Ho buone ragioni per ritenere che quel “Templum S. Philippo Neri Primum in Orbe” sulla lapide appena affissa sull’incompiuta facciata della chiesa di san Filippo sia un po’ eccessivo. Un equivoco probabilmente scaturito dal libricino di Enrico Bettucci, “La prima Chiesa dedicata in tutto il mondo a S. Filippo Neri dopo la sua canonizzazione”, Macerata, 1894. Ritengo infatti che la notizia di questo ennesimo primato vada approfondito da quei consulenti (architetti o ingegneri) dei vescovi che hanno sostituito di recente i colti canonici che sedevano nel Capitolo del Duomo delle varie diocesi e arcidiocesi della provincia. Animato da questa curiosità ho fatto una piccola ricerca perché, come diceva il compianto Febo Allevi, l’ignoranza di uno finisce per diventare la cultura per tanti. Dopo aver consultato alcuni libri di storia locale, ho trovato le risposte che cercavo su un testo classico: Alfredo Cattabiani, Santi d’Italia, Rizzoli, Ariccia, 1993, alle pagine 372-375. Il Cattabiani così riassume la vita di Filippo Neri (Firenze 1515 – Roma 1595) canonizzato nel 1622: “Il fondatore della Congregazione dell’Oratorio fu uno degli apostoli della Roma cinquecentesca proponendo una spiritualità basata sulla tenerezza, sulla prevalenza delle mortificazioni spirituali su quelle materiali e su una irresistibile allegrezza”.
Poi ho verificato le notizie acquisite in internet ed è venuto fuori che almeno le chiese di san Filippo di Perugia e di Torino sono antecedenti a quella nostra dedicata a Pippo Buono. Tuttavia è possibile che gli storici di ieri e i compilatori d’oggi si riferissero ad un meglio identificato edificio religioso precedente. Nulla a che vedere con l’attuale Templum… Primum In Orbe.
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Articoli precedenti:
– La Chiesa di San Filippo è una perla, peccato per quella lapide (leggi l’articolo)
– Stranezze e paradossi nella Civitas Mariae (leggi l’articolo)
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Onestamente non so se quella di Macerata sia la prima chiesa al mondo di San Filippo, ma ho buone ragioni per credere che la facciata non sia un’incompiuta
Magari a qualcuno viene in mente di chiamare striscia la notizia…
Il nostro “caro” vescovo ormai merita anche il tapiro d’oro!
La chiesa di San Filippo Neri a Perugia “è l’edificio barocco più rilevante della città con una facciata del 1665 vignolesca, finita solo in seguito alla costruzione della chiesa negli anni 1627-34 su progetto dell’architetto romano Paolo Marucelli. L’interno, a navata unica con volta a botte e cappelle laterali, è riccamente decorata con affreschi di vari autori dal XVII al XVIII sec. All’altare maggiore, ‘L’Immacolata Concezione’ di Pietro da Cortona del 1662.” http://www.perugiaonline.it/perugia_chiesadisanfilipponeri.html
La prima pietra di quella di Torino è del 1675: http://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_San_Filippo_Neri_(Torino)
Forse il mastro comacino confuse urbe con orbe e tante volte è meglio chiudere un occhio, essere un po…ORBI. Preferisco il Paradiso.
in effetti, passando qualche giorno fa davanti alla chiesa di S. Filippo e leggendo la lapide ho avuto qualche dubbio anch’io. Che dire? Forse sarà il caso di levarla? O al contrario potrebbe trasformarsi in una piccola attrazione turistica…
Ma chi fa queste cose si chiamano esperti?
Urca..ma gli state a fa l’analisi a raggi X a questa lapide e annessi e connessi, comunque dai vari articoli precisi e dettagliati sto scoprendo tante cose interesanti. Si impara sempre qualcosa.
La chiesa cui fa riferimento la lapide non è questa, perchè nel 1611 a Macerata una piccola chiesa venne dedicata al santo, poi ampliata, ma comunque ritenuta insufficiente e completamente ricostruita su progetto del Contini, come ricorda il sito della Soprintendenza ai Beni culturali delle Marche.
Macerata: Chiesa di San Filippo
Notizie storiche
Nel 1611, a Macerata, a soli due anni dalla canonizzazione di San Filippo Neri si dedicava una chiesa alla Congregazione lungo la Strada Nuova; ampliata e riconsacrata nel 1647 fu comunque ritenuta troppo angusta, così che i Padri incaricarono il valente architetto romano Giovan Battista Contini, il quale fornì già nel 1689 un progetto forse troppo innovativo e oneroso. Seguirono diverse revisioni progettuali da parte di capi mastri e un secondo progetto, ma poiché le nuove proposte non ebbero esito si richiamò il Contini per un disegno definitivo, con cui venne compiuta l’opera tra il 1707 e il 1730.
Il 27 maggio 1718 venne aperto alle funzioni anche l’Oratorio mentre nel 1742 venne terminato il Convento, su triplice livello con portale balaustrato e colonne lisce ad incorniciare l’arco di ingresso a tutto sesto; oggi sede della Provincia a seguito alle soppressioni religiose del XIX secolo. Prospiciente al presbiterio, sul lato sud, vi è la sacrestia a pianta quadrata, realizzata tra il 1774 e il 1785. Attualmente la chiesa è oggetto di un importante restauro.
