di Filippo Davoli
Devo dirla tutta? A me quelli che protestano sempre sono andati sui nervi. Non è possibile non gradire mai niente, non apprezzare mai niente, aver sempre da ridire. È un atteggiamento che ottiene l’effetto contrario: ed è identico – anche se di segno contrario – a quello di chi approva sempre tutto.
So già che mi attirerò un bello strale di insulti: perché il mondo, maledettamente, si è diviso in due. Se ti piace la mela significa che detesti la pera, se poi un giorno apprezzi la pera hai tradito la fiducia della mela. E se a me, invece, può appetire un giorno la mela e un giorno la pera? E poi ci sono momenti e momenti: ad esempio, un giorno uno sta imbarazzato d’intestino e subisce, per così dire, un “blocco delle azioni”… la pera, in questi casi, è efficacissima. Così come la mela nei casi opposti. Vorrei insomma conservare la bella libertà di essere me stesso, anche quando debordo dai cliché (e questo avviene quasi sempre).
Tutta ‘sta solfa introduttiva serviva a manifestare il mio gradimento per le iniziative natalizie messe in campo dall’amministrazione di Macerata: mi piace l’albero, per una volta mi piacciono pure le luminarie (che gli anni scorsi sembravano di supporto a qualche accompagno funebre), mi piace la pista di pattinaggio sul ghiaccio (che già avevo apprezzato gli scorsi anni nella bella piazza di Fermo), mi piace anche l’idea della ruota panoramica (ma non in piazza Mazzini: nel punto più alto, i passeggeri potrebbero scorgere tutt’al più il mio cane che gli abbaia dal mio balcone). E se poi è notte, con la nuova illuminazione, soltanto una macchia di ombre più o meno indistinte fino alla sommità luminosa della Torre. Troppo poco.
Però la città festaiola a me piace. Sarà che sono rimasto bambino, o che la solitudine che ogni Natale mi apparecchia da quando non ci sono più i miei, con tutti i fastidi più o meno grandi degli scampanellìi, dei babbi natali (di una noia mortale, più che natale), dei regali dovuti (ci vorrebbero i soldi, per fare i regali che vorrei; e dunque tocca ripiegare su qualche inutilissima cazzatella che baratterei volentieri per una pizza in compagnia di un caro amico: ma a Natale ognuno con i suoi, e dunque i tempi per una pizza in tranquillità con un buon amico, paradossalmente, non ci sono).
Sta di fatto, come dicevo, che il rumore della gente che visita le casette di legno in piazza Libertà per qualche acquistino recondito (a proposito: saranno mica quelle di Visso e Camerino, eh?); lo sfrigolio dei pattini sul ghiaccio artificiale in mezzo alle grida dei bambini o ai tonfi dei sederoni che planano sul bagnato (perché, come dice il proverbio, “piove sempre sul bagnato”…) sono piccole allegre diversioni che fanno bene. A me, perlomeno, fanno bene. Oltretutto, sono sempre stato convinto che l’idea di Macerata metropolitana sia un equivoco: siamo un paese allargato, con una mentalità felicemente paesana. Oserei dire contadina, che è un privilegio aggiunto: perché significa salvaguardia di tradizioni importanti, dal dialetto all’alimentazione, fino all’indole tipica di una popolazione semplice e tenace, riservata ma anche tagliente – quando serve.
Il nostro non è mai stato un popolo bracciantile, con quello che il prestare lavoro a giornata comporta. Bensì veniamo da una civiltà mezzadra, radicata, se possibile anche troppo. Ma la nostra è anche una fissità percorsa dal bel moto ondoso delle nostre colline, che ha alimentato la nostra creatività, la nostra bonomia smussata come il riversarsi dei colli nel mare; arroccati sul pennone del nostro borgo abbiamo imparato con Leopardi a scrutare l’infinito, a sognare in grande. E siamo cresciuti, senza tuttavia essere gente di mare. Rimanendo cioè sempre noi stessi. E questo siamo ancora. Ci piaccia o no.
