Loro si sentono nostri fratelli
ma noi li consideriamo nemici

IMMIGRAZIONE - I romeni e la cattiva informazione. La situazione nel Maceratese

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rom

 

di Giancarlo Liuti

Una premessa. Secondo le ultime rilevazioni ufficiali, la presenza di immigrati in provincia si aggira sul 10 per cento, pari, grosso modo, a 31 mila persone. Di queste, i romeni sono il 13, 5 per cento. Come gli albanesi (13,4), meno dei macedoni (14,3). Il resto, ma con percentuali al di sotto del 10, si divide fra marocchini, pakistani,cinesi, indiani, senegalesi e altri. La nostra – in particolare la città capoluogo – è una terra tranquilla, con un livello di sicurezza superiore alla media nazionale. E i clandestini? Ce ne sono, ovviamente. E la sensazione della gente è che siano moltissimi, forse più dei regolari. Ma le sensazioni – vedremo come si formano e come si diffondono – non hanno alcun valore oggettivo. Comunque è assai discutibile che i romeni – e i rom con cittadinanza romena – possano esser considerati clandestini, perché il trattato di Schengen garantisce la libera circolazione in Europa di chiunque appartenga a uno stato membro. E gli zingari? Attualmente non esistono, in provincia, campi di zingari, né rom né sinti.

Un episodio. Tempo fa, conversando con una badante straniera, una maceratese le chiese: “Lei da quale paese proviene?”. L’altra abbassò gli occhi, arrossì, preferiva non rispondere. Poi mormorò a fatica: “Romania”. Si vergognava di essere romena. Ora, a prescindere dai reali problemi che derivano dall’immigrazione, quell’imbarazzato pudore di sé era in gran parte frutto della pessima immagine che l’informazione italiana – soprattutto televisiva – sta creando da anni a rimorchio di una politica venata di xenofobia e di razzismo. Più che darci fatti, dati ed elementi sui quali ragionare, essa cerca di convincerci che fra romeni e rom non c’è differenza e che gli zingari rom, molti dei quali italiani da vari decenni, sono – tutti – una sorta di flagello biblico, si ubriacano, rubano, rapinano, stuprano, uccidono. Ebbene, questo non è giornalismo, è propaganda.

In che modo, allora, sapere qualcosa di più esatto o di meno irreggimentato? Bisognerebbe documentarsi su un’intera biblioteca di testi storici, economici, statistici e sociali. Ma alzi la mano chi ne ha il tempo e la voglia. Quindi? Può servire un viaggetto in Romania, dove l’originaria presenza dei rom è più forte che in altre nazioni europee (ma ce ne sono molti in Ungheria, Ucraina, Slovenia, Serbia, Bulgaria e – ripeto – anche in Italia, con lo stato di cittadini nati qui e qui residenti da generazioni) e da dove provengono quei circa 30-50 mila rom che hanno superato le nostre frontiere a partire dal 2007, quando la Romania fece il suo ingresso nell’Unione. Ed io, modestamente, questa esperienza l’ho fatta, lasciando per una decina di giorni la città, Macerata, dove risiedo e dove, come dovunque, i Rom – e quindi, per un’ingannevole e preconcetta assonanza di parole, anche i Romeni – suscitano avversione, apprensione, percezione d’insicurezza.

Romania, splendido paese. Povero (il reddito pro capite è circa la metà di quello italiano) ma non misero: le famiglie al di sotto della soglia di povertà sono troppe, il 25 per cento, ma nel nostro meridione questa percentuale supera il 22. Ordinato, pulito, cordiale, ospitale. Orgoglioso di quell’unica meraviglia al mondo che sono gli antichi monasteri ortodossi della Bucovina (interamente affrescati anche all’esterno, roba da far rimanere allibiti, da soli meritano un viaggio). E amante dell’Italia (il nome Romania deriva da Roma, mentre il nome Rom deriva da “Dom”, uomo, marito, arcaico etimo indiano). E ,diversamente da tutti i paesi confinanti, la sua lingua è neolatina. E capita che davanti al municipio di un grosso centro troneggi un monumento con la lupa che allatta Romolo e Remo, perché nel primo secolo dopo Cristo i legionari dell’imperatore Traiano occuparono la Dacia (l’odierna Romania) e quella conquista fu così poco oppressiva che presto ne derivò un’infinità di famiglie miste, e nacque una sorta di etnia dacio-romana, e i romeni di oggi si sentono quasi nostri fratelli. E capita d’imbattersi nelle scritte S.P.Q.R, che per loro significa ancora Senatus Populusque Romanus, mentre da noi, secondo l’interpretazione di un ministro della nostra Repubblica, significa Sono Porci Questi Romani.

Basta. Veniamo al punto. E il punto è che i Romeni sono una cosa e i Rom – esseri umani anche loro, sia chiaro – sono un’altra cosa. La Romania conta ventidue milioni di abitanti e i Rom, zingari venuti dall’Asia in epoche remote, sono – erano – circa due milioni, in gran parte emigrati in tutta Europa e perfino in America. “Anche da noi – mi dice un’imprenditrice turistica di Bucarest – i Rom creano difficoltà d’inserimento, come le creano gli zingari in ogni paese per il loro nomadismo, le loro chiusure tribali e le ombre di certe loro attività. Per questo sono stati da sempre emarginati, perseguitati, decimati. Il nazismo ne ha soppressi a centinaia di migliaia, uomini, donne, bambini. Ma oggi la Romania ha bisogno della solidarietà economica dell’Europa e mi addolora che la vostra informazione, continuando a far confusione fra Romeni e Rom, stia determinando un progressivo calo dell’afflusso di turisti italiani. E poi attenzione, non tutti i Rom sono come li si dipinge”. E mi indica una ventina di caravan che il nostro pullman sta costeggiando. “Lo vede? E’ un campo Rom. Allevano cavalli, sono perfettamente integrati. Molti di loro, del resto, non sono più nomadi, risiedono stabilmente nelle città, si comportano da buoni cittadini. E pure in Italia hanno una casa o aspirano ad averla”.

Allora le obietto che i fatti di piccola o grande criminalità commessi in Italia dai Rom, dai Rom romeni e dai Romeni sono purtroppo numerosi. “Più di quelli commessi dagli italiani o da altri immigrati? Ne dubito. Però lo sembrano, perché, come anni fa accadeva per gli albanesi, un loro reato va in prima pagina e se ne parla per giorni, mentre i reati degli altri passano in secondo piano, quasi rientrano nella normalità. Io non nego che l’immigrazione di gente povera che lascia la famiglia, la casa, gli amici, la patria e si avventura in terre straniere dove è vista male ed è trattata peggio possa dar luogo a tentazioni e reazioni diciamo illegali. Non è forse vero che all’inizio del secolo scorso l’emigrazione italiana negli Stati Uniti esportò, oltre a tante virtù, anche la mafia? Ma amplificare, specularci sopra e alimentare sentimenti di ripulsa se non addirittura di odio non dovrebbe essere il mestiere di un’informazione corretta. E’ questo che mi addolora, e lo dico con cognizione di causa perché vengo spesso in Italia e conosco bene il clima che c’è”.

Conclusione. Verso la fine di agosto, allo Sferisterio, migliaia di noi si sono spellate le mani per applaudire il concerto di Goran Bregovic. Era musica Rom.



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