C’è legalità o illegalità
nella vicenda Peppina?

LA DOMENICA DEL VILLAGGIO - La casa in cui vive è diventata una questione nazionale e non si riesce a stabilire dove sta la ragione e dove il torto

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Peppina con il genero all’ingresso della sua casette di Fiastra

 

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di Giancarlo Liuti

Ogni società civile si fonda sul principio di legalità, ossia sulla censura di qualsiasi comportamento che non rispetti le leggi in vigore. E se non siamo d’accordo su questo, cari lettori, è meglio lasciar perdere e parlare d’altro. Vero è che per la sua storia, i suoi costumi e la mentalità dei suoi cittadini l’Italia non è perfettamente in linea con tale principio, ma ciò non significa che almeno a parole non lo condivida. Basta, comunque, con questo discorso, che sarebbe troppo lungo e impegnativo. Limitiamoci quindi a una vicenda in corso a San Martino di Fiastra, dove c’è un’amabile signora novantacinquenne di nome Peppina che per via dei danni sismici alla sua normale abitazione ora vive in una casetta di legno abusiva, ossia non rispettosa delle leggi vigenti in tema di edificazione e in particolare di quelle “paesaggistiche” che proteggono il vicino “Parco dei Sibillini”. Passa qualche giorno, Peppina spera che i tutori della legalità chiudano un occhio e invece lo tengono aperto, tanto che dall’ufficio tecnico comunale le arriva come”atto dovuto” l’ordinanza di demolizione della casetta. Peppina deve dunque andarsene via? Non ancora, visto che le sue figlie hanno annunciato che presenteranno ricorso al Tar. La storia insomma continua e può darsi che Peppina ne sarà tormentata, se ci arriverà, fino ai cent’anni.

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Peppina Fattori

Che fare? La questione non è semplice, coinvolge vari aspetti importanti della vita di ciascun essere umano. Se prevale la solidarietà sociale, vale a dire la condivisione delle esigenze esistenziali di Peppina – si tenga presente la sua venerabile età – sarebbe forse meglio chiudere un occhio e lasciare che lei continui a vivere lì. E non mancano buone ragioni: povera Peppina, perché mai costringerla ad andarsene altrove affrontando questioni anche economiche per lei molto difficili da superare? Non sarebbe un’ingiustizia? Tuttavia sarebbe anche un precedente in grado di aprire la strada a tante altre simili “illegalità”, quasi tutte prive, fra l’altro, di così pressanti necessità di vita e addirittura dettate da calcoli e interessi di mero egoismo commerciale e imprenditoriale. Ripeto allora la domanda: che fare?
In varie sedi e a vari livelli se ne sta discutendo proprio in questi giorni, e con argomentazioni tutte sostenute da una buona dose di ragionevolezza, ma, al tempo stesso, incompatibili col suddetto principio di legalità. Ha forse torto il procuratore capo Giovanni Giorgio nel dire che “avallare costruzioni abusive è da irresponsabili”? No, ha perfettamente ragione. E Peppina dovrebbe lasciare quella casetta. Ma l’assessore regionale Angelo Sciapichetti assicura che si potrebbe giungere a una “sanatoria” che consentirebbe a Peppina di restare dove sta. Qualche ragione, quindi, ce l’ha pure Sciapichetti. Giovedì scorso, però, sul capo bianchissimo di Peppina è piovuta un’ulteriore novità che di sicuro non le è piaciuta: l’ordinanza di demolizione della casetta firmata – altro “atto dovuto” – dall’ufficio tecnico del comune di Fiastra. Povera Peppina, ogni giorno gliene capita una.
Sbagliano – e sono una sterminata moltitudine – gli “ultrasicuri” che in qualsiasi vicenda vi sia una lampante ragione oppure, al contrario, un altrettanto evidentissimo torto. Il mondo è complicato, signori. Il Padreterno, ahinoi, l’ha fatto così e dobbiamo rassegnarci alle troppo poche certezze assolute ed ai troppo numerosi dubbi che ogni volta ci assalgono. Sapete qual è la verità? Che ogni ragione ha i suoi torti e ogni torto ha la sue ragioni. Una contraddizione, questa, che salta fuori in ogni campo: in amore, in politica, in economia, perfino nei rapporti familiari. Ma la disgrazia è che senza questa contraddizione si vivrebbe peggio, senza avere neanche una pallida idea di cosa pensare, cosa fare e contro cosa protestare.



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