…Il Monastero-Castello, anche se presso gli archivi ministeriali si sta tuttora cercando il provvedimento che da diversi decenni lo qualifica formalmente come “monumento nazionale”, è pur sempre un bene vincolato, in quanto di rilevante interesse storico-artistico. Per la sua alienazione a terzi occorre quindi seguire una particolare procedura, che coinvolge i competenti uffici ministeriali e gli enti territoriali. L’istanza della Priora Micocci, indirizzata alla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche, viene pertanto da questa girata per i necessari pareri alla locale Soprintendenza, nonché alla Regione Marche, e, tramite quest’ultima, alla Provincia di Macerata e al Comune di Loro Piceno (il quale così, a distanza di ben quattro mesi dall’inaspettata missiva della Priora, un vero e proprio fulmine a ciel sereno, viene a conoscenza dell’intenzione delle suore di vendere a terzi l’immobile che da sempre costituisce l’essenza e il nucleo della storia cittadina).
La Soprintendenza risponde nel giro di qualche giorno, senza nemmeno degnarsi di chiedere ulteriori dettagli. Nell’istanza della Priora c’è infatti scritto, letteralmente in due parole, che il Castello, oltre che a sede di rappresentanza delle società facenti capo alla famiglia Mosiewicz, sarà destinata anche a “spazi espositivi e museali”. Ma ciò significa tutto e niente: quanta parte del Castello avrà una tale destinazione? Quali saranno le effettive possibilità di fruizione pubblica e dell’ente comunale? Quale sarà il contenuto del museo? La Soprintendenza non si cura di chiedere spiegazioni al riguardo e nel giro di qualche giorno esprime un parere favorevole, anch’esso di poche righe, nel quale, data per scontata – chissà per quale motivo – una prevalente, se non esclusiva, destinazione museale del Castello, si limita a puntualizzare che gli interventi edilizi da effettuare siano preventivamente autorizzati e siano comunque rispettosi “del profilo architettonico e dei caratteri tipologici originari” del bene. Veramente poco sforzo per un bene “unico” dal valore inestimabile, conservatosi ad oggi perfettamente integro, trattato alla stregua di uno vecchio scantinato cadente e mal tenuto, a suo tempo vincolato per qualche strana motivazione!
Stessa storia per la Provincia di Macerata, in quel periodo in regime di commissariamento. Poche righe del dirigente di settore, in gran parte consistenti nella trascrizione del testo della norma di legge che regola la materia, per esprimere il nulla osta dell’ente provinciale alla vendita del Castello (in seguito comunque la Provincia, benchè sollecitata a fornire un diverso e più motivato parere, si è ben guardata dal rimettere mano al parere in questione, e tanta noncuranza, dopo innumerevoli sproloqui sulla tutela del patrimonio storico ed artistico provinciale, francamente appare ingiustificabile).
Più corposo, invece, il parere negativo datato 22 aprile 2011 del Sindaco di Loro Piceno, peraltro accusato in un successivo Consiglio Comunale, aperto alla cittadinanza, di aver fornito ai loresi un’adeguata informazione sulla vicenda solo qualche mese dopo essere stato a sua volta allertato dalla Regione Marche. Il Sindaco Piatti in ogni caso ricostruisce la storia antica e recente del Monastero-Castello, ne evidenzia la natura di vero e proprio simbolo cittadino, ne dà per certa la notifica di “monumento nazionale” avvenuta nel 1938, ne illustra la complessa e poderosa struttura e infine ricorda gli ingentissimi finanziamenti pubblici erogati nell’ultimo secolo e sino ai nostri giorni (nonostante la formale proprietà in capo alle suore e al loro ente ecclesiastico) da Stato e Regione per le periodiche opere di manutenzione e consolidamento. La conclusione è che il Comune è contrario alla privatizzazione del complesso monumentale ed auspica, qualora il bene non rimanga in proprietà dell’ente ecclesiastico che ne è proprietario, che da questo venga conferito gratuitamente ad una Fondazione di cui faccia parte anche il Comune stesso, al fine di legarlo in maniera indissolubile alla comunità cittadina di Loro Piceno.
Certo efficace e ben motivato, questa volta, è il parere decisamente negativo della Regione Marche del giugno 2011. La dirigente firmataria ricorda che l’ente Regione ha da poco sborsato quasi settecentomila euro per i lavori seguiti al terremoto del 1997/98, che in virtù di tale contributo è stata stipulata una convenzione che regola la fruizione pubblica di alcuni locali (pochi, in verità: solamente la chiesa, l’antica cucina e il parlatorio), ed infine che il perdurante utilizzo del castello come dimora delle suore domenicane è stata una delle condizioni valutate per l’inserimento del Monastero-Castello nei finanziamenti regionali riguardanti il ripristino, il recupero e il restauro dei beni culturali danneggiati dal sisma marchigiano.
A questo punto, siamo al giorno 7 settembre 2011, il Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche, acquisiti i vari pareri, si accorge che quelle striminzite ed insignificanti poche righe contenute nell’istanza della Priora Micocci a proposito del potenziale acquirente e delle future destinazioni del Monastero-Castello appaiono veramente fuori luogo, quasi una presa in giro, in relazione all’enorme valenza storico-artistico-monumentale del bene in questione, che rischia di finire in mani private senza colpo ferire, senza cioè un’adeguata valutazione della situazione e una precisa ricostruzione dei nodi anche giuridici (sul doppio versante del diritto civilistico e di quello canonico) della vicenda. Il Direttore Regionale chiede allora alla Soprintendenza di svolgere un’ulteriore attività istruttoria, “se del caso richiedendo alla parte istante di integrare la relativa documentazione”.
Più veloce della luce il Soprintendente sollecita allora l’ineffabile Priora Micocci e questa, ancora più veloce nonostante l’invidiabile età (quasi 86 anni), riesce ad inviare dopo appena venti giorni una lettera di intenti del potenziale acquirente. Non che questi in seconda battuta si sia sforzato molto di più, ma almeno adesso qualche dettaglio ulteriore viene finalmente fornito agli uffici pubblici competenti. Dopo l’orgogliosa rivendicazione delle proprie origini loresi, la famiglia Mosiewicz (già famiglia Sorbatti) precisa infatti che il Castello sarà utilizzato per sede di rappresentanza e/o operativa delle attuali e future aziende del gruppo, nonché per eventi, convegni, meeting, presentazione di prodotti. Tuttavia saranno rispettate le attuali convenzioni (quelle che, come detto sopra, su circa sessantacinque vani, consentono di visitare solo l’antica cucina e il parlatorio, oltre alla chiesa), magari incrementando le giornate usufruibili dal pubblico. Ed inoltre, d’intesa con il Comune, il cui Sindaco pro tempore potrà essere cooptato nel consiglio di amministrazione della società che gestirà il complesso monumentale, il Castello potrà ospitare eventi culturali quali mostre, giornate musicali, ricorrenze storiche, visite di autorità varie. Insomma, una filosofia da “Castello Aperto”, almeno secondo la famiglia Mosiewicz. A mio modesto avviso (ma questa è solo una mia personale cattiveria), questa definizione è condivisibile, ma solo qualora si escluda ogni pur vaga idea di mecenatismo e si ponga l’accento prevalente sulla “apertura” alle esigenze aziendali.
Battute cattive a parte, e tornando alle vicende burocratiche qui narrate, tanto tempismo non trova adeguato riscontro, tanto che il 20 gennaio 2012 la Priora, alla quale evidentemente la vicenda sta molto a cuore, torna a prendere carta e penna per sollecitare ulteriormente la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche e per proporre un incontro a tre con il potenziale acquirente e con il tecnico di fiducia del Monastero (il nipote della stessa Priora) al fine di eliminare ogni e qualsiasi ostacolo per la vendita. In calce alla lettera, nel salutare, la Priora Micocci, a dimostrazione di quante volte l’Altissimo sia invocato veramente a sproposito e di quanti difetti di comunicazione vi siano in ogni caso con il mondo trascendente, conclude pregando “affinche il Signore ci illumini e guidi in questa delicata vicenda” (un auspicio che comunque sento di fare pure mio, ma di sicuro non nel senso evidentemente ipotizzato da suor Maria Pia Micocci).
La Direzione Regionale, però, dopo aver comunicato che occorrono ancora ulteriori approfondimenti istruttori, a fine maggio 2012 scrive una lunga e dettagliata lettera alla Priora del Monastero e al Vescovo di Fermo (sotto la cui giurisdizione ricade il territorio di Loro Piceno) in cui per la prima volta mette a fuoco e precisa diverse importanti questioni: a) nel caso di beni culturali di proprietà ecclesiastica, i provvedimenti autorizzativi per eventuali vendite a terzi sono di competenza ministeriale, previo accordo però con il vescovo diocesano competente per territorio; b) nel caso specifico, per motivi che qui sarebbe troppo lungo riepilogare, prima di alienare il bene è indispensabile far venir meno l’ente ecclesiastico proprietario; c) in ogni caso, a seguito anche di osservazioni scritte sia del combattivo comitato civico lorese che si oppone alla privatizzazione del Castello che della sezione regionale di Italia Nostra, appare indispensabile verificare se la qualifica di “monumento nazionale” sia stata in passato effettivamente e formalmente concessa, giacchè in tal caso il bene sarebbe del tutto inalienabile.
