di Filippo Ciccarelli
Metti una sera a cena con Andrea Pallotto. Il suo nome è legato a doppio filo allo sport marchigiano; grande appassionato e conoscitore di calcio, tifosissimo della Juventus, con un trascorso di tutto rispetto in società del calibro della Civitanovese, della Maceratese e dell’Ancona. È trascorsa velocemente una serata in cui si è parlato di sport; ed è difficile trasporre su una pagina bianca l’atmosfera pacata e serena che ha accompagnato il racconto preciso e puntuale dell’esperienza sportiva di un uomo partito dalla squadra di Santacroce e giunto alla serie B, conquistata a suo tempo dall’Ancona di Pieroni. È difficile perché spesso, a qualsiasi livello, parlare di calcio vuol dire parlare di veleni, di torti, di torbido; e gli addetti ai lavori sono portati ad autoincensarsi ed a giudicare le proprie e le altrui vicende con un metro non propriamente lineare e misurato. Per questo stride l’atteggiamento di Andrea Pallotto, che ripercorre i suoi anni nel mondo del pallone con una modestia ed una semplicità assolutamente sorprendenti e rare, e svela più di un retroscena legati a questo ambiente. Così, tra un boccone di pizza ed un sorso di vino, comincia la nostra intervista.
Signor Pallotto, lei è stato un dirigente di riferimento della Civitanovese e della Maceratese negli anni in cui partecipavano a campionati professionistici; partiamo però dall’inizio della sua esperienza nel calcio…
“Sì, dunque, i miei esordi furono nel Santacroce, società di Macerata, a cavallo tra gli anni ’70 ed ’80. All’epoca ero un dirigente accompagnatore, il direttore sportivo era William Cervigni, in squadra giocavano un giovanissimo Moreno Morbiducci ed anche l’attuale sindaco di Macerata, Romano Carancini”.
Quando le è capitata l’occasione di salire in categorie più importanti?
“Dopo l’esperienza col Santacroce approdai alla Civitanovese. Mi chiamò l’allora presidente Gino Ruggeri, in qualità di direttore generale. La squadra stava retrocedendo dalla C2, io sostituii Mecozzi, che era andato alla Fidelis Andria; ricordo che contro ogni pronostico ci salvammo, e questo diede un grandissimo entusiasmo all’ambiente. Rimasi alla Civitanovese per 4 stagioni”.
Cosa le è rimasto di quell’esperienza?
“Fu un periodo bellissimo. In qualità di direttore generale mi occupavo di moltissimi aspetti in società, facevo anche da direttore sportivo. Riuscimmo a fare campionati in serie C impiegando tantissimi giovani, e lanciandoli anche in categorie superiori. Ricordo per esempio la generazione di quelli del 1973, allora erano ragazzi appena ventenni; giocatori del calibro di Polizzi, che presi dalle giovanili dell’Ascoli. Oppure di Scoponi, che poi giocò anche in serie A col Modena, di Gaetano Calvaresi, Emiliano Da Col, che prelevai dal Corridonia, poi ricordo pure Malaccari, Cellini…”.
Proprio mentre chiacchieriamo nel locale in cui ci troviamo entra Giammarco Polizzi, ex calciatore con oltre 500 presenze all’attivo ed uno dei volti della “Serata biancorossa” di E’tv, che subito riconosce l’ex d.g. della Civitanovese e si trattiene con noi per portare il suo ricordo:
“Vorrei dire solamente una cosa. Andrea Pallotto è la persona più onesta che io abbia mai incontrato nel mondo del calcio. L’ho avuto come dirigente alla Civitanovese e posso dire che tutti i giocatori con cui ha lavorato, me compreso, lo ricordano con grandissimo affetto”.
L’intervista riprende dopo questo inaspettato intermezzo, che tuttavia consente ad Andrea Pallotto di ripercorrere ancora più a fondo gli anni passati a Civitanova, e di ringraziare Polizzi per le sue parole.
