Industria metalmeccanica,
3° trimestre in calo:
svolta choc per superare la crisi

LAVORO - Dai risultati dell'indagine trimestrale sull'indutria metalmeccanica, presentati oggi durante un appuntamento organizzato a livello locale e nazionale, emerge una situazione scoraggiante. Per andare avanti servono azioni immediate e soluzioni concrete

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da sinistra Enzo Speziani, presidente e consigliere delegato di Lead Time, Franco Mercuri e Giovanni Faggiolati, presidente e vicepresidente della sezione metalmeccanici di Confindustria Macerata

di Erika Mariniello

(foto di Guido Picchio)

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Franco Mercuri, presidente sezione metalmeccanici Confindustria Macerata

Attenzione puntata sul settore dell’industria metalmeccanica. I dati sono scoraggianti. Il tema è stato al centro dell’appuntamento organizzato in contemporanea in tutta Italia e ha interessato anche la città di Macerata. Questa mattina gli imprenditori del territorio – Franco Mercuri, Giovanni Faggiolati, presidente e vice presidente della sezione metalmeccanici di Confindustria insieme al geometra Enzo Speziani, presidente e consigliere delegato dell’azienda Lead Time S.p.A. di Caldarola, hanno presentato e commentato i risultati relativi al terzo trimestre di quest’anno emersi da una più ampia indagine sull’andamento delle aziende metalmeccaniche che, in Italia, rappresentano il 50% dell’attività manifatturiera e l’8% del PIL. Dati scoraggianti che registrano una sofferenza del settore che, nel terzo trimestre ritorna a far emergere numeri in negativo dopo qualche punto a favore in termini di produzione ed esportazioni di inizio 2014, un leggero calo dell’utilizzo della cassa integrazione ordinaria e un aumento importante di quella straordinaria. Crisi che anche a livello provinciale continua a destare preoccupazione e richiede più che mai una svolta attuando soluzioni veloci e concrete. «Il mondo è cambiato, non possiamo più aspettare, è ora di dare una svolta culturale al sistema delle aziende perché così non si può più andare avanti – ha commentato Enzo Speziani -. Bisogna cambiare mentalità e capire che dietro un imprenditore ci sono numerose famiglie che vanno tutelate. A nessuno piace licenziare i lavoratori, ma il sistema così non funziona più e vanno trovate soluzioni per riuscire a lavorare in pace senza dover continuare a fare i conti con la burocrazia, sempre più complessa e macchinosa». Calo della domanda, interna ed esterna, calo dei prezzi che sono imposti dal mercato e aumento della competizione con altri paesi, senza che l’Italia riesca a rimanere al passo pur puntando sulla qualità e sul know how: questi le principali problematiche riscontrate nelle aziende metalmeccaniche della provincia. «Con cento società associate nel territorio provinciale che rappresentano una grande fetta della forza lavoro, dobbiamo difendere questo comparto – ha aggiunto Franco Mercuri -. Il settore metalmeccanico è il cuore pulsante dell’industria italiana che non è rappresentata solo dalle grandi aziende, ma anche da tutto l’indotto e dai terzisti». L’analisi dei dati, condivisa per la prima volta in 60 città italiane, accende il dibattito sulle possibili strategie per un rilancio: ridurre le barriere di accesso all’internazionalizzazione, necessità di velocizzare le procedure di erogazione dei fondi pubblici e di sbloccare i finanziamenti alle imprese e una maggiore attenzione alla persona, elemento vitale per la manifattura nel territorio. Serve una cura choc, partendo dalle riforme strutturali, con azioni immediate che possano rimuovere gli ostacoli che rendono difficile e faticoso fare manifattura in Italia.«E’ necessario creare una sintonia tra le aziende per operare in maniera congiunta seguendo strategie condivise – ha commentato Giovanni Faggiolati – L’esempio però deve partire prima di tutto dalla politica che deve operare verso una crescita del Paese. Vanno snellite le procedure burocratiche, sempre più complesse. Basti pensare che un imprenditore, in Italia, deve dedicare 269 ore l’anno per gli adempimenti fiscali, rispetto ai 218 della Germania, ai 137 della Francia e ai 110 della Gran Bretagna e questo è solo un esempio».

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