Spazio pubblicitario elettorale

«Centrodestra e centrosinistra al Pub,
noi riapriremo gli ospedali
e torneremo alle Usl»

LE INTERVISTE AI CANDIDATI GOVERNATORI - Claudio Bolletta corre per Democrazia sovrana popolare di Marco Rizzo: «Sono tutti finiti nel Partito unico di Bruxelles, noi fuori dal sistema per salvare sanità, lavoro e Costituzione»

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Claudio Bolletta con Marco Rizzo

di Marco Pagliariccio

Claudio Bolletta, di Chiaravalle, 68 anni, un passato come imprenditore nel settore della sicurezza. Lei arriva da un’esperienza politica con la Lega, fu candidato sindaco a Chiaravalle del Carroccio. Come è maturata la scelta di approdare a Democrazia Sovrana Popolare e di provare la corsa come candidato governatore?

«Dall’incontro con un uomo come Marco Rizzo.  Marco Rizzo e Francesco Toscano hanno elaborato un progetto politico nuovo portandolo anche nelle Marche. Un movimento, il nostro, che è una vera e propria eccezione. Gli altri partiti hanno perso il rapporto con i cittadini. Sono dei marchi, delle fabbriche di organizzazione del consenso promossi quotidianamente nei talk show televisivi. Usano i sondaggi e le ricerche di mercato per posizionarsi nella platea elettorale a seconda delle convenienze. Poi, quando sono al governo, si dimenticano delle promesse e rispondono all’unisono signorsì all’Unione Europea. La Lega parla di pace ma, come la Von Der Leyen, ha votato tutti  gli aiuti in armi all’Ucraina e i pacchetti di sanzioni alla Russia che stanno facendo schizzare i prezzi del gas per famiglie e imprese, sostiene un criminale come Netanyahu, non mette mai in seria discussione un piano di riarmo da 800 miliardi che sottrae risorse alla scuola e alla sanità per darle ai carri armati. Insomma, Salvini fa la voce grossa e poi obbedisce. Rizzo fa quello che dice».

No al centrosinistra, no al centrodestra: perché? E c’è davvero spazio in quello che sta tornando ad essere un sostanziale bipolarismo?

«Un bipolarismo tra due finte alternative significa avere un unico polo senza possibilità d’alternativa. Non mi sembra una grande idea di democrazia. Destra e sinistra sono ormai due facce della stessa medaglia. Anziché governare, entrambe, almeno negli ultimi decenni, sono andate al Pub (Partito unico di Bruxelles). Dall’89 ad oggi al progressivo smantellamento delle tutele giuridiche e sociali si è accompagnata una drastica riduzione dei salari, che ha aperto la fase storica della globalizzazione selvaggia. Gli effetti più negativi di questo processo si sono determinati nello spazio economico e sociale dell’Unione Europea, soprattutto con riferimento ai paesi aderenti al sistema della moneta unica, laddove, nei primi anni di adozione dell’euro, l’inflazione è stata imponente, con un aumento generalizzato dei prezzi di tutti i beni di consumo che ha avuto feroci conseguenze unitamente alla diminuzione delle buste paga. Nel nostro Paese, dal 1992, dopo la ratifica del Trattato di Maastricht e la delegittimazione dell’istituzione parlamentare, tutti i governi che si sono succeduti, a prescindere dalle contrapposizioni finte, funzionali a mobilitare il consenso, hanno avuto un’unica piattaforma programmatica: mettere  in discussione la Costituzione per renderla più fragile davanti alle grandi concentrazioni di  poteri privati, privatizzare importanti settori dell’economia pubblica e strategica, liberalizzare a vantaggio della speculazione finanziaria,  i mercati dei servizi fondamentali, devastare  il sistema di previdenza sociale e smantellare i diritti dei lavoratori, senza soluzione di continuità e senza distinzione di schieramento. Questo processo di passaggio di ricchezza da chi lavora a chi specula con grandi concentrazioni di potere economico nelle mani di pochissimi (si tratta di superproprietari con maggiore ricchezza di interi Stati mentre il 70% della popolazione mondiale in età lavorativa possiede appena il 2,7% della ricchezza mondiale) è andato di pari passo alla limitazione della sovranità popolare e alla rimozione di ogni possibile controllo del potere dei mercati sugli uomini. Ciò è avvenuto a vantaggio delle istituzioni transnazionali ed antidemocratiche dell’Ue e della Bce che, di fatto, dettano i voleri dei monopolisti tramite i partiti di governo (qualunque sia il colore del governo)  anche al livello degli enti locali. Questi ultimi, sottoposti all’imposizione del pareggio di bilancio e legittimati da un’interpretazione estensiva del principio di sussidiarietà, entrambi inseriti in Costituzione con riforme bipartisan, hanno proceduto a privatizzare i settori economici pubblici ed i servizi essenziali, come quello sanitario, che è stato duramente intaccato regione per regione. Per questo motivo i programmi elettorali che promettono la difesa dei beni comuni, dei servizi pubblici e della sanità, senza mettere in discussione lo stato di cose attuale,  trincerandosi dietro le etichette logore di “sinistra” o di “destra”, dicono una menzogna che si ripete da troppo tempo».

