Villa Lauri sarà pronta nel 2020. La prossima inaugurazione della futura sede dell’Istituto Confucio, prevista tra ottobre e novembre, è stata annunciata in Cina durante la Conferenza internazionale sull’insegnamento della lingua cinese – International Chinese Language Education Conference – organizzata da Hanban che si è tenuta nei giorni scorsi a Changsha, snodo geografico della Belt and road initiative, capitale dell’Hunan, una provincia di circa 70 milioni di abitanti.
Così si accorciano ulteriormenete le distanze con Pechino. Oltre mille rappresentanti di almeno 160 Paesi si sono confrontati sul tema “Innovazione e sviluppo della formazione linguistica cinese”. A rappresentare Unimc sono stati il direttore dell’Istituto Confucio Giorgio Trentin e la direttrice del China Center Francesca Spigarelli.
La conferenza mondiale a Pechino. Da sinistra Kai Xiao, responsabile relazioni internazionali Uni Normale Pechino, Francesca Spigrarelli e Giorgio Trentin di Unimc, Zuoyu Zhou, prorettore Università Normale Pechino
L’occasione ha permesso anche l’incontro con la Normal University di Pechino, partner di Unimc per l’Istituto Confucio. Sono state confermate le attività di collaborazione e la vicinanza tra i due atenei che si tradurranno nelle numerose attività di insegnamento della lingua cinese nelle scuole di vario ordine e grado, nell’organizzazione congiunta di summer school, nella collaborazione per la realizzazione di attività di ricerca. Soprattutto si è discusso dell’apertura e inaugurazione di Villa Lauri. Grande l’entusiasmo da parte cinese per la nascita di un centro dedicato alle relazioni tra Europa e Cina a Macerata, città natale di Padre Matteo Ricci, mediatore per eccellenza tra le due culture.
E’ arrivata, inoltre, la notizia che la squadra Unimc – Istituto Confucio guidata da Francesco Cardinali, docente a contratto dell’Ateneo, ha vinto il primo premio – senza altri parimeriti – al Golden Lenses Awards 2019, fra gli oltre 100 film realizzati quest’anno per il progetto internazionale di videomaking Looking China.
A salire sul podio è Andrea Vallero con il suo documentario “Jiao Tong Teahouse”, un breve viaggio in una giornata tipica in una grande casa da tè dove ogni giorno si incontra un’enorme varietà di persone. Una giungla umana, un inno alla vita. L’ideale medaglia d’oro corona il già ricco palmarès di UniMc, terza nel 2018 con il documentario “Balance” di Roberto Montebello e nel 2016 con “Man is what he eats” di Fabio Ragni.
L'Istituto Confucio è una delle pochissime cose valide che ci sono a Macerata. Una delle poche sedi in Italia dove è possibile fare tutti i test di conoscenza del cinese riconosciuti a livello internazionale.
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Forse per un ragazzo è più utile conoscere l’inglese:
https://www.youtube.com/watch?v=dz6v8q5Hvzc
…si si, sai che confusciò!! gv
L’impero di Xi Jinping approda a Villa Lauri e non c’è nulla di male, purché si sappia come dialogare e trattare con questo partner e rivale sistemico al tempo stesso. Padre Matteo Ricci, che era pure, diciamo noi, un mediatore, ma lo era in quanto missionario, sapeva quel che faceva. Oggi tendiamo soprattutto a non urtare Pechino, tacendo e ignorando alcune cose che invece stanno alla base proprio di un rapporto vero di amicizia e di dialogo, anche sul piano della politica internazionale e persino della stessa diplomazia.
Riporto alcune parti, di un esteso articolo, pubblicate sull’inserto culturale del Corsera, LA LETTURA n.419 del 8 dicembre 2019, dal titolo polemico: “FUORI GLI ISTITUTI CONFUCIO DALLE UNIVERSITA’ ITALIANE” con interventi di due professori sinologi condirettori degli I.C.: STEFANIA STAFUTTI presso Università di Torino ed ATTILIO ANDREINI dell’Università Cà Foscari di Venezia.
“…..gli I.C., nati nel 2004, sono diffusi all’interno di 535 Università nel mondo, di cui 12 in Italia, con l’obiettivo di favorire la conoscenza del mondo culturale e della lingua cinese. Il “quartier generale” degli I.C. a Pechino ha legami diretti con il governo cinese e con il partito comunista, benchè i due condirettori siano espressione delle rispettive università, quella cinese “di origine” e quella della nazione ospitante.
Stefania Stafutti ha pubblicato una lettera a XI JINPING con la quale invita le autorità cinesi al dialogo con gli studenti di HONG KONG mobilitati per chiedere riforme democratiche nell’ex colonia britannica, dal 1997 tornata alla Cina con uno status di autonomia ed istituzioni semi-democratiche. Nelle elezioni di quartiere del 24/11/2019, le sole a suffragio universale, i partiti democratici hanno sbaragliato quelli filo Pechino.
Curiosamente la lettera, pur avendo avuto una discreta audience, non è stata commentata dagli addetti ai lavori circa un centinaio di studiosi dell’Associazione Italiana di Studi Cinesi, che si sono astenuti da ogni considerazione.
L’unico ad intervenire è stato ATTILIO ANDREINI che, oltre a far propria la lettera, ha sollevato il tema degli intellettuali, rivolgendosi ai colleghi, evidentemente restii a prendere posizione, considerando inopportuno affrontare argomenti che possano risultare sgraditi alle autorità cinesi e mescolare cultura e politica, come se i due ambiti non fossero legati. Gli I.C. sono gli istituti culturali, fiore all’occhiello del SOFT POWER CINESE, creati dallo HANBAN, il potente ente statale, EMANAZIONE DELL’UFFICIO PROPAGANDA DEL PARTITO COMUNISTA, cui è affidato il compito di diffondere la lingua a la cultura cinesi all’estero, una struttura imponente, che dispone di grandi mezzi finanziari e che si sta espandendo in tutto il mondo con l’obiettivo di creare un’immagine positiva e attrattiva della Cina, in un momento in cui il paese ha avviato un ambizioso progetto di espansione egemonica.
Da anni, nel mondo, la collocazione degli I.C. nelle università è motivo di un acceso dibattito a causa dell’influenza che questi istituti esercitano sugli atenei in cui sono incardinati, limitandone l’azione e la libertà di pensiero, e monopolizzando le attività collegate alla Cina. Per questo molte università hanno scelto di non avere I.C.e,tra quelle che li avevano, non poche li hanno chiusi.
La presenza sempre più invasiva degli I.C. sembra aver “melassato” gran parte dei sinologi, paralizzati se non proprio da un’aperta censura, quanto meno da una sorta di autocensura indotta da un sistema nel quale molti di loro sono nati e cresciuti accademicamente.
Basta fare un rapido giro sul web (se poi si naviga sui siti di lingua inglese le info abbondano) per rendersi conto che nulla viene fatto per niente e che la lunga mano del governo cinese è dietro a tutto ciò.
Però visto che questi tirano fuori i soldi per comprare e ristrutturare palazzi, che altrimenti rimarrebbero vuoti, e che i cinesi che arrivano nelle Università spendono si glissa, ipocritamente, su tanto.
Dal mondo accademico (economico e politico) non un sussurro su Piazza Tien Am Men.
E nemmeno una flebile voce su Hong-Kong.
E silenzio sepolcrale sul Tibet