di Gianluca Ginella
Ha negato le violenze sessuali sulla figlia Azka Riaz, ha negato di averla picchiata, e sulla notte in cui la ragazza è morta (il 24 febbraio del 2018) ha riferito «quello che ha detto sin dal principio: l’auto si era guastata e lei era scesa. Quando la vettura era ripartita e lui era andato a prenderla aveva sentito un gran boato e aveva visto che era stata investita» riferisce l’avvocato Francesco Giorgio Laganà, legale di Muhammad Riaz il pakistano imputato davanti alla Corte d’assise di Macerata per l’omicidio della figlia 19enne Azka. Oggi l’uomo ha reso una lunga testimonianza nel corso della quale ha anche pianto, e ha ricostruito il rapporto con la ragazza e con gli altri figli.
«Ha detto che fino al 2017 era stato sempre tutto tranquillo e che tutto è nato da quando le due figlie hanno iniziato a frequentare due ragazzi pakistani. E’ da lì che inizia questa escalation di dichiarazioni che lo accusano, e secondo il mio assistito qualcuno avrebbe detto alle figlie che se dichiaravano maltrattamenti il Comune le avrebbe aiutate» spiega l’avvocato Laganà. L’uomo ha negato poi le violenze sessuali, ha detto che ai figli maschi aveva dato, in un paio di occasioni, degli schiaffi ma niente più di questo. Ha anche «pianto, perché è una persona provata. Si parla di violenze di cui non si capacità» dice Laganà. Inoltre sulla notte in cui Azka è morta, ha riferito che «si è fermato perché l’auto era guasta. Lei è scesa e stava ascoltando la musica. L’auto poi è ripartita, lui è tornato indietro a prendere la figlia, le ha fatto un cenno e si è fermato poco più avanti dall’altra parte della strada. Mentre era lì ha sentito un gran boato» spiega Laganà. Nelle scorse udienze era però emerso che la ragazza aveva delle ferite che non sarebbero state causate dall’investimento e che risalirebbero a poco prima della morte. L’accusa sostiene che l’uomo avrebbe picchiato la figlia, che poi era caduta a terra in mezzo alla strada e lì era stata schiacciata e uccisa da un’auto che passava lungo la provinciale 485, a Trodica di Morrovalle. Nel corso dell’udienza sono stati sentiti anche un amico del padre, pachistano e un napoletano che era amico di famiglia. Entrambi hanno detto che era un bravo padre, che lavorava e non beveva. Al processo sono parti civili la moglie di Riaz, assistita dall’avvocato Maurizio Nardozza, il tutore dei tre figli minorenni nell’uomo, assistito dall’avvocato Paolo Carnevali.
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