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Marco Rizzo e il candidato governatore Bolletta

 

La sanità è il grande tema delle regionali, d’altronde è il settore che assorbe il grosso delle risorse dell’ente: quali sono le sue linee guida per attenuare le problematiche più stringenti (liste d’ attesa, guardie mediche, mancanza di medici, ecc..)?

«Riapriremo tutti gli ospedali che sono stati chiusi dal partito unico di Roma e Bruxelles (centrodestra e centrosinistra). La salute è un diritto che va garantito a ogni cittadino. Per farlo occorre toglierla dal dominio clientelare della Regione e dei privati, riaffidandola allo Stato e ricostruendo un vero Sistema Sanitario Nazionale. Con noi torneranno le Usl (le unità sanitarie locali) al posto delle aziende sanitarie locali. Siamo contro le derive aziendalistiche della sanità. Occorre, inoltre,  tramite deroghe al decreto Balduzzi, provvedimento nazionale  con cui l’Ue, tra l’altro,  mette le mani sulla salute con l’approvazione complice di tutte le forze politiche italiane,  uscire da questa gabbia e  recuperare tutti i fondi per finanziare la sanità pubblica, riaprire e potenziare le strutture sanitarie territoriali, abbattere le liste d’attesa, rivedere il sistema di prenotazione delle prestazioni sanitarie, ridurre il costo delle stesse ed ampliare le fasce di esenzione dal pagamento del ticket. Come? Togliendo i finanziamenti ai privati che, a causa di PD e Centrodestra ammontano a molte centinaia di milioni di euro. I finanziamenti diretti alla sanità privata, vero e proprio furto di salute, in dieci anni di centro sinistra  sono stati di 350 milioni di euro ogni anno(+70 milioni di mobilità passiva). Il centrodestra ha dato 40 milioni ai privati per i soli servizi ambulatoriali. Noi vogliamo che questi soldi  non riempiano più le tasche degli speculatori  spesso amici delle diverse compagine di governo in giro per l’Italia, ma servano  a finanziare la sanità pubblica. Non si gioca sulla pelle e sulla vita delle persone. Nessuno può sottrarre un diritto in nome del profitto».

Infrastrutture, un problema cronico per una regione come le Marche: quali sono le sue priorità?
«Tragedie come quella del ponte di Genova e, prima ancora, del cavalcavia crollato in A14 tra Loreto e Castelfidardo, non devono più accadere. Per questo la priorità non è l’annuncio, a favor di telecamera di mirabolanti realizzazioni, ma è la messa in sicurezza, nel tempo massimo di due anni, di tutte le infrastrutture che necessitano di manutenzione straordinaria. Occorre realizzare l’alta velocità ferroviaria nella tratta Ancona-Roma mediante il raddoppio dei binari, completare la terza corsia dell’A14 fino a San Benedetto del Tronto, le strade Ancona- Perugia e Fano-Grosseto, oltre allo sblocco dei lavori per il raddoppio delle corsie della SS16 da Ancona a Falconara Marittima. È necessario altresì l’arretramento della ferrovia dalla Flaminia, che dovrà diventare una strada litoranea con lungomare pedonabile, pista ciclabile e metropolitana di superficie dall’attuale stazione di Falconara Marittima alla Stazione Marittima di Ancona, che andrà riaperta, passando per Torrette, con collegamento al polo ospedaliero».

