Caporalato e nuovi schiavi,
le Marche come il terzo mondo

E come non bastasse nei centri terremotati mancano strutture socio sanitarie e case di riposo mentre le risorse sono diminuite del 30%. Il pessimismo pervade la gente che comincia a dire: «La montagna è finita, andiamo via, non c’è più nulla da fare». E la società civile non ha nulla da dire?

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di Ugo Bellesi

Non molte settimane fa avevamo messo in evidenza, cifre alla mano, che in base alla situazione economica, al reddito, al numero di occupati e alla qualità della vita, le Marche, come le altre regioni centrali, potevano essere considerate allo stesso livello delle regioni del sud. Senza che ce ne fossimo accorti la crisi economica, generatasi nel 2008 (ma noi stavamo in crisi fin da prima), ha provocato una meridionalizzazione inarrestabile.
Ma forse questa è stata una considerazione piuttosto ottimistica. Le situazioni denunciate nei giorni scorsi da alcuni enti e soggetti autorevoli e quindi degni di fede ci dicono che è assai più probabile che ci stiamo sempre più avvicinando al terzo mondo.

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Il campo base di Arcale a Pieve Torina

I risultati del rapporto fatto dalla Cgil sulle condizioni di lavoro nell’area delle “casette” parlano chiaro. «Alcuni degli operai impiegati nelle Sae – è stato sottolineato – sono stati reclutati al bar, altri con il passaparola». E questo già lascia pensare che c’è il caporalato. Ma il sindacato ha segnalato anche il caso di un’azienda «che si è aggiudicata un appalto pubblico di oltre 200.000 euro per un intervento di riparazione e miglioramento sismico. Ma l’azienda non è iscritta all’analisi antimafia». E’ facile allora battere la concorrenza nelle gare di appalto ed escludere le imprese locali. Quattro italiani ingaggiati dalla ditta Gesti One si sono rivolti al sindacato spiegando così la loro situazione: «Stavamo letteralmente in mezzo al fango, spesso al gelo e senz’acqua. Eravamo alloggiati al campo base di Pieve Torina. Molte volte era impossibile andare in mensa: la fila poteva durare anche due ore. Non abbiamo mai visto un contratto né una busta paga e dobbiamo prendere ancora due mesi di stipendio, dopo aver lavorato per sette giorni a settimana».

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Da sinistra Massimo De Luca e Daniel Taddei in sopralluogo nei cantieri

Daniel Taddei, segretario provinciale della Cgil, spiega ancora meglio cosa sta accadendo per la ricostruzione: «Abbiamo rilevato e certificato gravi irregolarità non solo nelle Sae ma anche in un appalto della ricostruzione. Quello al campus universitario donato dalla Provincia di Trento. Abbiamo individuato lavoratori in distacco da altre ditte, visite mediche non effettuate, stipendi non pagati, turni di lavoro di 9 ore. I lavoratori venivano spostati e ospitati in casali abbandonati e privi di qualsiasi agibilità verso la costa». Ci vuol molto a capire che questo è il trattamento che al tempo della schiavitù i bianchi d’America riservavano ai negri deportati dall’Africa per raccogliere cotone? Chi non ricorda “Via col vento”? Quanti anni sono passati? Pensavamo che quell’epoca fosse finita. E invece no! Tutto ci ricade addosso. La schiavitù è ritornata. E infatti una indagine fatta dalla Walk Free Foundation nel 2016 inserisce l’Italia al 3° posto nella classifica europea per numero assoluto di schiavi. Quello che hanno subito gli operai impegnati nella costruzione delle Sae è lo stesso che i proprietari terrieri del sud, con i loro “caporali”, riservano agli immigrati che sbarcano con i gommoni in Italia pagandoli appena 5 euro per una giornata di lavoro passata a raccogliere pomodori, o arance, o patate a seconda della stagione.

visso-sismaIl caporalato e la schiavitù sono arrivati anche nella civile Italia centrale, nelle religiose Marche, persino nelle terre predilette da S.Francesco. Chi l’avrebbe mai immaginato? Eppure questa è la cruda realtà. Come è cruda realtà quella che stanno subendo gran parte delle popolazioni terremotate. Prima lo choc per il sisma, poi la deportazione lungo la costa e quindi il trasferimento da una località all’altra, la lontananza dai luoghi d’origine che si protrae per anni, la perdita dei punti di riferimento familiari e sociali, il perdurare della precarietà abitativa, centri storici ancora “zona rossa”, macerie che impediscono di raggiungere la vecchia abitazione, tempi lunghi per avere le Sae, tempi incalcolabili per la ricostruzione hanno distrutto la forza di volontà e spesso anche l’intelletto di tanta gente, specie degli anziani. Si calcola ci siano stati dieci suicidi per il sisma. Inoltre abbiamo avuto il 53% in più di morti rispetto al 2016. La depressione generalizzata ha portato all’aumento del consumo di ansiolitici del 72%. Tutto questo si aggiunge ad un picco di demenza degli over 65.