Dopo la Civitanovese è tornato a Macerata; questa volta sponda biancorossa…
“Sì, mi chiamarono Maurizio Mosca e Sergio Splendiani. Io arrivai in qualità di direttore sportivo, in quanto Mosca era il presidente e Splendiani direttore generale. Era l’anno in cui subentrai a Cervigni, c’era Silva in panchina ma poi venne sostituito da Logozzo, mi pare fosse la stagione 1993/94”.
C’è qualche aneddoto di quella stagione che vuole ricordare?
“Certamente. La prima partita che giocammo dopo il mio arrivo fu proprio il derby con la Civitanovese. Io sono di Macerata e sono tifoso della Maceratese, come lo era mio padre, e quel derby era di sicuro una partita dal significato particolare per me, che avevo passato degli anni molto belli a Civitanova. Non c’era la certezza di giocare la partita a causa della neve, ed allora contattai l’arbitro designato per avvisarlo e per valutare se fosse il caso o meno di giocare il match. Ricordo che mi rispose la moglie, e mi disse che avrebbe potuto passarmi il marito solo dopo aver ottenuto l’autorizzazione dall’AIA (associazione italiana arbitri). In ogni caso si decise di fare la partita: allora corsi a comprare dei palloni arancioni, quelli che si devono usare in caso di neve, perché non ce li avevamo. La partita finì 1-0 per la Maceratese, vincemmo grazie alla rete di Cocchi; me la ricordo, segnò di testa, e per certi versi fu una rete simile a quella di Morbiducci nel derby storico giocato all’Helvia Recina. Poi vorrei raccontare di quando venne Logozzo…”.
Prego.
“Dovevamo sostituire Silva perché la squadra stava retrocedendo. Mi trovavo a casa del presidente Maurizio Mosca, telefonammo in serata per offrire la panchina a Logozzo. Ricordo che lui si mise in viaggio subito, partì la notte stessa e la mattina seguente ce lo ritrovammo a Macerata. Gli trovammo un piccolissimo appartamento nella zona di Santa Croce; Logozzo era un grandissimo lavoratore, e ci portò alla salvezza”.
L’anno seguente, invece, non si evitò la retrocessione…
“No, e fu un peccato. Ricordo che avevamo costruito un rapporto preferenziale con il Milan. Qui c’è un retroscena che penso sia interessante. Parlai con Ariedo Braida, ed alla fine il Milan si dimostrò benevolente nei nostri confronti, e ci prestò dei giocatori giovani ed anche di qualità. Però ci fu anche suggerito di assumere Valdinoci come allenatore. Valdinoci aveva già avuto delle esperienze come coach, all’epoca però era osservatore per il Milan, ma voleva tornare ad allenare, e la società rossonera ce lo caldeggiò in virtù del rapporto che andavamo a costruire”.
Cosa pensa di Valdinoci?
“Onestamente fu una delusione. I giovani promessi dal Milan arrivarono; ricordo Palanch, Livieri, Lomagistro. Tutti con la formula del prestito con diritto di riscatto, ma anche con i premi di preparazione. Cioè, se avessero disputato un certo numero di partite, il Milan ci avrebbe dato dei soldi. Ma Valdinoci non riuscì a tirar fuori il meglio da loro. Aveva dei limiti anche dal punto di vista tecnico, secondo me, non li gestì bene. Livieri era un centrocampista, ma spesso giocava fuori ruolo, ora centrale, ora esterno. Palanch pure aveva ottime qualità, forse dei tre Lomagistro, che era un difensore, era il meno dotato. Tra l’altro Valdinoci osteggiò il trasferimento del centrocampista Rossano Casoni alla Maceratese; io volevo prenderlo, gli feci fare un provino che fu molto positivo. Proveniva dal Crevalcore, squadra che militava in C2: Valdinoci invece preferì puntare su Marni, del Casarano, che deluse le aspettative. Sono convinto che ci saremmo potuti salvare con Casoni in campo. Si accasò alla Vis Pesaro e diventò uno dei punti di riferimento della squadra”.