E qui entra in scena il Vescovo di Fermo Monsignor Luigi Conti, che già all’epoca della sua precedente permanenza a Macerata aveva acconsentito senza battere ciglio, e tra mille proteste, alla privatizzazione dell’antico e storico monastero domenicano sito nel centro storico, detto delle Monachette, gemello e coevo di quello lorese. Con una burocratica lettera del luglio 2012 il Vescovo Conti, inutilmente contattato per ben due volte dal Comitato di Loro che si sta battendo da mesi contro la privatizzazione del Castello, precisa che le due suore rimaste nel convento lorese (la stessa Priora ed un’anziana consorella) dovranno essere trasferite, che l’ente ecclesiastico “Monastero delle Suore Domenicane di Loro Piceno” potrà essere soppresso quanto prima dalla Santa Sede e che pertanto egli esprime parere favorevole al rilascio da parte della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche dell’autorizzazione a vendere a terzi.
Ecco, sul piano formale la storia per il momento finisce qui. La Direzione Regionale ha infatti comunicato un paio di mesi fa che occorrerà pertanto attendere la soppressione dell’ente ecclesiastico proprietario del Castello, l’attribuzione ad un’altra persona giuridica ecclesiastica del suo patrimonio ed infine una nuova richiesta di alienazione da parte di quest’ultimo ente.
In conclusione, visto l’iter della vicenda, tutto lascia prevedere che non resti molto tempo per cercare di bloccare la privatizzazione del Monastero-Castello. Con tutto il rispetto per la famiglia Sorbatti-Mosiewicz, per le sue idee circa il futuro utilizzo del Castello di Brunforte, per le sue nobili mostre e le sue raffinate collezioni da esporre, per l’affarone che essa sta indubbiamente per concludere (la cifra emersa di 3-4 milioni di euro appare anche ad un profano del tutto sottostimata rispetto all’effettivo enorme valore del bene), la privatizzazione dello stesso non appare infatti in alcun modo accettabile.
In primo luogo, per un debito di riconoscenza che le suore dovrebbero avere verso il Comune che nel 1600 le ha volute a Loro Piceno sopportando a tal fine già allora ingenti spese, le ha poi ospitate per secoli, le ha protette quando ve ne è stato bisogno, ha continuato ad investire risorse ingentissime per la manutenzione del Monastero, ha interagito in tutti i modi con la piccola comunità religiosa ospitata all’interno del Castello. Riconoscenza che dovrebbe valere anche verso i tanti cittadini loresi che hanno continuato nei secoli a concedere alle suore lasciti testamentari anche ingenti, nonchè offerte in natura e servizi di vario genere, ma soprattutto verso l’ingegnere Enrico Mori, che nel 1906, come si è visto, acquistò il Monastero ad un’asta pubblica per donarlo di fatto alle suore del Monastero, nel presupposto che potessero rimanere a Loro Piceno e proseguisse così senza soluzione di continuità la feconda storia dell’intreccio tra comunità civile e comunità religiosa lorese. Certo, non c’è e non può esserci un obbligo giuridico delle suore (e della Curia fermana) a far ritornare il Castello ai cittadini tutti e quindi al Comune di Loro Piceno. Ma la donazione del Castello-Monastero, oppure la vendita al Comune ad un prezzo puramente simbolico, rispondono con tutta evidenza ad un preciso obbligo morale, rafforzato, qualora ce ne fosse ancora bisogno, dalla consapevolezza di aver ricevuto, soprattutto nel corso del secolo scorso, rilevantissimi contributi pubblici, statali e regionali, per la costante manutenzione dello stesso.
Ma in questa direzione militano anche altre importantissime considerazioni. Innanzi tutto la notevole rilevanza storico-artistica del bene, l’unico Castello-Monastero delle Marche, costituente, a detta della stessa Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche, una “testimonianza rilevante della storia delle istituzioni pubbliche e religiose” regionali. Poi la già ricordata valenza civica di questo complesso monumentale, da sempre identificato con la stessa cittadina di Loro Piceno, tanto che il Castello è raffigurato nello stemma comunale (fatte le debite proporzioni, il Castello identifica Loro Piceno come il Colosseo identifica Roma). Non meno significativi sono però anche la dimensione religiosa del complesso monastico, frutto del passaggio e della vita di figure mistiche di grande spessore, alcune delle quali scomparse in odore di santità, e i reperti, assolutamente da salvaguardare, legati ai lavori artistico-artigianali a cui erano dedite le monache nel corso dei secoli (tessitura, ricamo, erboristeria, vinicoltura, lavorazione delle ostie, ecc.). Per non parlare della grande Storia che è pulsata dentro e nei dintorni del Castello, a partire dalle vicende feudali e dei primi liberi Comuni, passando per il periodo monastico, per i momenti significativi della storia della Marca segnati dai rapporti tra il Castello di Loro e Fermo, sino ad arrivare all’epoca risorgimentale ed alla battaglia di Tolentino del maggio 1815, che vide alcuni reparti impegnati nel combattimento ospiti proprio della fortezza di Loro Piceno.
Insomma, tanti eccellenti motivi per fare fronte comune tra cittadini, istituzioni territoriali locali e regionali, uffici statali, affinchè, tramite la dovuta “moral suasion” sulla Curia fermana, il nostro Castello, così ricco di storia, ritorni – come è giusto – in mani pubbliche e non diventi il fiore all’occhiello di pur rispettabili iniziative imprenditoriali private. E proprio in vista di questo obiettivo la Regione Marche dovrebbe fare una forte pressione sulla Conferenza Episcopale Marchigiana, peraltro presieduta proprio dallo stesso Vescovo Conti, ricordando e facendo pesare non solo i contributi pubblici concessi per il Monastero-Castello di Loro Piceno, ma anche gli ulteriori ingentissimi contributi concessi a tanti altri beni monumentali di proprietà ecclesiastica siti nelle Marche, ristrutturati con soldi pubblici dopo il terremoto di qualche anno fa.
Di sicuro questa battaglia non può essere lasciata al solo Comune di Loro Piceno, che di fatto sta già ripiegando sul male minore, cioè su un accordo pubblico-privato per la futura gestione del bene, ma dovrà coinvolgere anche la Provincia di Macerata (a quando la modifica del disgraziato parere favorevole rilasciato nel 2011?) e la Regione Marche, insieme al Comitato Cittadino per la tutela del Castello di Brunforte, al mondo della cultura e a tutte le associazioni che si battono per la salvaguardia del patrimonio storico, artistico e culturale presente nella nostra realtà provinciale e regionale (non dimentichiamoci poi il Comitato per la Bellezza, costituito a Roma dalle principali associazioni ambientaliste italiane e presieduto da Vittorio Emiliani, che è già pubblicamente intervenuto sulla vicenda, criticando aspramente l’ipotizzata privatizzazione).
C’è tanto da fare prima di alzare bandiera bianca. Perché, tanto per cominciare, Regione, Provincia e Comune, gli stessi cittadini loresi, non si impegnano a chiedere coralmente al Vescovo di Fermo la donazione del Castello allo stesso Comune, o quanto meno il suo conferimento gratuito ad una Fondazione gestita dall’ente comunale ed anche dalla stessa Curia fermana (nonché dalla famiglia Mosiewicz, qualora si mostrasse realmente impegnata in un progetto improntato al mecenatismo)? Perché in ogni caso Regione, Provincia e Comune non cercano nel frattempo di ottenere dal competente Ministero una nuova attribuzione al Castello della qualifica di “monumento nazionale”, che taglierebbe la testa al toro, portando alla definitiva inalienabilità del bene?
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Una lunga e appassionata difesa per dire che il castello potrebbe essere prelazionato ai sensi dell’art. 60 Dlgs n. 42/2004, meglio conosciuto come Codice Urbani:
Articolo 60
Acquisto in via di prelazione
1. Il Ministero o, nel caso previsto dall’articolo 62, comma 3, la regione o l’altro ente pubblico territoriale interessato, hanno facoltà di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso al medesimo prezzo stabilito nell’atto di alienazione.
2. Qualora il bene sia alienato con altri per un unico corrispettivo o sia ceduto senza previsione di un corrispettivo in denaro ovvero sia dato in permuta, il valore economico e’ determinato d’ufficio dal soggetto che procede alla prelazione ai sensi del comma 1.
3. Ove l’alienante non ritenga di accettare la determinazione effettuata ai sensi del comma 2, il valore economico della cosa e’ stabilito da un terzo, designato concordemente dall’alienante e dal soggetto che procede alla prelazione. Se le parti non si accordano per la nomina del terzo, ovvero per la sua sostituzione qualora il terzo nominato non voglia o non possa accettare l’incarico, la nomina e’ effettuata, su richiesta di una delle parti, dal presidente del tribunale del luogo in cui e’ stato concluso il contratto. Le spese relative sono anticipate dall’alienante.
4. La determinazione del terzo e’ impugnabile in caso di errore o di manifesta iniquità.
5. La prelazione può essere esercitata anche quando il bene sia a qualunque titolo dato in pagamento.
Articolo 61
Condizioni della prelazione
1. La prelazione e’ esercitata nel termine di sessanta giorni dalla data di ricezione della denuncia prevista dall’articolo 59.
2. Nel caso in cui la denuncia sia stata omessa o presentata tardivamente oppure risulti incompleta, la prelazione e’ esercitata nel termine di centottanta giorni dal momento in cui il Ministero ha ricevuto la denuncia tardiva o ha comunque acquisito tutti gli elementi costitutivi della stessa ai sensi dell’articolo 59, comma 4.
3. Entro i termini indicati dai commi 1 e 2 il provvedimento di prelazione e’ notificato all’alienante ed all’acquirente. La proprietà passa allo Stato dalla data dell’ultima notifica.
4. In pendenza del termine prescritto dal comma 1 l’atto di alienazione rimane condizionato sospensivamente all’esercizio della prelazione e all’alienante e’ vietato effettuare la consegna della cosa.
