di Maurizio Verdenelli
Ad Ussita sotto le macerie di casa Gasparri è rimasto (anche) il pesante tavolo di noce dove oltre 90 anni fa ha lavorato il Sostituto Segretario di Stato Vaticano, Eugenio Pacelli, ‘braccio destro’ del padrone di casa, il cardinal Pietro Gasparri, alle ‘sudate’ carte passate alla storia come i Patti Lateranensi. A dieci di distanza mons. Pacelli, Pastor Angelicus, sarebbe salito al Soglio di Pietro come papa Pio XII ed avrebbe regnato fino al 1958.
«Non solo tavolo e poltrone, ma pure in Comune, sotto le rovine del terremoto del 2016 sono finiti documenti importanti di quel periodo cruciale per i rapporti Stato-Chiesa in Italia insieme con il Collare dell’Annunziata e tante altre decorazioni e ricordi legati al mio prozio» racconta Filippo Gasparri, presidente del comitato Studi nel nome del cardinale che firmò con Benito Mussolini, l’11 febbraio 1929, i Patti Lateranensi.
Un anno dopo, Gasparri lasciò la carica a favore di Pacelli…
«Guardi, voglio smentire una voce malevola: a favorire questo passaggio fu proprio il mio prozio che teneva giustamente in grande considerazione il talento del suo collaboratore, tanto da volerlo al suo fianco anche nella sua dilettissima Ussita per le consuete vacanze estive. Prova di questo reciproco feeling? Pacelli definisce ‘mio Maestro’ scrivendo del cardinal Gasparri».
I cui resti ora sono prossimi ad essere trasferiti a Camerino, in Duomo, in attesa che la cappella di famiglia sia ripristinata…
«Speriamo presto prima, poi l’altra ‘cosa’. Purtroppo la gestione del post sisma mi è parsa, data la mole di ordinanze, delibere, e il numero finora di commissari, un pò confusionaria…».
Se fosse stato nominato commissario alla ricostruzione, il cardinal Gasparri?
«Avrebbe saputo come fare. Aveva un bel carattere, in una mezz’oretta avrebbe attribuito gli incarichi operativi e vigilato continuamente. Vuole qualche esempio?»
Certo…
«Conservo lettere dove si danno disposizioni precisissime. Di Ussita aveva fatto una universal chiesa, parrocchie dovunque, immagini sacre negli spazi pubblici e cappelle votive ed un particolar riguardo al cimitero. Che aveva voluto nell’area di un antico castello dei Varano: all’ombra della torre, la cappella di famiglia, ora a terra. Al parroco di Caldara, don Pietro Franconi scrive donando una somma di denaro perchè avesse celebrato messe a suffragio dei defunti. E a conclusione lo raccomanda di pensare alla sua sepoltura, data l’età: per le spese non avrebbe dovuto preoccuparsi. Ci avrebbe pensato, lui il Cardinale. E Francesco Arsini, l’imprenditore edile camerinese incaricato delle opere cimiteriali, si picca alla fine con il cardinale così provvido di indicazioni tecniche: “Eminenza, mi vuole insegnare il mestiere?!’. Il post sisma nel Centritalia avrebbe avuto davvero bisogno di un manager simile…creda a me».
Un Potente innamorato inoltre del suo territorio…vero?
«Eccome! Ussita, reso comune nel 1913, svincolato da Visso e dall’Umbria, era il suo ‘nido’. Aveva contribuito in modo determinante alla nascita edilizia del paese: comune, il restauro della principale chiesa (alla Pieve) a cura dell’architetto romano Aristide Leonori, e sopratutto acquedotto e centrale idroelettrica si devono a lui. Ussita era sempre nel suo pensiero. Vuol sapere cosa disse Gasparri a Mussolini che al termine della cerimonia ufficiale dei Patti Lateranensi, gli aveva chiesto cosa avesse potuto fare per lui…?»
Di questo finora non si è mai saputo nulla…
«Nella nostra famiglia, sì! Glielo rivelo: ‘Se posso esprimere un desiderio è che Ussita rimanga sempre comune autonomo’. L’uomo allora più potente d’Italia, glielo garantì. Praticamente si deve proprio a lui, Gasparri e a suo cugino, il senatore Cesare Silj (madre del cardinale era Giovanna Silj) che Ussita sia stata eretta a comune: il primo consiglio comunale si tenne comunque dopo la guerra, nel 1920, con Giuseppe Montebovi sindaco. E fu sempre sempre grazie a loro, i due potentissimi cugini su due versanti ma coincidenti per familiarità, che Castelsantangelo è diventata marchigiana da umbra qual era: una sua frazione aveva dato i natali a Claudia Reguardati, contessa di Norcia, madre di San Benedetto e Santa Scolastica».
