di Federica Serfilippi
«Spero non sia mia figlia. Prego Allah che non sia lei». Fatema Begum, la mamma di Cameyi Mosammet, è una maschera di disperazione e dolore. Nonostante gli anni passati ad Ancona, parla ancora poco la lingua italiana. Ma le sue uniche parole fanno riferimento alla possibile corrispondenza tra le ossa trovate ieri mattina a Porto Recanati e sua figlia scomparsa da ormai otto anni. Quando il pensiero va alla presunta morte della 15enne allontanasi da casa il 29 maggio 2010, scoppia in un pianto inconsolabile. «È Cameyi? È morta?» chiede continuamente alle persone che in tutti questi anni non l’hanno mai abbandonata e che da ieri, come in un pellegrinaggio, arrivano a casa sua, in via Petrarca, per starle vicino in un momento così delicato. Tra queste, c’è Silvia Mainardi, la docente delle scuole Marconi, frequentate all’epoca da Cameyi.
È stata lei, assieme alla preside Elisabetta Micciarelli, ad avvisarla ieri sera del possibile ritrovamento della 15enne. Quando lo ha saputo, le lacrime le hanno solcato il volto. Fatema, origini bengalesi, non ha mai perso la speranza di trovare sua figlia viva. Ancora, tiene le sue cose: i libri, i vestiti, i ricordi di scuola. Sono tutti contenuti in degli scatoloni relegati nella cantina dell’appartamento dove la donna vive con i suoi tre figli maschi. Il maggiore, Asik, 28 anni, lavora al cantiere navale ed ha preso lui in mano la situazione familiare dopo la morte del padre, avvenuta qualche mese dopo la scomparsa di Cameyi. Gli altri due figli, 17 e 21 anni, studiano. «Temiamo sia lei» taglia corto al telefono Asik. Ma la conferma che quelle ossa appartengano alla minore la darà solamente l’esame del dna, già prelevato ai familiari di Cameyi nel 2009. Per la comparazione, dunque, sarebbe tutto pronto. «Fuori da Ancona, mia figlia non conosceva nessuno» fa capire Fatema. «Impossibile sia tornata in Bangladesh, il passaporto ce l’ha la polizia». E allora, dopo essersi allontanata dal capoluogo dorico, che fine ha fatto Cameyi? Subito dopo la sua scomparsa, la procura dorica aveva aperto un fascicolo di indagine. In un primo momento, contro ignoti e senza ipotesi di reato. Poi, era stato iscritto il nome di Monir Kazi, il 19enne connazionale che era stato visto con lei in prossimità dell’Hotel House. Il ragazzo, che ora risulterebbe essere fuori dall’Italia, era stato indagato per sottrazione di minore. Il caso è poi finito nel dimenticatoio: archiviato.
Potrebbe essere riaperto a breve, se gli accertamenti diranno che le ossa appartengano alla 15enne bengalese. In questi anni di ricerche e speranza, a supportare la famiglia Mosammet è stata l’associazione Penelope. «Attendiamo gli esiti del dna – afferma la presidente Giorgia Isidori – e se gli accertamenti fossero negativi, continueremo ad andare avanti come abbiamo fatto in questi otto anni. Se, invece, le risultanze fossero positive, allora andremo a studiare cosa è stato fatto e cosa non è stato fatto in questo arco di tempo. E quindi, verificheremo se quella zona dove sono state trovate le ossa era già stata battuta e se tutta l’area era stata scandagliata a dovere».
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