5. Le clausole del contratto di alienazione non vincolano lo Stato.
6. Nel caso in cui il Ministero eserciti la prelazione su parte delle cose alienate, l’acquirente ha facoltà di recedere dal contratto.
Articolo 62
Procedimento per la prelazione
1. Il soprintendente, ricevuta la denuncia di un atto soggetto a prelazione, ne dà immediata comunicazione alla regione e agli altri enti pubblici territoriali nel cui ambito si trova il bene. Trattandosi di bene mobile, la regione ne dà notizia sul proprio Bollettino Ufficiale ed eventualmente mediante altri idonei mezzi di pubblicità a livello nazionale, con la descrizione dell’opera e l’indicazione del prezzo.
2. La regione e gli altri enti pubblici territoriali, nel termine di trenta giorni dalla denuncia, formulano al Ministero la proposta di prelazione, corredata dalla deliberazione dell’organo competente che predisponga, a valere sul bilancio dell’ente, la necessaria copertura finanziaria della spesa.
3. Il Ministero, qualora non intenda esercitare la prelazione, ne dà comunicazione, entro quaranta giorni dalla ricezione della denuncia, all’ente interessato. Detto ente assume il relativo impegno di spesa, adotta il provvedimento di prelazione e lo notifica all’alienante ed all’acquirente entro e non oltre sessanta giorni dalla denuncia medesima. La proprietà del bene passa all’ente che ha esercitato la prelazione dalla data dell’ultima notifica.
4. Nei casi di cui all’articolo 61, comma 2, i termini indicati al comma 2 ed al comma 3, primo e secondo periodo, sono, rispettivamente, di novanta, centoventi e centottanta giorni dalla denuncia tardiva o dalla data di acquisizione degli elementi costitutivi della denuncia medesima.
Intervenire in un forum su una vicenda complessa, come quella della probabile vendita del Castello Brunforte di Loro Piceno, non è cosa semplice: si può facilmente rischiare di essere fraintesi o accusati di partigianeria. Per chi, come me, è nato a Loro Piceno (quando ancora si nasceva in casa) ed è vissuto all’ombra del Castello, difendere questo bene dalla privatizzazione è un dovere non solo morale ma anche civico.
Chi non abita a Loro Piceno provi a mettersi nei panni dei Loresi contrari alla privatizzazione, che vivono questa vendita come un esproprio; provi a pensare se all’improvviso venissero privatizzati i simboli delle loro città: la Loggia dei Mercanti o lo Sferisterio a Macerata, l’Ospedale del Pellegrini a San Ginesio, la Mole Vanvitelliana in Ancona …
Evidenzio una prima considerazione su cui riflettere: il Castello di Loro Piceno non è stato una dimora residenziale appartenuta ad una famiglia privata, come ad esempio i vicini Castelli Palotta (Caldarola), della Rancia (Tolentino) o di Beldiletto (Pievebovigliana), bensì è stato PALAZZO PUBBLICO, la sede originaria del nostro comune, ed è rimasta tale per secoli. Nelle antiche delibere comunali, conservate nell’Archivio storico di Loro Piceno, non a caso il Castello veniva denominato “Il Palazzo della Comunità”. Esso costituisce, quindi, l’elemento identificativo di Loro Piceno, tanto che è rappresentato nello stemma comunale.
Il Castello, insomma, è la storia, nel senso più pieno del termine, del nostro Comune e della sua comunità, e la storia di una comunità non si può vendere.
Ecco perché difendere questa storia è un dovere civico.
Concordo pienamente con quanto proposto dall’autore dell’articolo perchè il Castello possa rimanere in mani pubbliche con un suo conferimento gratuito ad una Fondazione gestita dall’Ente Comunale e da altri soggetti come suggerito . Come cittadini Loresi saremmo pronti a collaborare nella gestione del Castello, un inestimabile bene storico della nostra comunità, per una sua fruizione culturale di grande respiro.
Caro Gabor,
l’esercizio del diritto di prelazione non è affatto quello che ho chiesto nell’articolo. Questa, semmai, sarebbe solo l’ultima opzione.
Caro Giuseppe,
francamente non capisco la differenza tra pubblico e privato di un bene monumentale quando viene garantita per legge la fruizione del bene stesso. Non capisco neanche l’attacco alla Curia. Non dimentichiamoci che molti beni ecclesiastici vennero indemaniati da Napoleone prima e dagli artefici del risorgimento poi. Al contrario capisco l’orgoglio delle due commentatrici loresi e mi permetto di rispondere ad Agnese Antinori in quanto ha portato diversi esempi dal valore simbolico.
Il Castello Pallotta è rimasto sempre privato e arredato.
Il Castello della Rancia venne acquistato nel 1973 dall’allora Sindaco Roberto Massi per 25 milioni.
Lo Sferisterio venne donato nel 1985 dai soci al Sindaco di Macerata Carlo Cingolani
L’avvocato Raffaele Foglietti nella sua insuperabile “Guida di Macerata e dintorni” del 1905, dopo un’accurata descrizione dello Sferisterio, si lascia andare ad alcune considerazioni che fanno riflettere e alla fine data 1903 l’apposizione dello stemma e dell’iscrizione sul frontone: “… L’aspetto che presenta l’interno illuminato e pieno di gente è veramente grandioso. Peccato però che da non pochi anni questo bello edificio, che doveva servire e servì per tanto tempo a spettacoli di ogni genere, non sia più adoperato che un paio di volte nell’anno per qualche tombola. – Due anni indietro fu impostato sopra il portico e sovrastante edificio un grandioso stemma del Comune in pietra e fu apposta una iscrizione che rammenta che la generosità di cento consorti lo edificò ad ornamento della città e diletto pubblico, nell’anno 1829.”
Visto che l’edificio è stato costruito per il diletto e non per il sacrificio pubblico, mi chiedo se sia possibile aprirlo una volta ogni tanto ai cittadini maceratesi per uno spettacolo gratuito, in considerazione che questi ultimi contribuiscono direttamente e indirettamente alla stagione lirica.
Ecco tre esempi di edifici privati, di cui due passati al pubblico. Secondo voi qual è più visitabile tra il Castello Pallotta, il Castello della Rancia e lo Sferisterio?
A volte alcuni interventi mi lasciano sconcertato e non posso che concordare con l’amico Bonifazi. Mi chiedo come si possa immaginare che un piccolo comune come Loro Piceno sia in grado di amministrare e far vivere un bene così economicamente impegnativo e non solo. Diveniamo statalisti proprio quando ci si augura l’intervento privato in special modo in un momento congiunturale di tale portata. Non bastano i mille esempi negativi da cui siamo angosciati nel quotidiano? Dobbiamo inventarci qualche altro Ente gestito dalla politica? Ci saranno interessi nel privato, meglio che sia così a fronte dell’incuria e di una eventuale o forse certa incapacità di conservare un BENE PUBBLICO, che tutti abbiamo pagato e che vorremmo vivesse, proprio per le memorie che porta con se e per il decoro di questo paese che deve tornare a costruire posti di lavoro per i tanti giovani cui dovremmo almeno restituire la speranza. Senza investimenti anche in beni culturali, perchè li facciamo laureare nelle materie che trattano conservazione e promozione dei nostri tesori abbandonati o nascosti? Anche nell’ipotesi di poche occasioni lavorative si giustificherebbe l’impresa, per non dire di un possibile indotto derivato dalle iniziative intraprese. Ricordo che una trasmissione di RAI 3 Marche riuscì ad attrarre da sola centinaia di visitatori, che non credo abbia avuto ulteriori riscontri. Cessiamo di ascoltare i tanti vecchi tromboni che costantemente pontificano, lasciamoli alle proprie vecchie e stantie convinzioni, perchè non sanno o fingono di non sapere che i tempi sono cambiati e forse dimenticano che tanti monumenti sono stati affidati fortunatamente al FAI che non è sicuramente un ente pubblico. Quando parlo di tromboni non mi riferisco a te Giuseppe naturalmente, ma ai tanti comitati che sempre più numerosi si pavoneggiano con inutili e pompose chiacchiere senza risolvere nulla. I Loresi credo debbano augurarsi un intervento privato, la lezione dello Sferisterio a Macerata è sotto gli occhi di tutti e il relativo scempio economico. Nei primi anni duemila poteva essere affidato ad imprenditori teatrali svizzeri, ma i soliti politici noti crearono trincee per contrastare la vicenda e oggi ne godiamo l’ottimo risultato.
Ma pensate ancora che dopo tutto questo baccano una famiglia che ha investito molto a Loro Piceno, che voleva investire ancora di più, che voleva far conoscere di più e con un altro stile Loro Piceno e i suoi prodotti enogastronomici come già altri Loresi volenterosi fanno da anni ( ristoranti , taverne, agriturismi, altri produttori di vino e vino cotto), che avrebbe rispettato tutte le prescrizioni architettoniche del caso, ripeto pensate ancora che abbiano voglia di fare tutto questo? Mio padre, all’indomani di una cocente sconfitta elettorale nel mio paese per colpa di un candidato sindaco che si presentò a dispetto di una compagna di partito, citò in dialetto il detto che non ci si può evirare per dispetto della moglie. Penso succeda lo stesso.