Quello fu l’anno anche di una punta della caratura di Marcello Campolonghi…
“Eh già! Lo presi dal Fidenza. Fu una trattativa molto particolare, mi venne segnalato da un mio amico che faceva il procuratore. Campolonghi, a suo dire, non poteva crescere in quell’ambiente, proveniva dal Piacenza dal quale era stato tagliato per motivi non tecnici, ma caratteriali. Costava circa 40 milioni di lire, una cifra alla quale la Maceratese non poteva arrivare. Metà del trasferimento fu pagato dal padre del calciatore, che voleva aiutare il figlio a rigenerarsi in un altro ambiente. Quell’anno fece coppia con un giovane molto interessante che prendemmo dal Palermo, cioè Giancarlo Ferrara. Ferrara venne a Macerata dopo la trattativa che instaurai con Perinetti, allora ds del Palermo, col quale avevo un ottimo rapporto. Comunque, su Campolonghi ho un’unica remora, e riguarda il contratto del ragazzo. Avremmo potuto offrirgli un triennale, e invece gliene proponemmo uno annuale. Alla fine di quell’anno andò via, mi pare all’Ospitaletto, che poi lo girò subito al Brescia. Con quell’operazione la Maceratese perse dei soldi”.
Perché?
“Perché all’epoca c’era il sistema del parametro. Un giocatore all’ultimo anno di contratto che voleva essere acquistato da un’altra società veniva pagato a seconda del parametro. Cioè, il prezzo del cartellino più un coefficiente stabilito dalla federazione. Faccio l’esempio di Campolonghi: noi eravamo in C2. Se fosse stato acquistato direttamente dal Brescia, che era in serie B, la società lombarda lo avrebbe dovuto pagare moltiplicando al costo del giocatore il coefficiente, che era sempre più alto a seconda della categoria in cui giocava una squadra. Per dire, dei 10 milioni del costo di un giocatore, se il parametro per la squadra di B era 8, alla fine il trasferimento sarebbe venuto a costare 10 per 8, cioè 80 milioni. Invece l’Ospitaletto, militando nella stessa serie, pagò un parametro bassissimo. E poi il giocatore andò subito al Brescia”.
Quando e perché andò via dalla Maceratese?
“Me ne andai dopo il modo in cui retrocedemmo. Perdemmo i playout a Cecina con autorete di Onorato, che colpì di testa il pallone appoggiandolo al portiere, che era Musarra. Musarra però era in uscita e quel tocco lo spiazzò. Fu una partita dominata che perdemmo proprio in quel modo a 5 minuti dalla fine. Poi ci furono anche motivi legati al fatto che la dirigenza decise di avvalersi della collaborazione di Silvio Pagliari per il settore giovanile, una persona professionalmente preparata ma con la quale non avevo gran feeling. Tra l’altro mi pare che, seppur indirettamente, abbia ancora contatti con l’attuale società”.
Come è proseguita la sua esperienza calcistica?
“Nel 1995 facevo l’osservatore per conto di Ermanno Pieroni, allora ds del Perugia. Gli segnalai un certo Bucchi, che passò dalla Promozione marchigiana alla serie B. Giocava nella Settempeda”.
Ma non fu una pazzia segnalare un giocatore che giocava in una categoria cinque volte inferiore alla B?
“Eh, lo so! Però in quel periodo non avevo nulla da fare, lo indicai ed andò bene. Il Perugia fece un affare, lo pagò pochissimo rispetto al suo valore”.
Quindi è in virtù della sua conoscenza con Pieroni che approdò all’Ancona?
“Sì. In quell’epoca, stagione 1999/00, il presidente era Bonsignore, di Messina, lo stesso che venne pure a Macerata. Ad Ancona però non c’era praticamente mai. Pieroni mi chiamò perché mi conosceva, e mi disse che voleva farmi entrare nel CDA come amministratore delegato. Io accettai, ma la gestione della società non era per niente semplice. Il mio riferimento era il vicepresidente Gaetti”.
In che condizioni era l’Ancona?
