questo, in sintesi, il cammino della Regione Marche, già delineato nel Forum sulla cultura dell’aprile scorso. Un giusto cammino, a mio avviso, se non altro perché possiede quella cosa che troppi inganni e troppe delusioni ci hanno da tempo rubato: il futuro. Lo si ritiene invece utopistico, libro dei sogni, fuga in avanti? Se la politica – la buona politica – ha ancora un senso, il compito di proporre disegni alternativi e soluzioni diverse spetta adesso alle forze di opposizione, che nelle Marche sono rappresentate in prevalenza dal centrodestra.
Ma il confronto coinvolge anche il Pd, il partito che nel panorama politico marchigiano costituisce, in coalizione con altri, l’asse portante del governo della Regione, di quattro Province su cinque e del maggior numero di Comuni, fra cui Macerata. Ed è forse per le responsabilità derivanti da questo ruolo affidatogli dalla volontà popolare che negli ultimi tempi certe sue opacità, lentezze e inquietudini intestine hanno indotto il proprio elettorato a dire alto e forte: “Pd, se ci sei batti un colpo!”. Ebbene, questa è l’occasione di battere un colpo. E mi riferisco alle riunioni locali che si terranno in vista degli Stati generali sulla Cultura convocati dal Pd nazionale per il 3 dicembre a Roma, riunioni dalle quali è auspicabile che emerga una volontà chiara e condivisa.
Purché serio, il confronto della maggioranza con l’opposizione e anche all’interno della stessa maggioranza è bene che ci sia. Così vuole, del resto, la democrazia. Purtroppo – e penso a Macerata – si è fin qui sviluppato con appelli viscerali contro una presunta voracità di Ancona (il Pdl denuncia con toni drammatici il tentativo – ma dove, ma come, ma quando, ma da chi? – di dare ad Ancona il governo dello Sferisterio) e con la solita e contraddittoria ridda di voci – sempre sullo Sferisterio, croce e delizia, ormai da cinquant’anni, di tanti umori di pancia – fra medesime persone che un giorno se la prendono coi costi eccessivi delle stagioni liriche (certo, la lirica costa ma in varie forme può restituire, con gli interessi, quello che prende) e il giorno dopo insorgono gridando guai a chi ce le tocca (infine, ancora sullo Sferisterio, va segnalato il battibecco in pubblico fra il sindaco Carancini e il presidente provinciale Pettinari davanti al monumento dei caduti in occasione delle cerimonie per il 4 novembre, e chissà se il riferimento ai caduti è del tutto occasionale). Beh, della linea della Regione ho già detto. E’ in sintonia con ciò che ci chiede il futuro? A me pare di sì. La speranza, ora, è che in tutte le sedi e a tutti i livelli si riesca ad alzare l’asticella delle idee, delle proposte e dei desideri.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
Caro Giancarlo, condivido in pieno il tuo ragionamento. La logica e la razionalità, e i tempi magri, conducono indubbiamente verso il fare rete a livello regionale, come recentemente auspicato anche dall’assessore regionale Pietro Marcolini, maceratese doc.
Però, con le stesse, identiche, considerazioni, anni fa si è dato vita al mostro dell’ASUR unica regionale, la quale mal funziona (nonostante l’ottimo lavoro di Piero Ciccarelli), favorisce sempre e comunque le strutture sanitarie dell’anconetano e del maceratese e penalizza il sud delle Marche, a partire da Macerata.
Una correzione, nella frase finale del commento precedente: ” … favorisce sempre e comunque le strutture sanitarie dell’anconetano e del pesarese e penalizza il sud delle Marche, a partire da Macerata”.
Come ho avuto modo di dire, anche in maggioranza, la tesi di Pietro Marcolini, ultimamente rilanciata con la formula dell’Umanesimo ( febbrile e fabbro) è condivisibile. Infatti, una cosa è strutturare a livello regionale un Organon capace sia di essere centripeto quanto ad assemblaggio e confluenza del mondo dell’impresa ( e della finanza) altro è l’autonomia gestionale e direttiva delle singole eccellenze ( tra le quali il nostro Sferisterio). Alcuni “segmenti” delle singole eccellenze possono essere più agilmente realizzate e governate ad Ancona o da Ancona, se questo implica, come spero, persino “risparmio” o comunque forza maggiore di lancio delle singole ( ma anche unitarie) Immagini delle Marche. In questa dialettica, tra centro e periferia, nessuno perde, ma ognuno può ricavarne un surplus. Rimane il dubbio dell’amico Bommarito che vede una “simmetria” tra concentrazione “sanitaria” ad Ancona ed il resto del mondo. Tuttavia ritengo che tale “analogia” non sia piattamente applicabile nel nostro caso ( cultura, spettacolo, turismo). Gli interessi “sanitari” hanno un peso ed un percorso ben diverso, molto diverso ( e dico purtroppo). In un periodo di crisi, anzi, diventa necessario spostare verso direzioni inedite ( di qui l’Umanesimo) la “questione” culturale, vista anche come ampio indotto lavorativo. Compito della Politica è non fermarsi alla semplice “realizzazione” di cose “belle”, ma anche, non rinunciando alla qualità, alla stessa “funzione” pubblica e sociale degli eventi.