Il consigliere regionale Enzo Marangoni, di Popolo e Territorio – Libertà e Autonomia, ha presentato una mozione sull’inalienabilità del Castello di Brunforte di Loro Piceno: “Il Castello è al centro di un vivace dibattito cittadino da quando le Suore Domenicane, proprietarie del monastero che occupa l’antico edificio, hanno deciso di vendere l’immobile ad un acquirente privato. Per gli abitanti di Loro Piceno il Castello di Brunforte rappresenta la storia della città, dalle sue origini fino ad oggi.- Spiega Marangoni- L’attuale edificio sorge su una fortificazione romana; nelle sue vicinanze sorse un insediamento monastico benedettino, attorno al monastero furono edificate le case per i contadini che lavoravano i campi bonificati dai benedettini: è evidente che da allora i loresi si sentano legati alla presenza monastica, dalla quale è nato l’abitato di Loro Piceno”.
“La vicenda della vendita del castello da parte delle Suore Domenicane suscita molte perplessità negli abitanti di Loro Piceno – prosegue il Consigliere regionale – perché si sentono privati di un elemento rappresentativo della loro secolare identità comunale”. Sulla questione si attende il parere della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche. La Provincia ha dato parere positivo, mentre il Comune e la Regione Marche si sono espresse negativamente. Con la mozione presentata in questi giorni il Consigliere Marangoni chiede che sia rispettato il valore identitario del Castello di Brunforte per la comunità dei loresi, impegnando la Regione Marche a perseguire l’inalienabilità del prezioso bene architettonico con l’avvio di colloqui con tutti gli enti interessati.
ma fateci una struttura ricettiva di qualità, di cui Le Marche necessitano…
Marangoni, non le sparare troppo grosse con quella vecchia bombarda perché la Regione non è competente e potrebbe solo prelazionare il Castello di Loro, peraltro aperto in parte solo nelle feste ricordate. Le vendite tra privato e privato, tra privato e pubblico, tra pubblico e pubblico e tra enti ecclesiali sono sempre esistite da che mondo è mondo. Nessuno porterà via il castello da Loro Piceno come nessuno potrà fermare la vendita con una mozione niente affatto sensazionale.
Alcuni esempi:
Casino Bonafede (Monte San Giusto) venne messo all’asta il 9 maggio 1995 dall’Opera Pia Sagrini e acquistato dal Prof. Evio Ermas Ercoli. Quest’ultimo fece restaurare l’edificio ormai ridotto a rudere.
Villa “La Quiete” (Treja) venne prelazionata nel 2000 dal Comune. La villa con parco è sempre più ridotta a rudere.
Perchè non rivolgersi al FAI, a qualche fondazione bancaria, o in alternativa esercitare la prelazione, per poi darlo in gestione a privati, facendo rispettare il bene dal punto di vista storico, architettonico e della fruibilità pubblica? Scippare il castello ai loresi sarebbe come privarli della loro anima ed a questo proposito il vescovo Conti, uomo di chiesa, dovrebbe essere sensibile come pastore di anime. Oppure cosa intelligente da fare da parte del privato, potenziale acquirente, sarebbe quella di venire a Loro Piceno, indire una pubblica assemblea dei cittadini, per presentarsi alla comunità ed illustrare le sue intenzioni. Sarebbe almenno un approccio più intelligente da parte sua. Ad oggi questo non è avvenuto, e ciò non mi fà presagire bene. Saluti.
Al di là dei tecnicismi più o meno otentati in alcuni interventi ma certamente poco comprensibili a quelli come me che non sono neanche “infarinati” di diritto, penso che la questione sollevata dall’Avv. Bommarito sia di ben altra portata.
La Chiesa detiene con diverse modalità e a diversi titoli (tutti legittimi probabilmente) una grandissima quantità di monumenti storico-artistici che coincidono quasi sempre con gran parte del patrimonio culturare delle comunità interessate ( specialmente le piccole comunità locali, ma non solo esse).
Posto che non è della reverendissima Priora del convento la decisione di alienare il castello di Loro ( ovviamente è una mia personalissima convinzione ), c’è da domandarsi se sia eticamente accettabile che perfino un Vescovo per far quadrare i conti ( o per qualsiasi altra motivazione) della sua Diocesi possa assumere tali iniziative riguardanti un bene pubblico di fatto ( e questo mi pare innegabile) senza prima aver quanto meno coinvolto nella scelta ( preciso: scelta, e non “comunicazione successiva”) tutti i soggetti potenzialmente interessati. Non solo per correttezza e lealtà verso una comunità che ha “mantenuto” ( almeno fino a quando si è potuto) l’immobile/monumento, ma anche per tentare di individuare soluzioni che consentano a tutti i soggetti in campo ( Curia, Enti pubblici, cittadini di Loro e privati imprenditori) di contemperare il più possibile le diverse esigenze .
esigenze che ad esmpio potrebbero essere:
-Il comune e tutti gli Enti Pubblici coinvolti di non cedere ad un privato un monumento pubblico ( un principio di non secondaria importanza, altrimenti fra poco si potrà “cedere” anche lo Sferisterio);
-la comunità di Loro di continuare a riconoscersi orgogliosamente nel loro simbolo storico e sentirlo pienamente “suo”;
-la Curia di non avere più in “carico” la totale responsabilità economica e gestionale del monastero e di tutto il complesso;
-il privato imprenditore di “sfruttare” ( mi si passi il termine) le potenzialità “promozionali” del monumento.
Ora, quasi certamente non esiste una soluzione che soddisfi al 100% tutte queste esigenze; tuttavia, qualcosa che assomiglia ad un “compromesso accettabile” si potrebbe individuare ( salvo che le motivazioni della vendita/acquisto siano prevalentemente di natura speculativa/utilitaristica) e, sotto questo punto di vista mi pare che Bommarito abbia fornito spunti interessanti da approfondire ( vedi Fondazione, sponsorizzazioni private ecc.).
Si tratta di capire se c’è volontà di seguire una certa strada o se “l’affare” è già fatto.
Nella prima ipotesi mi pare che possa essere compito della Provincia il tentativo di provara dire “fermi tutti” studiando proposte concrete e mettendo intorno ad un tavolo i soggetti interessati; nella seconda ipotesi…gli affari sono affari e allora sarà il caso di vedrci chiaro sul piano della legittimità delle operazioni e mi parrebbe più che giustificata ogni azione ( legale) ed ogni iniziativa di protesta che punti a contestare e ad opporsi ad una simile evenienza.
Oramai in questo disgraziato Paese il bene pubblico è trattato come un qualcosa ad uso e consumo dei più “birbi”, e mi pare di poter dire non solo politici, purtroppo.
Vivo apprezzamento per il puntuale ed incisivo articolo che illustra in modo efficace e coinvolgente le intricate vicende del castello do Loro, evidenzia comportamenti superficiali o non consoni e suggerisce possibili vie di uscita.
Spero che l’articolo susciti consensi e reazioni di sostegno all’azione del comitato (di cui faccio parte anch’io) per un favorevole epilogo della vicenda.
Caro Gabor,
sin dall’inizio sei intervenuto su questa vicenda con una grande determinazione, quasi come se il Castello fosse il tuo e quindi come se tu personalmente non gradissi avere lacci e laccioli che possano in qualche modo ostacolare le tue libere determinazioni. Io credo invece che la vicenda narrata, così complessa e così diversa da altre storie di vendite a privati di beni storici (se non altro perchè qui stiamo parlando di un bene che da secoli identifica un’intera collettività), meriti anche da parte tua una maggiore riflessione.
Mi permetto allora di invitarti amichevolmente a meditare su alcune brevi considerazioni.
a) Non è qui in gioco il “formale” diritto dell’ente morale ecclesiastico a vendere a chi vuole. Nessuno può infatti giuridicamente impedirglielo (“Libera Chiesa in libero Stato”, come qualcuno ha giustamente ricordato). Il problema è se sia giusta e opportuna la vendita a privati di un bene che, nella sostanza, è sempre stato pubblico e che è diventato dell’ente ecclesiastico solo per una donazione di fatto, che comunque intendeva garantire per sempre l’integrazione tra l’ente pubblico e l’ente religioso.
b) Colui che nel 1906 ha donato di fatto il Castello, ha infatti effettuato la donazione in favore delle suore raccomandandosi che il bene rimanesse comunque nella fruizione pubblica (e tale restasse non per un’eventuale futura e graziosa concessione di un privato neo-acquirente, ma per una sorta di obbligo morale dell’ente donatario), il che avrebbe comportato quanto meno che tale ente, insieme alla Curia fermana, prima di scendere a trattative (già concluse?) con un privato, avesse preventivamente affrontato il problema con il Comune di Loro P. e con la cittadinanza intera, magari al fine di individuare un altro ordine religioso che potesse andare ad occupare il Castello-Monastero, perpetuando così una tradizione che dura da secoli (come in tante altre occasioni è stato fatto da parte delle autorità religiose).
c) E’ opportuno che il privato futuro acquirente, qualora, come è probabile, non ci siano le condizioni per l’esercizio del diritto di prelazione, diventi proprietario di un immobile ad oggi perfettamente restaurato (il che, tra l’altro, rende incomprensibile l’accelerazione che è stata impressa nel 2010 alla vicenda e la gran fretta della Priora di chiudere a tutti i costi e quanto prima la vendita alla famiglia Mosiewicz) grazie esclusivamente ai soldi pubblici, tanti soldi pubblici, di provenienza statale, regionale e comunale? Chi ripagherà la collettività di tutti questi soldi pubblici investiti sul Castello?
d) E’ scandaloso, in questo contesto, pretendere che la Regione Marche, che in buona sostanza è la vera e principale destinataria del mio articolo, intervenga sulla Curia fermana e sulla Conferenza Episcopale Marchigiana per evitare che un privato faccia un affarone (non dimentichiamoci, infatti, oltre al Castello in sè come immobile, anche l’enorme patrimonio di beni mobili, di affreschi, di antichi oggetti di natura religiosa: a proposito, qualcuno sa se sono stati mai catalogati?) ai danni di un’intera collettività e degli enti pubblici che si sono sino ad oggi dissanguati per garantire al Castello le necessarie opere di manutenzione di consolidamento?
e) E’ vero che, in mani pubbliche, il Castello potrebbe andare incontro ad incuria e deperimento, ma la storia italiana è piena anche di mirabili episodi di oculata e fruttuosa gestione pubblica di complessi monumentali (mi viene da pensare, rimanendo vicini a noi, al Castello, di cui adesso mi sfugge il nome, forse Civitella del Tronto, che è al confine tra Marche e Abruzzo, ove venne combattuta l’ultima battaglia tra le truppe borboniche e quelle del nascente Stato Italiano; e, molto più in piccolo, allo stesso Palazzo Buonaccorsi di Macerata, di proprietà comunale, che – sia pure lentamente – sta diventando uno dei punti di attrazione di turisti a Macerata).
