di Fabrizio Cambriani
C’è qualcosa di profondamente malato nel Partito Democratico. Una perversione diabolica che ha aggredito e minato incurabilmente, fino alla radice, il suo Dna. Una maniacale attitudine, ossessiva e compulsiva, al più feroce autolesionismo. Una specie di verme solitario che lo consuma dal di dentro e invia le sue larve al sistema nervoso centrale provocando sonnolenza e amnesia. Un viaggio lungo su di un piano inclinato di cui non si vede mai la fine. A causa di una classe dirigente incapace persino di percepire le più elementari ragioni di quello che è stato un tracollo epocale. Eppure, non si è trattato di un deragliamento improvviso, ma di un derapaggio lento: lungo e inesorabile. Benché prevedibile anche al più sprovveduto dei neofiti della politica.
Le oramai poche feste dell’Unità vanno quasi tutte deserte. Nei social network, i leader locali parlano solo tra di loro, nella pressoché totale indifferenza dei più. I rari e timidi segnali di autocritica provengono dagli stessi artefici della Caporetto elettorale che vaticinano ricette per improbabili rilanci. Prenotando, beninteso, un posto in prima fila per la prossima candidatura utile. Con queste premesse sta già andando in onda lo psicodramma dei congressi. Soprattutto di quelli regionali. E già sotto il sole di agosto è cominciata la corsa, senza esclusione di colpi bassi, per accaparrarsi la guida di quel che resta del partito: un simulacro sbiadito e stantio. Realisticamente, bene che vada, si tratterà di un incarico da curatore fallimentare. Nel peggiore dei casi, addirittura di becchino che seppellisce per sempre il feretro del caro estinto.
Lo spettacolo che stanno dando le Marche è tra i peggiori. Perché coinvolge in prima persona l’istituzione Regione con il suo presidente in prima fila. Malgrado le tante emergenze che premono, prima tra tutte quella della ricostruzione post terremoto che ancora è lontana dal vedere la luce. Succede che, all’indomani della sconfitta del 4 marzo, il segretario regionale Francesco Comi metta a disposizione il suo mandato. Benché il suo incarico venga congelato da Roma, Comi di fatto si ritira sul serio – e di questo bisogna dargliene onestamente atto – lasciando pieni poteri al coordinatore della segreteria regionale, l’ex parlamentare pesarese Marco Marchetti. Il quale potrebbe naturalmente diventare candidato unitario di tutto il partito per la segreteria regionale senza strappi, né forzature. Sarebbe il traghettatore ideale, con accanto una squadra di laboriosi sherpa, in un mare particolarmente tempestoso. Invece, stando a fonti interne ben attendibili, l’ostacolo a Marchetti proviene proprio dal suo territorio, cioè dal sindaco pesarese Matteo Ricci, a lui sempre inviso, che non lo gradirebbe. A questo punto, per forzare il blocco, tre segretari di federazione provinciale (Macerata, Fermo e Ascoli), attraverso una nota congiunta, si dicono disponibili a ricercare una candidatura unitaria proveniente dai loro luoghi indicando come priorità, quella appunto della ricostruzione. La medesima priorità che il segretario provinciale di Pesaro, Giovanni Gostoli, aveva segnalato attraverso una riflessione, affidata al sito web di Democratica, sul rilancio del partito. «Un terzo dei comuni marchigiani coinvolti, 87 comuni nel cratere, 30mila persone sfollate, oltre mille chiese danneggiate – scriveva Gostoli il 13 aprile scorso, aggiungendo che – il terremoto ha trasformato radicalmente la natura e le priorità della legislatura del governo regionale, cambiando di fatto anche il futuro delle Marche». Invece, colpo di scena, l’eventualità prospettata dalle tre federazioni di Marche sud nel mettere a disposizione una loro candidatura, viene ritenuta quasi offensiva e sicuramente divisiva dallo stesso Gostoli il quale, il 19 agosto scorso, attraverso una lettera a un quotidiano locale, la bolla perfino come ostile. Quella che solo in aprile era una luminosissima stella polare, diventa per Gostoli nella calura di agosto, motivo di grave pregiudiziale territoriale.
