di Placido Munafò*
Questo mio intervento nasce da alcune perplessità che nutro in questo particolare periodo storico. Premesso che l’Italia si definisce un paese democratico dove il potere legislativo è separato dal potere giudicante e dove la magistratura è indipendente dal potere politico (art. 104 della Costituzione, dove si specifica che la magistratura “costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”). Ed è da aggiungere che in Italia la giustizia è amministrata “in nome del popolo italiano” (art. 101 della Costituzione).
Fatte queste premesse ed a guardare bene cosa è accaduto in Italia negli ultimi 20 anni, sorgono non poche perplessità sul ruolo della magistratura nel nostro Paese e su come la giustizia è amministrata. Prima dell’epoca di “mani pulite”, vi era una sorta di bilanciamento tra potere politico e la magistratura. Infatti deputati e senatori godevano dell’immunità parlamentare, controbilanciando così il potere dei magistrati (i Padri della Costituzione non a caso inserirono l’immunità dei parlamentari nei dettami della Costituzione italiana). Poi seguì l’epoca di “mani pulite” che doveva in qualche modo ristabilire la legalità spazzando via la corruzione diffusa. In realtà così non è stato, perché alcuni giudici utilizzarono quel particolare periodo storico cercando di condizionare la politica. Non credo sia un caso che Di Pietro – uno dei personaggi chiave all’epoca e P.M. in moltissimi processi che vedevano imputati importanti personaggi politici di quel periodo storico – lasciò la toga per scendere il politica, quasi a dimostrazione, qualora ce ne fosse bisogno, del tentativo di alcuni magistrati di sovvertire l’ordine democratico sancito dal voto popolare.
A dimostrazione di quello che asserisco, basta osservare che l’operazione di legalità di “mani pulite” è stata attuata spesso con l’abuso (anticostituzionale) del carcere preventivo per costringere gli indagati a confessare (atteggiamenti che ricordano il modo di fare della Stasi dell’ex DDR) e si è risolta, dal punto di vista giudiziario, praticamente in una bolla di sapone, mentre l’assetto politico-istituzionale fu sconvolto irrimediabilmente. Da allora l’ingerenza di un discreto numero di magistrati nella politica è stata sempre maggiore, sino ad arrivare ai giorni nostri dove magistrati come Ingroia, Caselli, Grasso, Dambruso, Di Pietro, De Magistris, ecc., si svestono del ruolo di magistrati e scendono in politica. Tutti personaggi chiave e importati in molti processi e iniziative giudiziarie. Iniziative che, il più delle volte a guardare bene, possono interferire anche con l’attuale assetto politico-istituzionale, anche perché spesso rivolte, come fu nel caso di “mani pulite”, solamente verso una parte politica. Credo che rischiamo di andare verso una china pericolosa, dove certa parte della magistratura nasconde il suo ruolo politico e potrebbe così sovvertire l’ordine democratico sancito dalla nostra Costituzione. Rischio che credo sia in qualche modo da annoverare tra le ipotesi possibili. Stante questi presupposti, viene da chiedersi se veramente la giustizia – nella sua generalità – sia amministrata in nome del popolo italiano, perché se così fosse dovrebbe essere avulsa da interessi politici e partitici di parte. Personalmente non credo che in Italia si possa tranquillamente parlare di una magistratura indipendente dal potere politico, perlomeno in molti casi. Casomai, ed è il caso di sottolinearlo, in Italia c’è il rischio concreto che la politica sia asservita alla magistratura, così come avveniva nei paesi dittatoriali dell’est Europa. Per scongiurare questo pericolo, credo che bisognerebbe, per Legge, impedire ai magistrati di candidarsi alle politiche, a meno che non si dimettano definitivamente dal loro ruolo di giudici. Onestamente percepisco questo clima e la speranza di sbagliarmi c’è sempre, mi auguro solamente che la politica faccia la sua parte con onestà e la magistratura faccia il proprio dovere nei propri ambiti di competenza.
