“Macerata è la Provincia delle Marche
che pagherà di più la spending review”

Il Comitato per Macerata e il suo territorio ha ribadito i disagi che la soppressione dell'ente procurerà ai cittadini e alle imprese: "Servizi meno accessibili e tasse in più se saremo accorpati con Ascoli". A sostenere l'incostituzionalità del provvedimento arriva anche il parere di Capotosti

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I componenti del comitato Pasquale Queto, Marina Santucci e Paolo Virgili

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Marina Santucci

di Alessandra Pierini

«Macerata Provincia di Ascoli? No, grazie»: con questo slogan il Comitato per Macerata e il suo territorio, nato lo scorso 1 agosto per impedire la soppressione della Provincia di Macerata e sensibilizzare sulle conseguenze  del provvedimento,  forte delle 3000 adesioni raccolte da allora, ha fatto questa mattina il punto della situazione.
Molti sono gli elementi, sia pratici e concreti che giuridici, a sostegno del mantenimento della Provincia di Macerata raccolti dal gruppo ed esposti anche ai consiglieri regionali maceratesi. «Innanzi tutto – spiega Marina Santucci – il criterio di un  numero di abitanti superiore a  350 mila abitanti è in conflitto con quello previsto dal Testo Unico degli Enti Locali che prevede 200 mila abitanti, intanto la Regione continua a deliberare in termini di ambiti ottimali  che sono appunto le Province. In questi giorni si sono aggiunti anche dei pareri eccellenti a quelli di illustri giuristi che avevano già espresso la loro opinione. Oltre al parere di Valerio Onida sul quale si è basato il governatore delle Marche Giammario Spacca per decidere se ricorrere alla Corte Costituzionale, c’è quello di Pietro Ciarlo che invece argomenta la percorribilità della strada del ricorso. A lui si è aggiunto Alberto Capotosti, presidente della Corte Costituzionale nel 2005 e vice presidente del Csm, che   ha individuato gravi dubbi di costituzionalità sotto diversi profili dell’articolo 17 della legge sulla spending review. L’Università di Macerata, inoltre, ha sottolineato proprio ieri che il riordino investe tutte le province e non solo quelle che non hanno i requisiti perciò Pesaro e Ancona non potranno restarsene a guardare. Sono poi già sei le Regioni che hanno presentato un ricorso alla Corte Costituzionale e sei le Province che hanno presentato ricorso al Tar Lazio. Noi ci auguriamo che la Regione Marche e la Provincia di Macerata facciano lo stesso».

Il comitato è particolarmente critico nei confronti dell’ente regionale: «La Regione  – continua la Santucci – non si fa grossi problemi a presentare ricorsi, ne ha fatti 15 in tre anni e uno di questi era in materia di cerimoniale e precedenza tra le cariche pubbliche. Ci sembra che la divisione del territorio in quattro Province meriti qualche attenzione in più».
Un altro tema che sta molto a cuore ai componenti del Comitato è quello economico: «I conti della Provincia di Macerata sono virtuosi – insiste Marina Santucci – non possiamo dire altrettanto di quelli di Ascoli. A parte il fatto che abbiamo reperito il bilancio con difficoltà, ci preoccupa il fatto che il collegio dei revisori dei conti dell’ente parla di una situazione deficitaria. Attendiamo il 30 settembre la dichiarazione degli equilibri di bilancio, la mancata attestazione sarebbe il primo passo verso il dissesto. Il default comporterebbe in soldoni più tasse per i cittadini, quindi anche per noi se entreremo a far parte di quella Provincia, rideterminazione della pianta organica e impossibilità per i creditori dell’ente di avere i propri soldi . Ascoli ha inoltre dato esempio di cattiva amministrazione pagando due volte una cifra dovuta per la realizzazione dell’Ascoli Mare. Tra l’altro sospettiamo che dopo il pagamento di 10 milioni di euro, piovuti come una tegola sull’ente, la quadratura di bilancio sia stata fatta sulla base di residui virtuali. Rivendichiamo perciò la virtuosità della Provincia di Macerata che deve essere riconosciuta».