Insomma, riflettiamo tutti quanti con serenità e lucidità su quello che potrebbe essere il modo migliore per tutelare, insieme all’interesse pubblico, un bene monumentale di inestimabile valore e cerchiamo anche di capire meglio l’orientamento sulla vicenda delle amministrazioni pubbliche che in ogni caso hanno il diritto e il dovere di dire la loro opinione.
Caro Giuseppe,
trovo giusto ciò che dici sulla fortezza borbonica di Civitella del Tronto, l’ultima a cadere nelle mani dei piemontesi dopo quella di Gaeta. Tuttavia la tua articolata tesi non mi convince del tutto. Infatti Palazzo Buonaccorsi venne acquistato dal sen. Ballesi e se qualcuno non fosse riuscito a dirottarci i fondi del terremoto il Palazzo sarebbe ancora lì. Inoltre ti ricordo che tutti i monasteri stanno chiudendo e che il Vescovo di Macerata qualche anno fa ha acquistato la villa dei conti Antonelli Incalzi (vulgo “Rambona”). Potrei citarti le vicende di diversi immobili d’interesse storico-artistico che hanno cambiato più volte il proprietario: Palazzo Ricci, Villa Lauri, Torre del Parco, Castello di Lanciano, Rocca d’Ajello, Villa Leonardi, Villa Jole, Villa Valcampana, Villa Carnevali, Villa Conti, Villa Buonaccorsi. Quest’ultima venne acquistata nel 2007 da alcuni imprenditori (sette milioni di €) che facevano affidamento su consistenti contributi europei.
Ecco perché non sopporto più inutili musei morti. Comunque ho piena fiducia nella Soprintendenza.
LETTERA A BABBO NATALE:
Caro Babbo Natale per questo Natale vorrei sotto l’albero:
– sistema elettorale maggioritario uninominale a turno unico come in America o Gran Bretagna;
– riforma del mercato del lavoro rendendolo più flessibile sia in entrata che in uscita, se è possibile abolizione dello Statuto dei Lavoratori;
– abolizione degli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, mobilità ecc…), rimarrebbe solamente il sussidio di disoccupazione (max 6 mesi);
– liberalizzazione dell’economia italiana tutta, dalle professioni ai servizi pubblici quali acqua, luce, gas, tlc, trasporti pubblici ecc…
– privatizzazione della RAI;
– sburocratizzazione vera di tutta l’attività economica, per aprire un’impresa dovrà bastare un ora invece che 6 mesi;
– abolizione di tutte le province e dei comuni sotto i mille abitanti e delle comunità montane, naturalmente;
– abolizione di vitalizi e privilegi vari alla classe politica nazionale, regionale e locale;
– fusione di polizia, carabinieri, finanza e guardia forestale in un’unica entità;
– abolizione di tutti i contributi a fondo perduto, incentivi ecc… sia alle imprese che agli individui;
– riduzione della spesa pubblica improduttiva;
– riduzione significativa della pressione fiscale sia sulle imprese sia sugli individui;
– vendita degli immobili pubblici quali caserme, stadi, palazzetti, ecc…;
– approvazione della legge sugli stadi, che possa favorire la costruzione di stadi e palazzetti da parte dei privati senza soldi pubblici;
– pesanti investimenti nelle infrastrutture: scuole, strade, TAV, ponte sullo stretto, collegamenti navali, ecc…
– riforma giudiziaria seria, sia penale che civile che permetta di ridurre la durata dei processi;
– aumento delle ore lavorative agli impiegati pubblici da 36 a 40 ore, a parità di stipendio naturalmente;
– tetto massimo alle pensioni;
– possibilità di costruire, per gli hotel 5 stelle, casinò con standard elevati;
– rimozione delle slot machine dai locali pubblici (bar, tabaccherie, ecc…) permettendo l’installazione solamente in locali appositi;
– abolizione dell’insegnamento di religione alle scuole di ogni livello;
– possibilità di matrimonio tra persone dello stesso sesso;
– abolizione di ogni tipo di privilegio a qualunque confessione religiosa, lo Stato deve essere laico veramente e non a parole;
– favorire la ricerca scientifica, oggi ingabbiata da veti confessionali;
Ps: la lettera fino a Natale sarà soggetta a integrazioni.
Grazie all’atto di carità di Enrico Mori è stato permesso alle suore domenicane di rimanere nel monastero, ed ora a distanza di poco più di un secolo, quello stesso ordine di monache decide di vendere il monastero che è stato donato loro. A ben vedere, se c’è qualcosa che tutta questa annosa vicenda fa capire a tutti noi è che qua non si tratta di venerare “Dio Padre onnipotente creatore del cielo e della terra”, ma piuttosto un dio molto più tangibile: il Dio Denaro Quel Dio Denaro che, semmai questa battaglia dovesse concludersi con la vendita, trasformerà il magnifico castello Brunforte da monumento storico-artistico di valore incommensurabile che mi rende fiera di essere lorese in un grande tempio dedicato a questa divinità sonante e concreta che tutto può, a dispetto di valori che al giorno d’oggi vanno via via scemando come se niente fosse… Non un grande insegnamento per noi giovani. La verità è che mi viene in mente una sola parola: indignazione.
@pigi78
Oggi ho fatto la pipì fuori dal vaso e sono andato stitico!!
Non c’entra niente?? Va bè fa lo stesso!!!
Continuerò ad aggiornarvi fino a Natale!!
Saluti e auguri.
Caro Pigi78,
siccome hai fatto il bravo quest’anno, ti porterò tutti i regali da te richiesti!
Buon Natale!
Babbo Natale
Premesso che ogni veduta diversa è lo stesso giusta e rispettabile, io mi schiero dalla parte del pubblico, cercando di motivare come posso.
Purtroppo, e non da oggi, la nostra gestione pubblica è screditata- per non dire sanguisuga, fallimentare, clientelare- e quindi molto facilmente passa la linea ” privato è meglio” . Ma, torno a ribadire, in buone mani pubbliche quello che può fare un privato lo può fare bene e meglio il pubblico, che , sta qui la lieve differenza ha finalità esclusivamente pubbliche, mentre il privato prevalentemente private.
Nello specifico. Se il privato, come leggo dalla ricostruzione di Bommarito, lo acquisterebbe per farne una sede di rappresentanza della sua azienda, tenerci convegni, attività promozionali varie, tanto più potrebbe farlo il pubblico per creare un’economia intorno a tutte ( da molti a molti, contro , uno a molti ) le attività produttive del suo territorio e creare un indotto ancora più consistente per tanti più interessi di quanti possano girare rispetto quelli di un singolo imprenditore facoltoso.
Per come la vedo io, nella necessaria (ri)attualizzazione del Castello di Loro, vista la volontà della curia di alienare il bene, l’inter-esse al vaglio dei vari enti e soggetti pubblici che dovrebbe prevalere, è quello appunto che sta tra finalità e buona capacità gestionale .Fattori che i due contendenti , privato-pubblico, riescono a garantire ognuno solo per un verso. Nella mio favore al pubblico piuttosto che al privato, pongo come base l’ideale che il pubblico riuscisse a riunirli entrambe in sè.
Un esempio pratico di valorizzazione pubblica. ( Ricamo sopra la tela di altri, la proprietà del castello-monastero non è del Comune., ma per astratto) Ebbi a sostenere due anni fa – al di là degli aspetti più culturali e con una certa preveggenza rispetto l’acuirsi della crisi- della necessità di una scuola, bottega di mestieri, attraverso cui, giovani e meno giovani quale sia la loro formazione, potessero trovare un nuovo sbocco per immettersi o reimmettersi nel mercato del lavoro a qualsiasi età ( oggi esodati, disoccupati, licenziati, neolaureati) : ma quale migliore sede questa struttura , con tutti i riflessi di storia che ha addosso ? Allora sì che hai uno scopo sociale e vale la pena foraggiare il pubblico con fondi per la manutenzione ( il classico fiume che torna al mare ). Dài lavoro a insegnanti e tecnici , trasmetti conoscenza teorico-pratica, crei un largo indotto puntando sull’artigianato locale con nascita di nuove botteghe: ti specializzi, ti riposizioni, ti concentri su una fetta di mercato – anche tu pubblico- ma pensando in grande, uscendo dai confini provinciali, regionali, nazionali. E’ quanto detta l’economia globale per potergli resistere attraverso le proprie specificità. Basti dire che nella vicina Mogliano, non so se ancora esistano gli ultimi artigiani impagliatori .Insomma, immaginiamo i vantaggi per un piccolo centro dell’interno avere una sorta di casa e bottega, non escludendo affatto tutta una miriade di iniziative collaterali al traino principale, come una mostra permaente di antiquariato, da cui riscuotere gli affitti dai privati, mostre d’arte che coinvolgano artisti emergenti etc.Senza quindi chiudersi nel vecchio, nel passato, ma partire da qui verso un nuovo. Da ogni parte del centro Italia ci si sposta verso Castelli per le ceramiche, perchè non si dovrebbe andare a Loro Piceno se ha un’attrattività artigianale tutta sua? Per me, insisto, questo è quanto c’è da fare se gli enti territoriali non vogliono continuare a puntare sui prelievi fiscali per far quadrare i loro bilanci….finchè ce n’è da prendere; E dopo? Allora anticipiamo i tempi , con creatività e passione comune, prima dello sfascio totale. Non conosco l’azienda vinicola del potenziale acquirente, quindi forse sbagliando, ma credo di annusare che l’operazione commerciale alle spalle, sia proprio quella di investimento in immagine che dia ai suoi prodotti un forte carattere di storia. E allora, se è così, perchè un privato ci trova interesse economico e il pubblico no nello sfruttamento delle sue risorse ?
