«Bloccato 4 giorni in pronto soccorso,
sanitari sottoposti a fortissima pressione
Nefrologia un esempio da seguire»

LA LETTERA di Sandro Carsetti, suocero del giornalista Carlo Cambi, che racconta la sua esperienza all'ospedale di Macerata: «Capisco che ormai i pazienti vengono smistati dove c'è posto. Il reparto in cui mi hanno ricoverato dimostra che si può fare una sanità a misura d’uomo e i sanitari sono preparati e pronti a fare un’assistenza dal volto umano ed efficace. L’efficienza diagnostica è stata di altissimo profilo»

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L’ospedale di Macerata

 

«Il reparto di Nefrologia è un luogo accogliente di cura vuol dire che si può fare una sanità a misura d’uomo e che i sanitari sono preparati e pronti a fare un’assistenza dal volto umano ed efficace». Sono le parole di Sandro Carsetti, suocero del giornalista Carlo Cambi, che ha inviato una lettera a Cronache Maceratesi per raccontare la sua esperienza all’ospedale di Macerata. O meglio, le sue due diverse esperienze nella stessa struttura, talmente differenti da sembrare quasi si parli di due ospedali diversi.

Ecco la sua lettera integrale:

«Chiedo ospitalità a Cm per ringraziare il reparto di nefrologia dell’Ospedale di Macerata che mi ha restituito forse il valore più importante per un essere umano: la fiducia nel prossimo. Leggo che ci sono molte proteste per il fatto che i pazienti vengono “parcheggiati” al pronto soccorso in attesa di trovare un reparto che li accolga. E’ esattamente quello che mi è capitato. Arrivato al posto di primo intervento con febbre, difficoltà respiratoria e un malessere diffuso sono stato deposto in una barella. La prima preoccupazione è stata di escludere che io avessi il Covid. Accertata la mia negatività sono stato visitato 11 ore dopo. La faccio corta: ho atteso quattro giorni prima di trovare un vero posto letto. Il Pronto soccorso è una sorta di girone infernale per i pazienti e i familiari – fortunato chi ce li ha – che sono la sola forma di assistenza possibile. Peraltro la notte mia figlia era costretta a passarla in piedi: non c’è alcuna possibilità di riposare un po’. L’unica cosa che funziona, anche se con tempi dilatati e scanditi dalla gravita dei casi, sono gli accertamenti diagnostici che vengono regolarmente svolti. Nella mia stanzetta c’era chi doveva implorare qualcuno di passaggio di comprargli una bottiglietta d’acqua. Devo però dire che la pressione cui sono sottoposti gli operatori sanitari è fortissima e per primi loro si trovano a operare in condizioni ai limiti della sopportabilità. La mia situazione e, posso azzardare a dire, anche la mia vita sono cambiate quando hanno trovato per me un posto nel reparto di Nefrologia anche se non avevo una patologia che potesse essere connessa con quella competenza clinica. Ho capito che ormai i pazienti vengono smistati non dove si pensa che dovrebbero andare, ma dove c’è un posto libero.

Questo ovviamente aggrava la fatica dei medici e credo anche i costi, ma a me è andata benissimo. Lì non solo sono tornato a essere un cittadino con dei diritti, ma sono diventato un paziente a cui andava garantito il diritto alla salute e un uomo di cui andava tutelata la dignità e per quanto possibile l’integrità fisica dato che qualche acciacco ce l’ho. Devo ringraziare il dottor Franco Sopranzi che dirige il reparto con estrema competenza, ma soprattutto con un riguardo certosino all’umanità. E tutti sono positivamente contagiati da questo esempio: dalle dottoresse, ai dottori, agli infermieri e infermiere fino alle assistenti e al personale impegnato nella pulizia tutti sono stati di una umanità eccelsa, hanno avuto una attenzione vera a noi pazienti, e con tutta onestà devo dire che loro con noi sono molto pazienti, perché qualche degente proprio rispettoso non è. In una parola mi hanno curato e si sono presi cura. L’efficienza diagnostica è stata di altissimo profilo; hanno indagato ogni possibile causa del mio malessere attivando tutti gli specialisti necessari: dalla geriatra all’ematologo. Anche a loro grazie. Mi hanno supportato e sopportato, indagato nelle possibili patologie e sostenuto finché non sono venuti a capo della diagnosi e successivamente della cura. Sono tornato a casa finalmente, ma resta il conforto di aver vissuto un’esperienza piena di umanità. Voglio ringraziare il dottor Franco Sopranzi e per il suo tramite tutto il suo reparto. Mi lascio una considerazione finale. Se il Pronto soccorso è un girone infernale, ma al contrario il reparto di Nefrologia è un luogo di accogliente cura vuol dire che si può fare una sanità a misura d’uomo e che i sanitari sono preparati e pronti a fare un’assistenza dal volto umano ed efficacie. Allora è il caso di chiedersi dove sta la vera responsabilità di questo gap. Forse è lì che si deve intervenire».

 

 

Intasato il Pronto soccorso: mancano posti nei reparti (Foto)



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