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Il Comitato ha mostrato vari documenti tra i quali lo studio della Bocconi sulle Province

Sottolinea i disagi che deriveranno alla Provincia di Macerata in caso di soppressione Renato Coltorti: «Saranno chiusi ben 17 uffici con una conseguente riduzione di risorse economiche sul territorio oltre alla difficoltà per aziende e singoli cittadini di accedere ai servizi. I problemi non riguarderanno solo i dipendenti della Provincia. Crediamo che questa fase sia cruciale per la politica perchè i nostri rappresentanti dovranno decidere se prioritari sono i dettami del partito o le esigenze dei cittadini».
Ribadisce il problema dei servizi Paolo Virgili: «Molti cittadini non sapevano della chiusura della Provincia o almeno credevano che avrebbe chiuso solo l’Ufficio Provincia ma in realtà sarà un intero territorio a chiudere e i suoi cittadini avranno maggiori difficoltà ad accedere a tutti i servizi. Per di più Macerata è l’unica Provincia virtuosa che ci rimette nella Regione Marche».
Richiama la politica al suo ruolo Pasquale Queto: «Già adesso la normativa, così com’è, permette alla politica di proporre la suddivisione delle Marche in quattro Province ma è importante che si lavori fin d’ora sugli accordi» .

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L’intervento di Piero Alberto Capotosti, marchigiano, presidente della Corte Costituzionale nel 2005 ed ex vice presidente del Csm, è stato sollecitato dalla Fondazione Cassa di risparmio di Fermo, che lo ha poi trasmesso al Cal provinciale. Fermo è una delle Province destinate alla soppressione, e all’accorpamento (con Macerata e Ascoli Piceno) in una grande Provincia Marche Sud, e gli enti locali sono sul piede di guerra. In 21 pagine di parere, molto articolate, Capotosti dà qualche speranza alle comunità locali. “Lo strumento del decreto legge – osserva – non può venire utilizzato nei casi di evidente mancanza dei presupposti di necessità e urgenza”, e inoltre “non sembra sussistere alcuna plausibile giustificazione per la palese difformità fra il procedimento di riordino previsto dal decreto e la ben diversa procedura di modifica dei territori delle Province, stabilita nella Costituzione”. Due le principali perplessità. La prima, di natura formale, riguarda l’ipotetica violazione dell’art. 77 della Carta costituzionale e “la fonte scelta dal Governo”. Secondo la più recente giurisprudenza costituzionale infatti, non si può far ricorso allo strumento del decreto nei casi “di evidente mancanza dei presupposti della necessità e dell’urgenza del provvedere, e neppure può venir utilizzato per far confluire in un unico atto una serie eterogenea di provvedimenti non collegati realmente fra loro sotto il profilo della materia trattata”.
Per quanto attiene invece il profilo sostanziale, “non sembra sussistere alcuna plausibile giustificazione per la palese difformità fra il procedimento di riordino previsto dal decreto legge e la ben diversa procedura di modifica dei territori delle Province stabilita in Costituzione”. Tanto che l’art. 133 e il principio autonomistico appaiono vittime di un “vero e proprio capovolgimento”. “Ben più aderente al dettato costituzionale – argomenta il presidente emerito della Consulta – è il provvedimento previsto dal Testo Unico degli Enti Locali”. Capotosti ritiene perciò che “un eventuale giudizio davanti alla Corte costituzionale, nei modi e nei tempi consentiti, abbia significative possibilità di successo, anche se non si possono sottovalutare le prevedibili implicazioni problematiche connesse alla generalizzata situazione di emergenza che il Governo negli ultimi mesi regolarmente invoca a fondamento della propria, ripetuta attività in via di urgenza”. A impugnare direttamente la legge davanti alla suprema Corte possono essere solo le Regioni, ma gli altri soggetti possono aprire una controversia davanti al giudice amministrativo, che, se lo ritiene, solleverà poi la questione di costituzionalità.

(Foto Cronache Maceratesi – vietata la riproduzione)

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