Io la metto sotto il punto di vista delle opportunità da cogliere. Quali, sta agli amministratori trovarle. In secondo piano la questione identitaria- visto, con una battuta, che nessuno traslocherà fisicamente il castello da un’altra parte- anche se pure questo sentimento di appartenenza intorno a un simbolo comunitario, ha la sua valenza in un momento di destabilizzazione a livello sociale, economico, politico.
Dopo una prima riflessione sul VALORE CIVICO del nostro Castello, ritengo utile sottoporre all’attenzione di chi legge alcune informazioni e considerazioni sulla VALENZA RELIGIOSA del bene.
La fondazione di un Monastero a Loro Piceno (sec. XVII) si è configurata come un “Progetto” deciso, realizzato e tutelatonei secoli dalla comunità locale. Ciò emerge con chiarezza da alcuni documenti conservati presso l’Archivio storico comunale e in quello parrocchiale, i quali attestano che il Monastero è stato fortemente voluto dal Comune,che ha realizzato con fondi propri l’attuale struttura.
La decisione di accogliere una comunità religiosa a Loro Piceno venne assunta dal Parlamento lorese agli inizi del 1610; poi con la deliberazione dell’8 ottobre 1623 si approvò la concessione del Palazzo di Giustizia, parte integrante del Castello, per l’erezione del Monastero, come “opera buona santa e pia”. Con la successiva deliberazione del 24 agosto 1692 la Magnifica Communitas Lauri stabilì le condizioni per l’apertura del chiostro.
LA VOLONTÀ CHE SI PERPETUASSE IL MONASTERO A LORO PICENO è stata costantemente confermata, dalla sua apertura in poi, in diverse epoche storiche attraverso atti e azioni, che ne costituiscono le prove inconfutabili, come:
– i cospicui lasciti testamentari e le donazioni dei Loresi facoltosi “pro erigendo monasterio” e i contributi elargiti dal Comune per l’adattamento del Castello a Monastero, impegno che richiese nel sec. XVII numerosi anni, dal 1628 al 1692; seguirono poi le aggiunte architettoniche del sec. XVIII;
– la deliberazione del Parlamento lorese del 24 agosto 1692 che fissò per sempre la destinazione del Castello a Monastero, stabilendo che qualora le monache domenicane si fossero trovate nella necessità di abbandonare il Convento per qualsiasi motivo, esse avrebbero dovuto lasciare ogni bene mobile o immobile fino ad allora posseduto, in modo che, con il permesso della Sacra Congregazione, si potesse accogliervi un’altra comunità religiosa, “a ciò che il Monistero si perpetui in questa nostra Terra”;
– la gestione dell’attività manutentiva del Monastero da parte del Comune, dalla sua fondazione fino a quando l’immobile è diventato di proprietà delle Monache Domenicane;
– la salvaguardia del Monastero attuata dalla comunità locale nei periodi critici delle soppressioni, che ha fatto sì che delle tre congregazioni religiose presenti nel paese solo quella Domenicana venisse salvata da una sicura estinzione.
Durante la soppressione napoleonica, durata dal 1810 al 1821, il Monastero venne chiuso e le monache dovettero lasciare il Castello: le più giovani tornarono in famiglia, mentre quelle anziane vennero ospitate da persone facoltose del paese; le suppellettili e gli oggetti che non poterono portare con sé furono affidate a famiglie di fiducia, che, al ritorno delle religiose, restituirono quanto avevano custodito;
– l’operato, durante la soppressione sabauda, del Sindaco Marchesini Niccola, che nel suo trentennale mandato si prodigò costantemente per la sopravvivenza della comunità domenicana: chiese e ottenne la revoca del Decreto di concentramento in altro luogo delle soppresse Monache Domenicane; reclamò dal Governo la devoluzione del Monastero al Comune per usi pubblici (asilo, scuola elementare e ospedale), che non vennero mai realizzati, poiché sicuramente era il Monastero che l’Amministrazione voleva preservare; permise la vendita del Castello in favore della comunità domenicana, assicurandone per sempre la permanenza nel paese.
– l’acquisto-dono nel 1906 del Castello (fino ad allora sempre appartenuto al Comune) da parte dell’Ingegnere lorese Enrico Mori a favore delle Monache;
– il sostegno economico offerto alla comunità domenicana dai cittadini loresi, in base alle loro possibilità, attraverso lasciti testamentari, servizi vari, offerte di vario genere, e dalle stesse Amministrazioni comunali succedutesi nel tempo.
Il Monastero delle Domenicane di Loro Piceno ha avuto un glorioso passato, attestato da diverse pubblicazioni, tra cui si distinguono: la divulgazione su Loro Piceno dello studioso locale Pietro Santini che dedica al Convento un suggestivo capitolo, “Il Monastero delle Domenicane in Loro Piceno” di Mons. Giovanni Cicconi, il libretto celebrativo di Suor M. Pia Micocci, scritto in occasione dei trecento anni della presenza domenicana a Loro Piceno. Da tali scritti emerge il ruolo benefico esercitato dal Monastero nel nostro territorio, non solo come “centro monastico” ma anche come “centro educativo” per le giovani del borgo e “occasione di stimolo culturale” per i Loresi, grazie alla costante presenza dei Padri Domenicani che da varie parti d’Italia sono saliti al Castello, intrattenendo rapporti con la stessa popolazione.
È importante rimarcare, inoltre, che sul piano religioso il Castello è strettamente legato a due figure assai venerate nel paese:
– il Beato Liberato da Loro Piceno, frate minore seguace di Francesco della prima generazione, identificato con l’anonimo del cap. 47 dei Fioretti, forse appartenuto alla famiglia dei conti Brunforte (probabili Signori feudali del Castello), morto nella grotta di Soffiano nel 1258; tuttora contigua al Castello esiste una costruzione, recante all’esterno un affresco che raffigura il Beato, considerata dalla tradizione come sua abitazione;
– la “serva di Dio” Suor Maria Gesuarda della SS.ma Trinità (al secolo Felice Acciaccaferri di San Severino), monaca domenicana del Monastero, morta in concetto di santità nel 1715 dopo una rigorosa vita di penitenza vissuta all’insegna della passione di Cristo, che ha concesso e continua a concedere grazie nei casi di gravi malattie, per cui tuttora attira una particolare devozione.
La sacralità del luogo è data, infine, dalla presenza all’interno del Convento del Cimitero delle Monache Domenicane, che fino agli inizi del XX secolo sono sempre state sepolte nel Convento; la tomba di Suor Maria Gesuarda vi ha una collocazione tutta particolare.
In alcuni interventi che mi hanno preceduto alcuni patrocinano la vendita del Castello ad un privato, sostenendo che il Comune non è in grado di far fronte alla sua futura gestione.
Io sono del parere che occorra separare il problema proprietà dal problema gestione del Castello, e mi spiego.
Essendo il bene in questione di così rilevante importanza, data la sua forte identità civica, il Castello deve assolutamente tornare nelle mani della comunità lorese.
Per ottenere ciò, il Sindaco e l’Amministrazione comunale, quindi, dovrebbero fare anche i salti mortali, se fossero necessari, come una richiesta di donazione in forza di quanto ha fatto la comunità lorese per le monache, un accordo con le sfere ecclesiastiche per un comodato d’uso, un’acquisizione rateizzata, una raccolta di soldi a livello regionale o nazionale …).
La gestione e l’uso per anni del Castello, semmai, potrebbero essere affidati dal Comune ad un privato.
Un conto, infatti, è se il castello rimane nelle mani del Comune che può controllare la gestione privata, essendo in una posizione di forza; altro conto è se il Castello finisce in mano di un privato, che per “graziosa concessione” ne potrà dare una parte in uso al Comune.
Perciò la soluzione che ritengo giusta per il Castello di Loro è: proprietà pubblica e gestione privata.
Benedettine
monastero e convento del Corpus Domini
1808 “Atto di avvocazione”
1810 provvedimento di soppressione e demaniazzione del complesso edilizio
1821.10.6 il convento è dotato di beni
1861-1866 provvedimento di soppressione e e demaniazione del complesso edilizio; le autorità
civili non prendono possesso del convento che continua ad ospitare religiose
1906.5.24 il complesso edilizio è acquistato da Enrico Mori, procuratore delle religiose
1913 il complesso edilizio è acquistato dalle religiose
A Ente ecclesiastico
B chiesa conventuale e convento
(M. COMPAGNUCCI, Le conseguenze urbanistiche delle soppressioni civili degli ordini religiosi attuate nella Provincia di Macerata nel corso del XIX secolo, Quodlibet, Fermo 2002, pp. 100 – 101.)