La risposta è la contrapposizione del nord contro il sud delle Marche. Tant’è vero che, per la segreteria riprende quota il nome dell’ex parlamentare anconetano Lodolini che sembra non aver avuto il successo sperato nella sua breve carriera di scrittore di Lonely Planet “de noantri”. Ma in assenza del segretario Comi e del reggente Marchetti, ormai bruciato, la patata bollente passa direttamente a Luca Ceriscioli. Più defilata, ma ben coinvolta nella partita, anche la sindaca di Ancona, Valeria Mancinelli. Improvvisamente palazzo Raffaello diventa meta di pellegrinaggi e incontri esclusivi di partito, finalizzati alla ricerca di una candidatura unitaria. Oppure di un’ennesima, dolorosa conta. La prima mossa di Ceriscioli, al rientro dalla ferie, è stata quella di nominare nel suo staff come sua consulente per le attività produttive, l’ex senatrice Camilla Fabbri. Pesarese, classe 1969, la ragioniera Fabbri (e niente… pare ormai assodato che trovare un laureato tra i propri collaboratori – anche fosse in un corso triennale – sia per il povero Ceriscioli, impresa improba) è stata segretaria provinciale della Cna di Pesaro. Ed essendo stata membro del cda della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro – quindi, si presume pratica di istituti di credito – il 23 novembre 2015, all’indomani del provvedimento di risoluzione per Banca Marche, vergò un comunicato trionfalistico definendolo «estremamente positivo», in quanto si trattava «di un decreto perfettamente in linea con quanto avevamo auspicato sin dall’inizio». Trascurando, tuttavia il piccolo particolare che il provvedimento riduceva in carta straccia milioni di euro di azioni e obbligazioni anche di piccoli investitori. Ma evidentemente, per gli esperti in materia del Pd, era cosa buona e giusta che “sin dall’inizio” si optasse per la risoluzione con tutte le sue terribili conseguenze. Stando alle cronache, parrebbe che il compenso che i contribuenti marchigiani destinino agli inestimabili servigi dell’ex parlamentare pesarese, ammonti a 39mila euro annui.
Luca Ceriscioli, presidente della Regione Marche
I prossimi importanti appuntamenti elettorali interni sono le comunali di Pesaro nel 2019 e le regionali del 2020. Con la lotta nord contro sud probabilmente Ricci sarà riconfermato sindaco di Pesaro, sia pure con qualche difficoltà. Potrebbe verosimilmente accadere che alle regionali il centrosinistra invece si schianterà e dovrà lasciare libere le stanze di palazzo Raffaello al centrodestra, guidato quasi di sicuro dall’attuale sindaco di Ascoli, Guido Castelli. A oggi la situazione è così cristallizzata: in questa girandola di nomi, dove la costante sono i numerosi ex da ricollocare o già collocati, il mazzo di carte in mano ce l’ha Ceriscioli che – politicamente parlando – già di suo non è un’aquila. Il governatore sarà artefice del suo destino, ma anche di quello dell’intero centrosinistra. Che potrebbe, per la prima volta nella sua storia, trovarsi fuori dal governo della regione Marche. Matteo Ricci, invece, comunque vada lo scontro, si è messo già al sicuro. A noi pochi reduci, appassionati ancora di politica, non resta che comprare dei croccanti popcorn e goderci, da vicino, le evoluzioni di questo straordinario spettacolo.
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Il dirigente di un partito è l’espressione di una determinata linea politica.Il problema attuale del PD,e con esso di tutta la sinistra,dal quale dipende ogni forma di rappresentatività politica di qualche riluievo,è,appunto,la linea politica.E’ da superficiali nascondersi l’assoluta complessità di tale problema,specialmente per chi intende operare con alto senso della giustizia sociale,ed in questa drammatica ricerca riverserei ogni energia,altrochè nella configurazione di una dirigenza,che rischia ddi montare la guardia al Monumento del Milite Ignoto.
La gestione della sanità (di fatto indirizzata dalla Regione a guida Ceriscioli verso i gruppi privati, che fanno matti soldi lucrando sui voluti disservizi della sanità pubblica), la gestione fallimentare del post-terremoto (ove, peraltro, a proposito delle sempre più evidente infiltrazioni mafiose, vale il gioco delle tre scimmiette: io non vedo, io non parlo, io non sento), il clientelismo spinto ai massimi livelli dell’arroganza, nonchè la sciocca autoreferenzialità di certi personaggi che ricoprono malamente importanti ruoli istituzionali: sono tutti macigni, che stanno letteralmente schiantando quel poco che resta del PD marchigiano.
E, come si dice nell’articolo, non si coglie alcun segnale di una reale volontà di (totale) cambiamento.
Quoto totalmente l’intervento dell’Avv. Bommarito
Camilla Fabbri e Sara Giannini. Bisogna dare atto a Cerescioli di aver dato vita ad un Think Tank con i controfiocchi (stessi al bar userei un altro termine). Mi permetto di dare un suggerimento al Governatore ridens: questo serbatoio di idee lo svuoti ogni tanto perché altrimenti potrebbe tracimare…
Tranquilli, c’è l’On Morgoni che miete successi con migliaia letture dei suoi interventi su queste pagine.
Dovete aver fede è giunta l’ora della riscossa.