I Gasparri si sono sentiti sempre marchigiani?
«Sempre! Le rivelo un altro… segreto. Il nonno del cardinale, Bartolomeo, era di chiari sentimenti napoleonici: un liberaloide, un secessionista da Visso. Una battaglia che la famiglia e la popolazione avrebbero vinto. Vuol sapere come gli ussitani del tempo chiamavano il potente Segretario di Stato vaticano che d’estate incontravano per strada o in campagna (casa Gasparri viene fatta costruire dal mio prozio nel 1880)?»
Come?
«Don Pietro! Altro che Sua Eminenza Reverendissima… Don Pietro e basta! E lui sorrideva, felice: guai a chiamarlo in modo differente»
E’ ancora fortemente presente il ricordo del cardinale nella famiglia Gasparri?
«Lui era il fratello di mio nonno Bartolomeo, ultimogenito di Bernardino. E noi viviamo nelle aziende agricole di famiglia a Sacrofano, nell’agro romano. Una terra vessata dalla malaria endemica, sparita solo grazie al Ddt delle truppe americane (ed ora al bando), punto di riferimento della transumanza dei pastori e degli allevatori ussitani: dei Gasparri, dei Rosi, dei Silj (a Nepi). Una fatica immensa quella dei nostri avi, che è rimasta nell’estrema difficoltà in cui si muove l’economia agricola come il caso dei pastori sardi sta in questi giorni a dimostrare. E vorrei ricordare un’eccellenza che sta per scomparire: la pecora sopravissana, dalla carne e dalla lana insuperabile. Questa è stata la vera ricchezza, insieme alla volontà e allo spirito indomito, della gente della mia terra che hanno dato alla Storia d’Italia un protagonista come Pietro Gasparri. Una fama che i “Patti lateranensi” rischiano di oscurare paradossalmente un po’…».
Scusi, cosa vuol dire?
«Voglio dire che il mio avo resta alla Storia per essere il pater del Diritto Canonico, promulgato nel 1917. Sono passati oltre cento anni. L’Università di Macerata (il rettore Adornato e il prof. Rivetti) e il Comune (sindaco allora l’ing. Marco Rinaldi, figlio dell’indimenticabile on. Nicola, altra grande ‘anima loci’) aveva pensato ad un importante convegno due anni fa: sotto le macerie è finito anche quel bellissimo progetto. Ma non ci arrendiamo: siamo ussitani».
Probabile
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A quando il recupero di tutti quei cimeli e una mostra?
Un altro cardinale, Pietro Palazzini (originario di Piobbico), è (fu) tra quelli che mettono in dubbio la versione del naturale avvicendamento tra il vecchio Gasparri e l’ “allievo” Pacelli. Pio XI nelle lettere del 7 febbraio 1930 a Gasparri e a Pacelli scrive al primo ricordandogli la sua accettazione della nomina a presidente della commissione per preparare la codificazione canonica orientale e le dimissioni conseguenti “non vedendo” (Gasparri) “la possibilità di tenere contemporaneamente i due uffici” e parlando senza nominarlo, alludendo a Pacelli, di “un successore ch’ella già tanto bene e favorevolmente conosce e che non abbiamo bisogno di presentarle; e scrive al secondo nominandolo segretario di stato di “dovere accondiscendere, non senza grave pena, alle istanze del signor Cardinale” (Gasparri) “perché accettassimo le sue dimissioni”. Di certo Gasparri continuerà ad esercitare una sua influenza su Pacelli, basti pensare ai rapporti con la Germania e Hitler, in merito ai quali egli si fece portatore di un neutralismo (siamo nel giugno del ’33 , l’hitlerismo si è già svelato nelle idee e nella prassi, Edith Stein ha inviato da un paio di mesi al papa la sua lettera-appello accorata e sincera, quasi da novella Caterina da Siena, affinché la chiesa rompa il suo silenzio…) coerente con le politiche concordatarie e un approccio non interventista. Di Gasparri si ricorda poco in effetti il suo contributo nella questione delle ordinazioni anglicane, la sua visione giuridica teorica e pratica impressa al lavoro sul codice di diritto canonico, la tendenza ad adottare il metodo della riorganizzazione sistematica e in qualche modo codicistica anche agli ambiti della liturgia, della teologia ecc. (vedi il suo Catechismo).