*Presidente dell’Associazione Il Glomere
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parla di pericolo della democrazia perchè magistrati entrano in politica!!!Non crede che oggi la democrazia sia minata invece dall’intervento della finanza internazionale che attraverso le sue lobby impone le sue politiche disastrose che tanto danno fanno al ceto medio basso che diventa sempre più povero a fronte di un loro arricchimento. Qui vedo un vero pericolo per la nostra libertà. In questa campagna elettorale ho più paura di Monti , Bersani e Berlusconi che rappresentano questi poteri o comunque queste politche che finora hanno appoggiato, che non Ingroia e de magistris, che in qualità di cittadini di questa repubblica hanno tutto il diritto di essere cittadini eletti e non solo elettori. Infine ognuno di noi ha una sua idea politica che sia magistrato, imprenditore, operaio, carabiniere, sacerdote, l’importante è fare il proprio lavoro con onestà senza condizionamenti, fino a prova contraria.
Al netto di alcuni passaggi che meriterebbero ben altra attenzione, e che tralascio per evitare polemiche, il tema sollevato da Munafò è reale. Peccato che, come troppo spesso succede in queste circostanze, si vada a guardare solo la punta dell’iceberg.
Il problema non è l’attività politica dei magistrati ma la divisione tra i poteri fondamentali: legislativo, esecutivo, giudiziario. Secondo me chi appartiene ad uno di questi tre ordinamenti non può in alcun caso ricoprire un ruolo in uno degli altri. Quindi va bene, come suggerito nell’articolo, che un magistrato non possa candidarsi alle elezioni, ma lo stesso vale, ad esempio, per un parlamentare (legislativo) che non può essere anche ministro (esecutivo). Cosa che peraltro già avviene a livello comunale.
Concentrare l’attenzione su “i magistrati in politica” è uno squallido sistema per aggredire una categoria mal vista dalla propria parte politica. Quando si vuole applicare un principio invece, lo si deve applicare a tutti.
Poi naturalmente occorrerebbe intervenire affinché la magistratura sia davvero un “ordine autonomo e indipendente” dalla politica, ed evitare quindi, come purtroppo avviene da molti anni, che qualsiasi delinquente, solo perché ha una poltrona in qualche assemblea, possa vendicarsi del magistrato che indaga su di lui.
Io credo che il Magistrato, al pari di ogni altro cittadino, debba avere la possiblità di candidarsi.
Ma PRIMA di candidarsi si deve dimettere da Magistrato in quanto, con la sua candidatura, elimina la sua “terza-parte” e quindi, a fine manato, NON può e non deve trnare a fare il Magistrato.
Non può essere messo nel limbo, fino a che è parlamentare, e poi come se nulla fosse tornare a giudicare, questa mi sembra una [email protected]… oceanica.
Bravissimo Munafò!!!! Hai colto nel segno!!!!
Il problema è grave e non credo sia se un candidato o no si può candidare, ma che lo stesso garantisca una libera interpretazione della legge mai faziosa,
il che diventa a tutt’oggi difficilissimo, quasi impossibile in ogni caso e a tutti i livelli anche nello stesso tribunale di Macerata, ed è un fatto grave!!!
E’ giusto l’appunto e la preoccupazione, in politica preferiamo mafia, finanza, lobby, perché loro sì che operano in nome del popolo italiano. Preoccupiamoci di cinque magistrati che si sono candidati, (forse per salvarsi la pelle), non dei cento parlamentari condannati, imputati, indagati e prescritti che che si sono seduti nell’ultimo anno tra Montecitorio e Palazzo Madama, dei quali almeno tredici potranno tornare a sedersi nonostante la legge anti corruzione recentemente approvata, gli altri, senza fare operazioni di imenoplastica potranno, tra sei anni, ricandidarsi, ma questo non ci interessa, il male della democrazia sono certamente quei cinque magistrati, che peraltro dovranno contare sul voto dei cittadini per essere eletti.