Credo che ci sia poco da aggiungere all’articolo dell’avv. Bommarito, mi limito quindi a fare solo qualche considerazione.
1 Che un immobile di interesse pubblico quando è venduto ad un privato è venduto e che nulla toglierà al privato di rivenderlo e stravenderlo a chi meglio offrirà, vista anche la esigua somma di cui si è a conoscenza, circa 4 milioni di euro, credo che un appartamento di 200mq in zona centrale a Roma o Milano possa superare questa cifra.
2 Che il vincolo di qualche decennio è nulla rispetto alla storia già millenaria del castello
3 Visto che dal 1600 ad oggi il castello si è mantenuto grazie ai finanziamenti pubblici, quindi soldi anche miei, nostri, dei nostri avi, la priora, nel malaugurato caso le riuscisse la vendita, dovrebbe restituire alla comunità i soldi + gli interessi dal 1600 ad oggi che sono stati spesi per il mantenimento del castello
4 Ho letto che il Cons. regionale Marangoni interverrà in Consiglio regionale su questo argomento. Mi auguro che i nostri ben pagati rappresentanti regionali intervengano uniti per evitare che il castello sia venduto
Pur mettendo sul piatto della bilancia la mia scarsissima erudizione, mi paiono francamente fuori luogo le continue citazioni del Sig.@bonifazi di atti, documenti e chiose varie che attesterebbero il possesso del Castello di Loro da parte della Curia di Fermo e la libertà della stessa di farne ciò che vuole.
Nella ricostruzione della vicenda, anche l’articolista lo ha affermato senza ombra di dubbio.
L’auspicio è che questa verità diventi l’assioma da cui partire, così il sig. @Bonifazi risparmia il tempo che dedica ( inutilmente a mio parere) allo spulcio di carte e documenti e magari ne trova per convenire sul fatto che oltre ad essere formalmente legittima, la decisione della Chiesa di vendere il castello di Loro ad un privato imprenditore non lo è da un punto di vista “etico” e civile.
Per quelli come me infatti, il problema consiste proprio nella decisione assunta quanto meno da parte della Diocesi ( e non certamenteda parte della Priora del convento), di fare “l’affare” e vendere ad un “cristiano” che sborsa parecchi denari, incassando in tal modo un cospicuo “malloppo” senza tanti complimenti.
Se sul piano della legittimità come è già emerso la questione non si pone ( almeno personalmente non mi sogno di entrarci anche perché mi interessa relativamente), sul piano morale, prima ancora che civile, si pone eccome: i Prìncipi della Chiesa (non credo neanche possa essere iniziativa solitaria del “pastore di anime” di Fermo ) e non i prìncipi di Wall Street, decidono la vendita milionaria di una donazione (di fatto), ricevuta a suo tempo dalla comunità lorese con motivazioni caritatevoli e religiose, per farne oggi “utile profitto”.
Nessuno potrà “spostare” il castello da Loro Piceno, tuttavia si converrà sul fatto che si tratta di un vero e proprio “esproprio” perpetrato ai danni di quella comunità da parte di un soggetto i cui comportamenti dovrebbe essere improntati ad esempio di rettitudine morale, carità, tolleranza, correttezza e trasparenza ( oltre che riconoscenza verso i suoi benefattori).
Io abito a Tolentino e pur non essendo religioso “vivo” il complesso monumentale della Basilica di San Nicola come un pezzo di arte, cultura,storia oltre che luogo di professione religiosa, che identifica ampiamente il mio stesso appartenere alla comunità tolentinate: se i “frati” decidessero di alienare anche solo un pezzo di quel complesso ( non dico la Basilica ovviamente, ma che so…un pezzo del monastero interno) mi sentirei obiettivamente “espropriato” di un qualcosa che “sento” appartenere nella sua interezza anche a me ( anche perché su manutenzioni e sistemi di sicurezza il Comune ci investe molto-e dico doverosamente, visto “anche” il ritorno turistico).
Sul piano meramente civile ( non civilista) volendo si può partire da un altro assioma: lo Stato del Vaticano ha confini interamente costituiti dalle mura vaticane in Roma. Non va oltre e, ove i suoi “prìncipi e pastori” sparsi per il mondo ritengano necessario alienare pezzi di patrimonio storico-culturale mi pare più che opportuno che ne discutano “preventivamente” con la comunità locale e le Istituzioni Pubbliche interessate ( tra l’altro, domandiamoci se oggi avrebbero potuto farlo o solo pensare di farlo alla maniera di Loro Piceno-Italia in un qualsiasi altro Paese occidentale?).
Se nel caso di Loro Piceno ciò non è stato fatto bisogna dire con chiarezza che è un errore inaccettabile che grava in primo luogo nella responsabilità di chi ha preso la decisione di vendere e procedere in un certo modo. Dunque, oltre a ritenere doveroso denunciarlo e stigmatizzarlo, penso che bisogna fare di tutto per porvi riparo.
Sulla proprietà a mio avviso non possono esservi dubbi sul fatto che la Chiesa, terminate le condizioni che ne motivarono la cessione/donazione ( ospitare un monastero) debba correttamente “restituire” il Castello alla comunità di Loro Piceno ad un prezzo altrettanto simbolico di quando lo ha ricevuto in donazione.
Su come “risolvere” il successivo problema gestionale ognuno può sbizzarrirsi come crede: personalmente ritengo che una Fondazione possa rispondere a molti degli interessi in campo ( ma questo è un’altro argomento).
Ho visto preti e privati vendere o demolire Chiese, li ho visti anche morire ( sapete no che non si possono prendere nemmeno le “sfasciature” di una CHiesa), ho visto persone che difendono la CHiesa edificio e denigrano la CHiesa Corpo di Cristo, ho visto persone stitiche o che la fanno, ma ciò che non ho visto è il 97,63 percento dei Loresi a cui, per conoscenza quasi diretta, francamente non importa niente, importa solo che rimanga in uso la splendida Chiesa da dove parte la Processione del Corpus Domini e dove nel punto più alto di Loro Piceno campeggia, anzi volteggia nella sua immanenza lo Spirito Santo a cui chiediamo di “mentes suorum visitare”.
Se, come è stato affermato in un recente commento, al 97,66% dei Loresi non importa nulla della vendita del Castello, ciò potrebbe essere la conferma che la terribile crisi che ci sta vessando, prima di essere economica, è morale, sociale e culturale.
A mio avviso, la responsabilità maggiore del disinteresse dei Loresi per la questione della vendita del Castello andrebbe attribuita, invece, a chi non li ha informati e formati sul valore del bene che potrebbero perdere, a chi non li ha resi, pertanto, CITTADINI curiosi di conoscere la storia dei loro padri, delle loro decisioni e delle loro realizzazioni (il cui frutto migliore è sicuramente il Castello), CITTADINI capaci di fare scelte responsabili.
Quanti a Loro Piceno sanno ciò è avvenuto dentro e intorno al Castello dalle sue origini ad oggi? A chi spetta il compito di diffonderlo in mezzo alla gente? Chi avrebbe dovuto attivare un vero e proprio processo di cittadinanza per suscitare la consapevolezza del valore civico del Castello magari anche attraverso incontri con la popolazione, convegni, tavole rotonde aperte ad una discussione democratica?
Chi avrebbe dovuto fare una crociata (come quella di Montegiorgio per il Convento delle Clarisse) per salvaguardare il Monastero? Perché le istituzioni locali, sia laica che religiosa, e le associazioni intermedie non hanno organizzato e stimolato l’opinione pubblica per arrivare ad una presa di posizione capace di proporre finalità da raggiungere?
Dobbiamo pensare che tutto ciò non è stato fatto perché un “gruppo sparuto” di persone ha deciso “per tempo” e “per tutti” le sorti del Castello?
Quanto poi alla splendida Chiesa del Corpus Domini, mi spiace dare la notizia, come membro del comitato, che anche essa sarà successivamente inserita nel Progetto di vendita: lo ha annunciato l’Arcivescovo di Fermo al Comitato nell’incontro del 31 gennaio 2012; lo ha confermato successivamente al Comitato uno dei due Parroci loresi nel colloquio del 5 marzo 2012.
Quali menti dovrebbe, a questo punto, visitare per prime lo Spirito Santo, per infondere la sua luce?
Davvero pensate che vendere il castello sia la migliore ed unica soluzione? Mi unisco a tutti coloro che difendono questo meraviglioso bene, dal valore inestimabile, appongiando pienamente le loro cause. Spero di veder vinta questa battaglia, prima o poi, a favore di chi difende la storia e la cultura del luogo in cui vive.
Ricordiamoci che non siamo fatti di sola carne… ma anche di affetti, ricordi, luoghi e monumenti… è il simbolo di una città quello di cui stiamo parlando. Non un appartamentino di cinquanta metri quadri.
De Mattia ha dato un bellissimo spunto su cui ragionare. Intanto non credo che debbano solo essere i cittadini di Loro Piceno a dover esprimere un parere sulla vendita del castello, io non sono residente a Loro ma considero il castello un bene culturale di tutti….allora perchè non ci vendiamo un’isola della Sardegna? Un’isola di fronte a Venezia o Venezia stessa??? Così faremo cassa e potremo pagare il debito pubblico!! Non credo che questa sia la strada che ci ridarà la possibilità di sopravvivere, più ci allontaneremo dalle nostre radici, dal nostro passato, addirittura rinnegandolo, meno avremo una visione chiara per progettare il futuro. La cultura e i beni culturali sono la nostra vera materia prima, in assoluta abbondanza e senza tanta concorrenza in giro per il mondo…abbiamo solo bisogno di gente capace di uscire da certe logiche.