Non svegliate il simpatico cagnone anche se dubito che dorme. Deve ancora finire di contare i successi ottenuti. Più di diecimila solo nell’articolo della Peppina. Con questi risultati potrbbe diventare anche segretario del partito così dopo tanta tristezza, prima propinataci “dall’insulto fiorentino”, ora dal ” barbuto autoreggente” al cui confronto un becchino di quelli tosti, con civetta in spalla e rigorosamente sotto una luna spettrale farebbe meno impressione, con lui alla guida sai che allegre tamponate. Non vorrei che il paragone al cagnaccione venisse preso come un insulto, sennò se riconta meglio tutti i successi ottenuti aggiungendo anche quelli avuti insultando la lega in un articolo di poco precedente ( articolo in cui difendeva il presidente del suo movimento, movimento nel vero senso della parola dato che si chiama ” xxxxx in cammino “), di villanie ne trova a bizzeffe. Comunque ritornando all’amabile animale, in un suo commento, accusato di essere un cane feroce, adirato perché qualcuno gli rubava l’osso, lui accettava di buon grado l’epiteto ricambiando con un poco cortese improperio: vermiciattolo. Da tempo immemore, mi capita di dire la mia su questi congressi locali del Pd, dove ho già detto tutto e di più. Però se prima li trovavo incomprensibili, chiaramente adesso, oltre che inutili, non saprei proprio come definirli.
purtroppo temo che il PD si stia letteralmente spegnendo, non credo ahimè abbia un futuro politico. Qualcuno parla di suicidio, qualcuno di eutanasia, in realtà è un vero e proprio omicidio seppure colposo. Renzi nel giro di tre mesi ha subito due pesanti sconfitte e nonostante ciò il partito è rimasto saldamente in mano ai renziani che hanno fato terra bruciata di chi la pensava diversamente come sugli accordi con Fico. I bocciati dall’elettorato, protagonisti della sconfitta pretendono di rilanciare il partito. oggi più che mai c’è bisogno di una formazione politica di sinistra che abbia come unico interesse i cittadini, può essere anche il PD ma senza Renzi
TEMO, Brambatti? Ma è ‘na forturna, se il PD com’era si schianta contro se stesso!
Le recenti elezioni dovrebbero avere insegnato a tutti i partiti che cosa vuole la gente (più precisamente la maggioranza della gente). Tutti i partiti, in particolare il PD, dovrebbe farne tesoro e avanzare proposte conseguenti.
Prima convocano una “grande manifestazione” contro il razzismo per il 29 settembre. Poi, sparita dalle cronache l’emergenza razzismo, la manifestazione diventa contro il governo. Poi scoprono che c’era il derby Roma-Lazio e cambiano data.
Il PD ha molti e gravi problemi e deve affrontarli con serietà , coraggio e capacità di innovazione e il Congresso Regionale dirà se saremo all’ altezza di questa sfida. Ad onor del vero bisogna però dire che il paese sta peggio del PD dopo che la maggioranza degli elettori ha affidato incautamente il governo nazionale ad una classe dirigente che in realtà sembra piuttosto un’ armata brancaleone popolata da tanti ciarlatani e sbruffoni senza alcuna competenza ed esperienza che si cimentano quotidianamente in un perdicoloso e provocatorio gioco d’ azzardo sulla pelle dei cittadini.
Onorevole, il partito è il capo, ma l’elettorato è il collo che lo fa girare. Quindi se il collo si torce verso destra il capo non può rimanere a sinistra. Il collo non sbaglia mai. Il partito dunque dovrebbe essere abbastanza saggio e piegarsi per non spezzarsi.
Ma chi se ne frega dei problemi del Pd. Quando governavate ci preoccupavamo per noi non certo di Renzi, Franceschini , Morgoni ecc. Adesso che non contate più niente potete innovarvi, chiudere bottega, andare al polo nord a giocare a palle di neve con gli orsi bianchi. Se adesso ci sono nuovi ciarlatani è perché non se ne poteva più di quelli del Pd. Ma basta!! L’unico che può salvare quel che rimane del Pd, anche se probabilisticamente oramai impossibile è Zingarelli che sai dove ve sgrizza a tutti quanti. Sete proprio de coccia. Ma come vi permettete di giudicare chi vi ha scalzato in maniera che non lascia dubbi sui sentimenti che gli italiani provano per voi. Ma andate a lavorare!!
Mi aggancio al commento di Micucci per chiedere quali sarebbero i problemi del Pd, se non il fatto che i dirigenti non intendono minimamente seguire le indicazioni degli iscritti al partito – ad esempio in tema di gestione dell’immigrazione – tanto da costringerli a spostarsi a destra.