Per onorare il mio dicembre 2018, ho cominciato la maratona dei cappelletti in brodo: quel bel brodo con gli occhioni (come diceva mio padre, riferendosi al grasso che mamma faceva colare in un panno asciutto – migliore di qualsiasi colino) che vado cercando nei circa cinquanta ristorantini sparsi per il centro. Passo – con infinita malinconia – di fronte alla serranda chiusa per sempre della Trattoria “Da Ezio”, e il pensiero mi corre a Mirella, alla sua verve insostituibile: mi sa che uno di questi giorni la precetto e i cappelletti in brodo vado a mangiarli a casa sua! “Nì”, “Cocco”, erano i suoi appellativi per i clienti. Io li uso per i nipoti, ma – insieme a quel brodo ricordo dell’infanzia e ai cappelletti fatti a mano – un “Nì” di Mirella me lo andrei a prendere volentieri. E penso proprio che lo farò.
Quanto al resto, con sorpresa generale la riapertura del centro durante il mese di novembre non ha prodotto nessun risultato degno di nota, tranne il disagio per noi residenti, con sempre meno posti a disposizione. C’è però da dire che la città è così bella, da vivere a piedi, che una volta trovato un posto il desiderio è non avere più bisogno della macchina per almeno dieci giorni. Certo, se finalmente si dedicassero a politiche a favore di una nuova residenzialità stabile, ripartirebbe tutto: i commercianti sbagliano, a pensare che il problema siano le macchine che non salgono in piazza. La verità è che mancano i residenti: togli gli studenti e siamo ridotti al lastrico. Se invece si invertisse questa tendenza penosa, ripartirebbe con agevole sicurezza anche il piccolo commercio. E anche la microcriminalità troverebbe una sponda dura da combattere.
Avremmo sicuramente un rilancio di tutto il commercio, non solamente di quello alimentare e gastronomico, che ha trasformato Macerata in Mangerata.
Credo di averne contati almeno cinquanta (ma sono sicuro che sono di più) dentro le Mura. Città all’ingrasso. Con grandi attenzioni al glutine, per favorire i celiaci. Ma manca quasi invariabilmente l’utilizzo di fruttosio o stevia per agevolare la consumazione dei dolci da parte dei diabetici. Uff… La passeggiata quotidiana volge al termine. Giusto il tempo di passare in libreria, dove scorgo – tra i libri della poesia – un volumino piccino picciò che è di una bellezza commovente: l’ha firmato Michele Bordoni, un giovane poeta di Montegranaro. È la sua opera prima, ma di una maturità impressionante: si intitola Gymnopedie ed è uscito per i tipi di “Italic”, con prefazione di Emanuele Franceschetti e postfazione di Massimo Morasso. Ecco un buon regalo da fare: metto subito i soldi da parte.
Un cielo di stelle sulle pattinatrici Macerata accende il Natale (FOTO)
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Filippo, come sempre, sono d’accordo con quello che scrivi, al 100%.
Secondo me, alla nostra città, manca soltanto una bella e grande discoteca per i giovani anche se alla luce dei fatti di Corinaldo, forse meglio così!
Per il resto di iniziative ce ne sono in tutto l’anno e per diversi gusti.
Ma chi è abituato a lamentarsi dal caffè del mattino, troppo caldo e troppo freddo, si lamenta di ogni cosa fino a notte fonda, perdendo tutto il gusto di assaporare lentamente tutto quello che invece c’è!
Bell’articolo, complimenti e buon Natale a Filippo Davoli
Bell’articolo. Anche se le lamentele si sono rifatte il trucco. Macerata invece dovrebbe toglierselo. Troppo rimmel, troppo rossetto che sul volto di una bella donna non coprono, anzi appesantiscono rughe e occhiaie che seppur ben celate si fanno intuire sotto quella patina di cere. Si sentono ancora le scie di buon profumi, di quelli inebrianti che fanno girare la testa e scatenare la fantasia ma ti guardi attorno e nessuna di quelle che vedi ha quell’eleganza che ben si sposa a qualche goccia di Chanel. Ora solo profumi dozzinali come dozzinali sono le vetrine che vedi. Ecco, dovrebbe trasformarsi veramente in città metropolitana perché così ridotta meno la si vede e più ci guadagna, lasciando solo una grande immensa ruota panoramica dove dal punto più in alto puoi vedere tutte quelle persone che alla cinque di sera passeggiavano fresche e maliziose tra la Piazza e il Duomo.