Descrizione architettonica
L’edificio religioso s’identifica nel suo perfetto inserimento urbanistico data la sua forma a cuneo facilitata dalla pianta centrale ellittica; presenta una facciata non finita dall’aspetto severo, coronata da due campanili con cupole bulbate. Il corpo ellittico centrale si separa dall’ingresso e dall’area presbiteriale attraverso due vani simmetrici voltati a botte, di cui quello prospiciente l’abside fornisce diretto accesso alla sacrestia. La chiesa richiama direttamente le forme architettoniche della chiesa berniniana di S. Maria di Montesanto a Roma, dove lo spazio della pianta centrale ellittica è dilatato dalle quattro cappelle radiali incorniciate da semicolonne ioniche decorate e dal presbiterio absidato. Di notevole pregio artistico è la cupola lunettata (foto 2), ritmata da finestrature stuccate e alla cui sommità il lanternino, realizzato nel 1732, richiama la sua assialità verticale.
Opere
Tra gli apparati decorativi, nel primo altare a destra la Natività della Vergine attribuita a Girolamo Donnini, nel secondo altare a destra spicca la pala di Marco Benefial (1684-1764) con la Madonna col Bambino e i SS. Giuseppe e Antonio, datata 1755, nel secondo altare a sinistra del 1737 è la Crocifissione del marchigiano Francesco Mancini (1679-1758), artista che eseguì anche la pala dell’altare Maggiore con la Madonna col Bambino e S. Filippo in gloria, mentre nel primo altare a sinistra è la tela con la Madonna e S. Gaetano da Thiene che adora il Bambino, di Ludovico Trasi del 1634, proveniente dalla precedente chiesa.
L’altare maggiore in marmo venne realizzato dal trevigiano G. Bonessi tra il 1764 e il 1770.
Pregevoli opere d’intaglio del maceratese Silvestro Fioravanti sono gli armadi collocati nel vano d’ingresso alla sacrestia e i confessionali disposti simmetricamente nel vano centrale ellittico.
Grazie Vittorio per la spiegazione. Anzichè fermarci ad analizzare, commentare e criticare la lapide sulla facciata senza sapere come stanno realmente le cose, perchè non entriamo e contempliamo la spiritualità che aleggia e la bellezza architettonica della chiesa? Entrare lì non è come entrare nelle altre chiese, perlomeno a me fa quest’effetto.
@Vittorio Zazzaretta: cioè hanno preso una lapide che parlava d’una chiesa A e l’hanno spostata in una chiesa B? Ma allora che c’azzecca? La lapide parla di un’altra chiesa?
Mi debbo scusare con le lettrici e i lettori di CM perché purtroppo la nota che è pubblicata dalla Soprintendenza ai Beni Culturali delle Marche riporta al suo interno la data errata della costruzione della prima Chiesa dedicata a S.Filippo Neri. Il 1611 non è altro che la data del primo insediamento dei Padri Oratoriani a Macerata, mentre Filippo Neri fu beatificato da Paolo v nel 1615 e santificato da Gregorio xv nel marzo del 1622. La prima piccola Chiesa fu aperta al culto l’otto settembre 1624 dal cardinal Centini e ampliata nel 1647 e la sua collocazione era a metà dell’odierno corso della Repubblica, mentre la nuova Chiesa collocata alla fine della via venne solennemente inaugurata nel 1730. Appare evidente che si tratta di due Chiese diverse. Alcuni sostengono che la prima Chiesa dedicata al Santo sia quella di Carbognano in provincia di Viterbo eretta nel 1636. Comunque molte Chiese in quegli anni vennero dedicate alla memoria del Santo oratoriano, quindi la dizione scritta malamente sulla lapide sembra quantomeno azzardata e frutto di errori precedenti. Sono in sintonia con Emma Salo riguardo l’aura di spiritualità che la Chiesa di S.Filippo emana, ma facendo un mio modesto riferimento all’estetica dell’opera restaurata non posso non considerare la lapide di dubbio gusto e per questo motivo cosiglierei di raffrontare una vecchia foto della facciata della Chiesa con una delle recenti rappresentazioni. Dico e confermo la mia valutazione proprio per l’affetto che mi lega al monumento. Come nota finale consiglierei la Soprintendenza di controllare meglio quanto viene scritto nei propri siti.
@ Vittorio Zazzaretta
Aggiungo alle vicende storico-artistiche della chiesa di San Filippo una leggenda metropolitana che ora potrebbe trovare alcune conferme, in considerazione che l’edificio venne restaurato nel 1949.
… una sera Emilio F., un muratore in pensione originario di Montecassiano, mi raccontò di aver lavorato all’altare della chiesa di san Filippo e di aver sepolto sotto i gradini dell’altare una cassa metallica. Allora non gli diedi molto ascolto ma, ripensandoci ora che la chiesa è chiusa da oltre dieci anni, potrebbe trattarsi di una sorta di “Oro di Dongo” perché, come mi disse Emilio, lavorò a san Filippo proprio nel periodo imminente alla caduta del Fascismo. Quindi, una volta che si darà inizio ai lavori di restauro post sismico, sotto l’altare della chiesa frequentata dalla gente che conta e da quella che vorrebbe contare, da cittadini di primo pelo, teste d’uovo e senza peli sulla testa, si potrebbe monitorare, come si dice ora, sondare, scoperchiare qualche gradino per verificare se sotto c’è il tesoro della Civitas Mariae: documenti dell’ultimo Podestà. Probabilmente non si farà nulla per rispettare il sacro e il profano al tempo stesso.
(G. Bonifazi, L’Osteria dei Pettorossi, Pollenza, 2009, pp. 51-52.)
@ Sandro Monachesi
Alcuni elementi che confermano l’incompiutezza della facciata: gli zoccoli in pietra alla base delle lesene o paraste aggettanti anche nei lati concavi, i dadi giganti, il frontone ben definito e le buche pontaie che servivano per i ponteggi lignei.