Industria e artigianato soffrono, la Zes può essere davvero una soluzione?

«La Zes non è una soluzione. Non tocca molti aspetti dell’industria e  non migliora la situazione di moltissime aziende in difficoltà, esclude diverse aree industriali marchigiane. Assomiglia più a una mancetta che a una soluzione. Se si  pensa che negli ultimi anni le Marche hanno perso oltre il 10,1 di capacità produttiva con la perdita di 15.000 imprese e hanno fatto registrare un aumento gigantesco della cassa integrazione, si comprende come queste tre lettere, Zes, abbiano uno scopo puramente elettoralistico, non una funzione risolutiva.  Per quanto riguarda l’industria vogliamo impedire la desertificazione produttiva in atto ad opera di fondi di investimento e di multinazionali che arrivano, prendono i marchi, delocalizzano e licenziano i lavoratori. Anche su questo purtroppo, destra e sinistra sono stati drammaticamente identiche. Noi vogliamo affermare un principio: vogliamo costituire un modello per un piano generale di intervento statale nell’industria strategica del Paese. Un modello che abbia chiara una priorità: le crisi industriali si risolvono a favore del lavoro e non della speculazione. La sovranità è anche protezione dei cittadini e dei territori da chi vorrebbe imporre, come unica legge, il profitto. La Regione dovrà inoltre  investire nello sviluppo della rete produttiva artigianale e dovranno essere previsti degli incentivi alla capacità delle imprese artigiane di fare sistema, primo fra tutti il rimborso dell’Irap. L’impresa artigiana è impresa di qualità, non deve essere limitata a produzione di piccole dimensioni limitata da contratti di subfornitura. La crisi della grande distribuzione e la tendenza monopolistica dei grandi gruppi, che nel nostro territorio si è manifestata con una serie di acquisizioni (si pensi a quella di Auchan da parte di Conad) sta provocando chiusure di unità produttive e conseguenti esuberi. Si deve intervenire con misure adeguate, come la riduzione del lavoro a parità di salario ed ammortizzatori sociali straordinari, per il mantenimento dei livelli occupazionali e la salvaguardia del reddito dei lavoratori e delle loro famiglie. La diffusione dell’e-commerce ha danneggiato tutte le attività commerciali del territorio, sia di grandi che di piccole dimensioni. A tal proposito è necessario agire subito a livello statale su una rimodulazione dell’Iva, consistente in una riduzione al 15% per il commercio al dettaglio. Per rompere il monopolio delle grandi piattaforme commerciali, bisogna favorire le piccole e medie imprese, l’asse portante del nostro Paese. Occorre tassare le multinazionali, lo si può fare anche al livello regionale, per impiegare piattaforme regionali e nazionali per l’e-commerce e la logistica ad un tasso bassissimo (al massimo il 5% di sovrapprezzo, contro il 20% o 30% in vigore oggi). Un procedimento dello stesso genere può essere messo in piedi per gli affitti degli alloggi, per i B&B e per gli alberghi. Servono piattaforme regionali che non facciano pagare ai piccoli proprietari e ai piccoli albergatori l’altissima percentuale oggi presente».

Il turismo può essere un’alternativa alle difficoltà della manifattura? Quali sono le sue idee per provare ad alimentare questo settore?