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Manuela Berardinelli

Quali misure sono state prese per superare questo dramma umano? Per quanto se ne sa nel distretto di Camerino il servizio dei consulti familiari è rimasto scoperto. Nella stessa area c’è una sola psicologa. Delle 29 strutture sociosanitarie esistenti prima del terremoto ben 15 sono inagibili. «Le badanti – ha spiegato Manuela Berardinelli, presidente di Alzheimer Uniti per l’Italia, in un recente convegno da lei organizzato a Visso – non riescono neppure ad entrare nelle soluzioni abitative d’emergenza di appena 40 metri quadrati. Senza capire il fabbisogno della gente facciamo dei loculi non delle casette… Coloro che hanno una posizione di responsabilità devono avere il coraggio di fare delle scelte, dare delle risposte a partire dai fabbisogni». Ma non è finita qui: «Stiamo fronteggiando questa fase – ha detto Valerio Valeriani, coordinatore degli ambiti territoriali sociali di Camerino, San Ginesio e San Severino – con il 30% in meno delle risorse rispetto al passato. Vanno attivati anche nelle scuole interventi per l’elaborazione del trauma…Nel centro diurno per l’Alzheimer di Camerino abbiamo 25 richieste, ma possiamo accogliere solo dieci utenti. Servirebbe una residenza protetta con posti letto per l’Alzheimer, e vanno ricostruite le strutture sociosanitarie e le case di riposo».

In pratica da chi doveva intervenire è stato sottovalutato il “terremoto sociale” provocato soprattutto dall’”Assenza di speranza”. In pratica per la gente è come se il tempo si fosse fermato provocando un blocco evolutivo nella vita delle persone. «La mancanza di una prospettiva esistenziale – è stato detto – è il killer da combattere per evitare le morti silenziose. Qui bisogna costruire un futuro sostenibile e reale, che passa attraverso scelte concrete». C’è un tarlo micidiale che rode la mente della gente che, presa dal pessimismo, finisce per dire “La montagna è finita, andiamo via, non c’è più nulla da fare”. Ma questa frase la sentiamo dire anche dagli immigrati che dai gommoni o dalle motovedette sbarcano nei porti della Sicilia. Se i sentimenti sono gli stessi, se come nei paesi più sfortunati del nostro il lavoro si trova grazie al caporalato e per chi lavora non c’è contratto ma solo la schiavitù, come appunto avviene nelle Marche, allora vuol dire che non solo ci stiamo avvicinando al terzo mondo ma che noi già viviamo nel terzo mondo.

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Valerio Valeriani

Ma quello che meraviglia, sorprende e quindi in fondo turba è il fatto che queste cose che abbiamo riassunto fin qui, già ampiamente rivelate dalla stampa, non abbiano provocato nessuna reazione, nessuno stimolo a migliorare le cose, nessuna presa di posizione contro una situazione insostenibile, nessun allarme, nessun appello.
Non c’è più una società civile che sappia allertare le istituzioni, che si faccia promotrice di iniziative, che faccia arrivare in Parlamento un appello perché la situazione non diventi irreversibile? Oppure quella società civile si è già arresa, ha capito da tempo che non c’è niente da fare, e che dobbiamo tenerci il caporalato, gli operai/schiavi che lavorano alla ricostruzione, le imprese che vincono gli appalti senza la certificazione antimafia, le persone terremotate che si sentono abbandonate a se stesse, la ricostruzione che appare sempre più lontana.
Eppure, come dice Valerio Valeriani, «Vie percorribili ci sarebbero, ma è come parlare al vento. Continuiamo da due anni a fare proposte, ma nessuno ci ascolta. E così consegniamo il futuro di queste terre all’oblio». O alla mafia, aggiungiamo noi!



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