“C’erano state gestioni scriteriate, passavo la metà del mio tempo con i creditori, l’Ancona era parecchio esposta. Ricordo che la società si serviva di uno studio legale che aveva un avvocato interamente ed esclusivamente dedicato a risolvere la questione delle innumerevoli vertenze che l’Ancona riceveva dai creditori. Comunque quell’anno ci fu la promozione in serie B, e fu una grandissima soddisfazione riuscire ad essere promossi nonostante la posizione difficile lasciata dai debiti pregressi. Dopo lasciai l’Ancona, in quanto consideravo la mia esperienza nel mondo del calcio conclusa ed anche perché la gestione delle cose era diversa da quella che ero abituato a fare. Resto ovviamente un grande appassionato di questo sport, anche se ora mi levo delle soddisfazioni e mi diverto con il tennis”.
Lei avrebbe voglia di tornare, un giorno, ad occuparsi di calcio in prima persona?
“No. Il calcio per me è un capitolo chiuso, questa è una decisione che ho preso perché coerente con quella che è stata la mia vita. Io ho avuto moltissime esperienze in vari ambiti, ed in qualsiasi categoria, che fosse quella politica, sportiva o professionale, una volta fatta una scelta e presa una decisione non sono mai tornato indietro. Penso di aver fatto il mio tempo, ho voltato pagina da oltre 10 anni. Ho ricevuto un sacco di gratificazioni e di questo sono contento. La mia speranza in ogni caso è quella di rivedere la Maceratese in altre categorie”.
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Quante partite e quante trasferte..
Il viaggio in bus in Francia (credo fosse a Lione), ai tempi della Civitanovese. Ero piccola abbastanza da sentirmi travolta da quel mondo a strisce di fischietti e urla intonate..eppure abbastanza grande da percepire come “importante” l’assistere a quella corsa sfrenata su un’erba quasi mai verde..e mi sentivo privilegiata. Importante lo era, lo erano tutte le partite. Tutte le telefonate, le corse, le palpitazioni settimanali di dirigenti, giocatori, dell'”omino degli spogliatoi” sempre sorridente. ..Le tue apprensioni, sempre composte e impermeabili all’amarezza, ma aperte al sacrificio, alla gioia, alla soddisfazione dell’anima.
Quante lacrime e quante grida di gioia..
Accadde un goal dal centrocampo, sullo scadere dei minuti a Civitanova, quando un Calvaresi “da cartone animato” dimostro’ a se’ stesso e agli altri che le partite vanno giocate fino all’ultimo secondo, che ‘segnare e sognare’ si puo’, anche nella vita reale. Ricordo bene quell’entusiasmo dettato dallo spirito umile di un gruppo che persegue un obiettivo con passione, lontano dai giochi di ruolo del calcio fittizio, delle figurine. Quell’adrenalina prodotta dal cervello, ben piu’ potente di ogni altra “droga”.
Quante battaglie perse e quante guerre vinte…
Orgogliosa di Te, Papa’!
Magnifico!
Che bella famiglia quella del mio amico Andrea.
Abbiamo frequentato, insieme, le scuole superiori. Lui di fede repubblicana ed io socialista. Qualche volta eravamo in disaccordo sugli scioperi. Lui più “filo-governativo”, io un po’ più “testa calda”.
In quel periodo frequentavo anche la sua casa. Una famiglia, come quella attuale, altrettanto bella.
Andrea ha costruito, passo passo, la sua vita e le sue “fortune” professionali/sportive/familiari tenendo sempre a mente quei valori morali e politici.
E’ un onere essergli amico. Ciao Andrea e, adesso, datti da fare con i nipoti (che conosco anch’io grazie alle foto su fb) e con il tennis.
Ricevere degli attestati di stima da mia figlia. che ormai da qualche anno vive spesso all’estero e quindi lontana dalla sua famiglia, mi ha riempito di gioia ed altrettanto piacere mi hanno fatto gli apprezzamenti di Simone.
Ma leggere le parole del mio compagno di scuola Alberto, con il quale ho condiviso molte delle esperienze giovanili, mi ha commosso, forse anche per colpa dell’età e di una sensibilità che si fa sempre più intensa.