«Sono due settori molto diversi e non sovrapponibili per numeri e struttura. L’uno non può sostituire o rimpiazzare l’altro.  Per quanto riguarda il turismo, è necessario superare l’individualismo, il particolarismo ed il campanilismo per fare sistema, pianificare il settore turistico, favorire la cooperazione tra operatori economici coinvolti anche mediante la creazione di consorzi, promuovere un’offerta integrata. Per quanto riguarda la cultura essa rappresenta oggi, oltre che una irrinunciabile ricchezza sociale immateriale, un fondamentale indotto economico che dà lavoro a molti cittadini, non solo artisti, intellettuali e studiosi, ma anche figure professionali sempre più connesse alla produzione culturale, piccole imprese ed operatori commerciali, artigiani, organizzatori, tecnici ed operai. La Regione troppo spesso ha concentrato ingenti risorse in grandi eventi culturali, con evidenti finalità di marketing politico, sottraendo finanziamenti che, se meglio utilizzate, avrebbero potuto sostenere una straordinaria crescita culturale di tutto il territorio, con maggiore coinvolgimento di una platea più vasta di cittadini. Per questa ragione bisogna rompere il legame istituzionale tra propaganda politica di governo e promozione culturale, il quale nel peggiore dei casi si risolve nel basso clientelismo praticato in maniera bipartisan dagli euro-progressisti e dagli euroconservatori e dai loro rispettivi elenchi di fedeli accoliti. Anche per sfuggire a questo meccanismo dominato da potentati esistenti nel mondo della distribuzione che circuitano cartelloni-fotocopia in giro per il territorio regionale, proponiamo di  formare lavoratori qualificati nei settori culturali, investendo sulla preparazione di giovani addetti alla conservazione dei beni culturali regionali e sulla costruzione e gestione di proposte originali e ad hoc selezionati sulla scena italiana da nuovi professionisti del comparto, una generazione nuova e finalmente non cooptata dalla politica o dalle sue espressioni, dirette o indirette, di direttori artistici».

Marco Rizzo, leader del partito a livello nazionale, ha scelto di candidarsi nella circoscrizione di Pesaro: come mai?

«Per me, l’esperienza di Marco Rizzo sarebbe stata importante in ciascuna circoscrizione e  sono sicuro che lo sarà anche in quella di Pesaro».

Quanto è complicato fare campagna elettorale per una realtà più piccola come la vostra che cerca di affrontare due coalizioni con alle spalle grandi partiti e tante liste?

«Significa raccogliere le firme ad agosto, significa non avere strumenti comunicativi sofisticati e pagati centinaia di migliaia di euro come i nostri avversari, significa essere estremamente determinati e  lottare contro il partito unico di Bruxelles. Lottare perché esista, davvero, un’alternativa. Abbiamo visto crescere questa nostra vocazione ribelle tra la gente. E ci siamo trovati a nostro agio perché siamo donne e uomini del popolo. Vede, alcuni operatori dell’informazione ci chiamano outsiders, intendendo che siamo fuori dalla politica ufficiale. Per noi è un vanto, perché quella politica ufficiale sta distruggendo la società marchigiana. Quella politica ufficiale ha chiuso decine di ospedali, costringendo chi è malato a San Benedetto a spostarsi sino ad Ancona per curarsi. Quella politica ufficiale ha favorito crisi industriali e disoccupazione. Noi siamo dall’altra parte, dalla parte di quegli outsiders ignorati, da troppo tempo, dalla politica ufficiale: i cittadini. Chi sono? I disoccupati, i giovani precari, i liberi professionisti, la piccola e media impresa, gli agricoltori strozzati dalle aste al ribasso della grande distribuzione, i pazienti, fin troppo pazienti, in lista d’attesa. Noi non proponiamo un’alleanza politica, ma vogliamo affermare una solida alleanza sociale con tutti quei cittadini, quelle forze professionali, quelle partite iva, quei lavoratori  che non hanno più diritto di cittadinanza perché negli ultimi anni, nelle società europee ed anche in quella marchigiana, il dibattito pubblico ufficiale li ha espulsi e ha bollato le loro legittime istanze come populiste solo perché volevano istruzione e non armi, ospedali con bravi medici,  non con manager piazzati dalla politica. Noi siamo e saremo, sempre, dalla loro parte».

Quali sono i primi atti che firmerebbe in caso di elezione a presidente della Regione?

«Quelli a vantaggio delle persone che soffrono di più. Lo sa che il 62% delle persone con disabilità che vive a casa non riceve alcun tipo di sostegno e circa  il 75% delle famiglie con anziani non autosufficienti non riceve alcuna forma di assistenza continuativa? È davvero una vergogna. Noi proponiamo  di portare le pensioni di invalidità a 800 euro per chi ha tra il 74 e il 99% di invalidità e a 1.200 euro per il 100% con integrazione regionale valida almeno due anni e la richiesta di esportare questo criterio in tutta la nazione. La civiltà dei luoghi parte dalla solidità delle politiche sociali».

Che risultato vi aspettate?

«Di risultare il primo partito tra tutti  coloro che senza di noi non sarebbero mai andati a votare, perché giustamente schifati dalla trasformazione della politica in un mercato».

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