di Silvano Iommi
Se il sostantivo mostra significa esporre, far vedere, o promuovere concretamente delle idee o dei brand dentro una qualificata cornice, quella allestita con il titolo “Bauhaus100: imparare, fare, pensare”, si presenta come l’esatto contrario. Un costoso nulla immerso nel vuoto assoluto delle idee, punteggiato da estensioni didascalico-ideologiche.
Il tutto naturalmente confezionato all’interno di prestigiosi contenitori monumentali del centro storico, ad esclusivo vantaggio delle due cooperative associate e concessionarie del Sistema Museo alle quali l’amministrazione comunale ha appaltato a lungo termine la sua maggiore attività culturale. Sostanzialmente un inganno ai danni dell’ignaro visitatore, già immaginato dal ben retribuito consulente della mostra come “un pubblico nazionale e internazionale”, abilmente sollecitato da un “piano di comunicazione”, con il Corriere della Sera che ha fornito l’estraniante mostra di copertine dell’inserto “La Lettura” (2012-2017) in esposizione alla biblioteca comunale. Dunque, ad eccezione della prestigiosa collezione privata dell’architetto Italo Rota (prevalentemente documenti contenuti in due o tre teche), il visitatore che acquista un biglietto da 10 € e magari anche un catalogo da 32 €, non vedrà praticamente nulla di veramente significativo in relazione al più importante esperimento formativo del Novecento praticato dalla famosa scuola tedesca nel campo del design tra il 1929 e il 1933.
Gli spazi della mostra
Un vero peccato perché l’idea di celebrare a Macerata il centenario della fondazione della Bauhaus sarebbe stata ottima, non solo per il non meglio chiarito rapporto tra questa scuola e l’artista futurista maceratese Ivo Pannaggi, ma soprattutto perché sarebbe stato molto più interessante coniugare questo centenario sia con la valenza della tradizione produttiva locale, sia con la qualità formativa della Scuola d’Arte applicata all’Industria di Macerata. E’ documentato infatti che la nostra scuola, fondata sin dal 1888 per volontà della locale Camera di commercio, fu diretta sin dall’inizio dal grande artista Giovanni Battista Tassara che oggi possiamo considerare il primo designer italiano tra Decò e Design. Inoltre non va dimenticato nemmeno che alcuni designers divenuti noti a livello nazionale ed europeo, ancora viventi, sono maceratesi, come ad esempio l’architetto Furio Minuti o come l’osimano Nilo Gioacchini.
Il sindaco Romano Carancini alla cerimonia di inaugurazione
Ora tutto ciò è stato ignorato ed appare persino paradossale che il giorno stesso della inaugurazione (prevista prima per il 7 giugno, poi per il 22 giugno e infine avvenuta il 19 luglio), il sindaco sia riuscito a trovare parole di rimprovero per gli imprenditori locali colpevoli di non aver saputo cogliere questa occasione per mettere in mostra i loro prodotti dell’industria 4.0. Certamente è vero che l’idea progettuale iniziale prevedeva circa 20 moduli espositivi da allestire all’interno dell’ex Banca d’Italia; tuttavia, è altrettanto vero che questo progetto abortì quasi subito non per la mancata volontà degli imprenditori ma perché essi vennero interpellati dal Comune solamente un mese prima dell’evento inaugurale, rendendo quindi impossibile qualsiasi coinvolgimento reale e consapevole.
G. B. Tassara, libreria con piano scrittoio a scomparsa (1900)
G. B. Tassara, progetto di una latrina igienica pubblica (1899)
G. B. Tassara, progetto di un comasso per spirali coniche e parallele desintato alla fabbrica svizzera Kern (1896)
L’ipotesi progettuale dell’arch. Baldessari per l’allestimento nell’ex Banca d’Italia, non realizzata
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ok, critica feroce a tutto. Troppo facile.
La premessa è che la mostra non ho saputo comprenderla nemmeno io. La nota più stonata è l’allestimento a palazzo Buonaccorsi, dove le mostre permanenti sono curatissime (percorso e didascalie interessanti, coinvolgenti e non solo un’accozzaglia accademica di date e nomi).
Questa mostra lascia una sensazione di smarrimento. Poche didascalie, complesse, slegate da ciò che è esposto. Non si riesce a destreggiarsi e a creare un contatto di significato.
Però facciamo un passo avanti e non cadiamo nel tranello della società di oggi.
Distruggere è facile quanto inutile. Da chi ne sa e ne sa tanto circa l’argomento, mi aspetto di più. Costruire dopo aver individuato le crepe. Cosa andava fatto meglio? Come? Che si può fare adesso? Individuiamo i problemi e sfruttiamo questi per non ripetere gli errori. Diamo un senso sia alle competenze di chi critica che agli errori di chi non si è servito di tali competenze, ma in modo pacato e sensato. Altrimenti si creano solo fratture insanabili (il comune ne è purtroppo maestro), altrimenti a chi giova tutto il discorso?
Alessandro Perri apprezzo sovente i suoi interventi, sempre a peso specifico alto.
Tuttavia l’ Arch. Iommi in questo caso, nello spazio contingentato di un articolo, ha criticato da esperto una “non mostra”, dando delle spiegazioni sul perché il suo giudizio è negativo. E questo in questa sede mi basta, pretenderei da lui una proposta nel caso in cui una eventuale mostra fosse chiesto a lui di curarla. E, sono sicura, Iommi sarebbe efficace nella parte construens come lo è stato in quella denstruens.
Ennesima riprova che il web, wikipedia, la google university sono più istruttive o meno vacue di tante velleitarie e ampollose istituzioni culturali peraltro carucce e costoselle sia per gli utenti che per i contribuenti…
Caro Silvano “non chiederci la formula che nuovi mondi\possa aprirci. Questo per oggi possiamo dirti: ciò che non siamo\ ciò che non vogliamo”. Utilizzo questo verso di Montale,ma, il clima generale, non solo a Macerata, quello attuale, dico, ricorda molto la “Batracomiomachia” di Leopardi, ovvero ” La battaglia fra rane e topi”. Non mi sembra di vivere su un terreno politico, ma ritengo che la politica sia diventata alto e sublime Teatro. Quanto al genere opterei per “l’eroicomico”.
Lo dice la parola: Bauhaus, bau = cane, haus = casa. Casa da cani.
Per la signora Santucci. La filosofia di Bacone, in particolare il suo metodo, prevedeva due parti: la pars DESTRUENS (non: DENSTRUENS!) e la pars construens.
Dai commenti ho la sensazione che qualcuno frequenti più i canili che le mostre d’arte
Andrea [email protected] Con circa 300mila € si sarebbe potuto e dovuto fare di più nell’interesse della città e della sua tradizione produttiva, culturale e formativa. Non solo una esposizione dei migliori oggetti di design prodotti dall’industria locale, ma anche la produzione intellettuale dei maggiori designers marchigiani oggi in attività e che l’ADI-Marche (Associazione dei designer, interpellata solo per essere presente nel catalogo come associazione) conosce perfettamente. Poi scavare nell’immenso patrimonio storico-archivistico delle scuole di formazione tecnico-artistica presenti nel nostro territorio per riflettere e confrontare le ragioni e le stagioni che hanno accompagnato l’evoluzione dell’odierno design nelle Marche. Insomma tutto un’altro metodo e un’altra serietà di approccio, sia politico-amministrativo sia tecnico-culturale, allo svolgimento di una iniziativa non semplice come questa.