Grazie di cuore Alberto, se diventare vecchi significa poter trasferire dei sentimenti unici ai nostri nipoti, essere circondati dall’amore dei famigliari e dall’apprezzamento di amici come te, penso che posssiamo consapelmente vivere questo periodo con la giusta serenità.
Bellissima intervista: mi complimento con l’intervistatore e con l’intervistato. Ricordo bene i fatti narrati da Pallotto, soprattutto quelli relativi alla Maceratese. L’autogol di Cecina ancora non mi va giù, 15 anni dopo: troppo…fantozziano. Inevitabilmente, suscitò sospetti. Alberto Giovagnotti si rifiutò di proseguire la telecronaca per TeleMacerata. Musarra, dopo il triplice fischio, restò piangente a terra circa un quarto d’ora; andò a consolarlo Aldo Agroppi. Ed Onorato, quando ritornò all’Helvia Recina con la Ternana, venne ricoperto di insulti.
Ah, l’arbitro di Maceratese-Civitanovese non era uno qualsiasi: era il futuro internazionale Messina di Bergamo. Comprendo, pertanto, le ritrosie della moglie narrate da Andrea.
Splendida intervista!
Complimenti al mio allievo Filippo Ciccarelli ed al mio amico Andrea Pallotto,che ricordo con affetto e stima per entusiasmi ma anche tante sofferenze vissuti e patite insieme negli stadi italiani,al seguito della Maceratese.
Lo spareggio incredibilmente perduto a Cecina rappresenta un episodio unico di questo caleidoscopio:per la sua singolarità al limite del paradosso,ma anche per la sua drammaticità.
Mi dispiace veramente che Andrea abbia chiuso con il calcio.Di dirigenti preparati e seri come lui c’è un gran bisogno.Soprattutto a Macerata.
Chiedo conferema allo storico Bartolotti:ma è sicuro che la telecronaca di quel play-out l’abbia fatta( e non conclusa),per “Telemacerata”,Alberto Giovagnotti?
Ringrazio Enrico per il suo giudizio.
Ottenere degli apprezzamenti da un giornalista del suo rango, che generalmente non è molto tenero nelle sue critiche, mi ha fatto molto piacere.
Sì, Enrico Maria.
Giovagnotti gettò via il microfono dopo l’autogol di Onorato. Tornò a riutilizzarlo soltanto per i saluti finali, ricordando laconicamente il risultato e l’avvenuta retrocessione della Maceratese.
Caro Stefano,
ero convintissimo di aver fatto io la telecronaca di Cecina,così come quelle dei successivi spareggi(tutti finiti male,purtroppo)di Guidonia e Ladispoli(serie D),di Faenza(serie C2)e di Reggio Emilia(play-off con il Livorno,ancora in C2).Ma se lo dici tu….
Evidentemente mi ero preso un po’ di riposo come opinionista.
Spero di non ripetere la brutta esperienza anche quest’anno,dato che,nell’attuale situazione della Maceratese,temo che il suo target si riduca al piazzamento come migliore(o un gradino sotto)squadra dei play-out, per dare agli stessi un senso concreto.Dal momento che le due ultime classificate nell’appendice di calendario per la salvezza molto probabilmente giocheranno solo per onor di firma.Salvo che,data per scontata la retrocessione del Fossombrone dalla categoria superiore,l’Ancona non vinca la Coppa Italia e la Fermana,che giocherà in casa l’ultima partita proprio con i dorici,il campionato.
Questa è la situazione dei biancorossi.
Gli unici colpevoli sono soltanto loro stessi.Incapaci di difendere risultati di vantaggio(in casa:Biagio Nazzaro, Belvedere,Ancona e Fabriano;in trasferta:Montecchio e Fermana),laddove Fortitudo Fabriano-ricordate l’esaltante ripresa proprio in casa della Maceratese?-,lo stesso Centobuchi di Nocera ed,oggi pomeriggio, la Cingolana contro il Montegranaro vincono in rimonta.
E’ un destino segnato,purtroppo.