Leggendo l’articolo di Giuseppe Bommarito e i vari commenti sottostanti, mi sono fatta un’idea delle possibilità che il Comune di Loro Piceno aveva e potrebbe avere ancora, se lo volesse, di agire affinché il Castello torni ad essere patrimonio pubblico, come dichiarato nella mozione del Consiglio Comunale aperto dell’11 maggio 2011.
Come cittadina lorese auspico, pertanto, che la nostra Amministrazione si attivi al più presto per:
– Chiedere, di comune accordo con la Regione e la Provincia, in modo formale, la donazione del castello da parte dell’Ente ecclesiastico e del Vescovo al Comune di Loro Piceno, o una vendita ad un prezzo simbolico.
– Appoggiare la mozione del Consigliere Regionale Marangoni presentata in questi giorni e darle seguito, prendendo l’iniziativa di avviare colloqui con tutti gli enti interessati al fine di trovare, con sinergia di intenti, una soluzione adeguata all’importanza del monumento, nell’interesse della comunità lorese.
– Insieme alla Regione e alla Provincia, prendere l’iniziativa per ottenere dal Ministero competente la conferma o per rinnovare l’attribuzione della qualifica di “monumento nazionale”.
In sintesi, ritengo che occorra prodigarsi in ogni modo per l’acquisizione del castello, senza trincerarsi dietro le difficoltà della manutenzione: il Castello è una enorme risorsa di per sé, che va solo valorizzata con una intelligente e creativa gestione pubblica o anche privata.
Il castello di Loro Piceno è un bene culturale di notevolissimo valore storico, non solo locale ma anche regionale e nazionale. E’ un bene comune che non è etico diventi privato sia perché è documento di storia collettiva, ed in quanto tale deve essere aperto ed interamente fruibile ed accessibile a tutti, sia perché è il risultato del lavoro e degli investimenti della comunità (e non di qualche famiglia o soggetto privato) antica e recente: molto opportunamente infatti, la dirigente regionale, nell’esprimere parere negativo alla sua privatizzazione, richiama le somme cospicue investite negli ultimi anni dalla Regione Marche. Non si può pensare che per uscire dalle attuali difficoltà economiche gli enti locali svendano anche i monumenti. Piuttosto si tratterebbe di cambiare l’approccio culturale e politico e studiare insieme -cittadini ed amministratori- il modo per valorizzare e trasformare in opportunità tale straordinario Castello-Monastero: e gli esempi (oltre che le risorse) si trovano.
Olimpia Gobbi
Forum per la Terra e il Paesaggio delle Marche
Tra tesi e antitesi, dalla lettura dell’articolo in giù ,fino all’ultimo contributo sopra, per me questo è stato uno dei pochi dibattiti avvincenti e costruttivi.,che davanti la facciata economica della discussione ha rivelato un carattere e un coinvolgimento -finalmente e a pieno titolo- culturale: evviva!
Mi complimento specialmente con gli intervenuti loresi che ,accidenti…con la loro scrittura chiara e di spessore ,anche su posizioni opposte, hanno dimostrato tutti di essere veramente parte di quella storia cresciuta intorno al loro complesso monumentale. Lo sentono ,chi per un verso chi per l’altro. e si sente.
È storia che il Castello di Loro Piceno è stato in passato BENE PUBBLICO, in quanto SEDE DEL MUNICIPIO dalla formazione della prima comunità paesana (1299) fino al termine del secolo XVII, quando una parte di esso venne concessa dal Parlamento lorese come abitazione delle monache domenicane. Vari utilizzi di carattere civico continuarono in seguito a permanere al suo interno (nonostante la presenza del Monastero) per quasi tutto il secolo XVIII, fino alla graduale e definitiva installazione dell’autorità amministrativa nell’attuale palazzo municipale, avvenuta nel 1870.
Nonostante la formale intestazione del bene all’ente ecclesiastico che ne è proprietario da 106 anni, si può a ragione affermare che IL CASTELLO È GIÀ BENE PUBBLICO, perché il bene è stato REALIZZATO e MANTENUTO NEL TEMPO con fondi della comunità locale e pubblici.
Anche nel recente parere negativo alla vendita della Regione Marche si legge che per i lavori di riparazione danni e miglioramento sismico, ultimati nel 2004, l’immobile “ha usufruito di un finanziamento equiparato a quello dei BENI CULTURALI PUBBLICI” (art. 42, comma 3 della Legge Regionale 7/1999).
Ora sarebbe veramente assurdo che un BENE PUBBLICO venisse venduto da soggetto privato ad altro soggetto privato, con la conseguenza che il primo acquisisce un vantaggio non meritato, il secondo acquisisce un bene, che è pubblico, per destinarlo, nella gran parte, ad una propria privata utilità, mentre la comunità lorese ed i soggetti pubblici che hanno erogato i finanziamenti si vedono privati di un bene che rappresenta la storia del paese.
Possiamo illuderci che il vescovo, che ha già venduto il monastero di Macerata, possa acconsentire ad un atto di carità verso il Comune , quindi per i loresi , o a conferire gratuitamente il Castello ad una fondazione? Se la carità, magari con la promessa del paradiso, la fai al clero è ben accetta ma se la devono fare loro……… sotto i denti, trattandosi oltretutto di svariati milioni di euro!
Spero che almeno dicano una messa , per la carità fatta a suo tempo, al Mori nella chiesa del Corpus Domini prima che venga venduta pure essa.
Un bel ricordo! Quando ero un ragazzino, in estate veniva un padre domenicano per gli esrcizi spirituali delle monache, in tale occasione un pomeriggio era dedicato al rifornimento di patate per le suore. Il contadino lasciava le patate vicino alla fonte delle monache, il padre domenicano radunava i ragazzi che giocavano nel girone e faceva trasportare le patate in convento. Per premio c’era la visita del torrione di sud-ovest attraversando il corridoio sul quale si affacciavano le porte delle celle delle monache. Che emozione andare in un luogo che era vietato al pubblico. Per le suore anche noi ragazzi abbiamo, gratuitamente, lavorato e sudato!
Vorrei fare i miei complimenti all’Avv. Bommarito per i suoi preziosi e utili interventi verso i molteplici e direi oramai, all’ordine del giorno DISASTRI AMBIENTALI,PAESAGGISTICI,ECC.ECC. che l’Amministrazione Comunale riesce a collezionare. Vorrei rivolgermi alla famiglia Sorbatti-Mosiewicz dicendo loro che i cittadini Loresi avrebbero preferito essere partecipi fin dall’inizio alle trattative di un bene che ritengo debba appartenere a tutti noi ma come sempre il Dio Denaro vi orienta verso scelte impopolari; sono certo che insieme si sarebbe raggiunto un accordo ma ancora una volta la nostra Amministrazione Comunale che pecca di superbia incappa in errori le cui conseguenze ricadranno sulle spalle dei cittadini loresi.
Con tutto il rispetto dei cittadini loresi che vogliono cogliere l’occasione politica per “stigmatizzare” le eventuali lacune dell’Amministrazione comunale di Loro Piceno, ma veramente pensiamo che la questione possa stare in mano all’Amministrazione locale? Cioè, si pensa realmente che il Vescovo o il Vaticano non abbiano già concordato “l’affare” con gli acquirenti ed avviato le relative procedure?
Personalmente continuo a pensare che le responsabilità di ciò che sta accadendo ricadono al 90% sulla Diocesi ( e sui Prìncipi del Vaticano-non dimentichiamoci che si parla di un affare milionario) la quale ha deciso di trarre un profitto da un bene pubblico “donato” dalla collettività lorese per un preciso scopo.
Se permettete in primo luogo va stigmatizzato un comportamento scorretto ed arrogante, in definitiva da autentici predatori, tanto più grave in quanto perpetrato da una istituzione morale e religiosa che dovrebbe essere di esempio completamente opposto.
Ma ho l’impressione che per talune persone certe “sfere” non siano giudicabili “a prescindere” .
Chi caccerà i “mercanti dal Tempio”?
Caro saben non sto facendo una critica politica è solo la realtà dei fatti, per combattere comportamenti arroganti e scorretti c’è bisogno di amministratori capaci di dialogare e non di prendere per il c…. i cittadini; se questo significa amministrare un Comune spero che Monti tolga anche le Amministrazioni Comunali Inutili/dannose
Egregio Sig. @rocco,
cosa pensa dell’Amministrazione è chiaro a tutti, immagino ( almeno per me lo é); liberissimo di ribadirlo quando e come meglio crede. Io sono altrettanti libero di pensare che la discussione sul castello “in vendita” per lei sia “anche” l’occasione di esprimere un giudizio politico sull’attuale amministrazione “a prescindere” dalle responsabilità oggettive di chi ha assunto la decisione. La Sua è una posizione del tutto legittima, sia chiaro; è solo una constatazione e non una critica.
Ecco, sarei pure curioso di conoscere la Sua opinione rispetto ai quei “santi” che hanno deciso di vendere il vostro castello che generosamente i vostri avi avevano donato allo scopo di tenerci funzionante un monastero.
Innanzitutto voglio precisare che sono sempre più convinta che il “Castello-Monastero” non debba essere privatizzato e che non siano state mese in atto le strategie adeguate a raggiungere tale .scopo. Penso che, nel profondo del cuore, la maggioranza dei Loresi consideri questo bene un elemento fortemente identificativo di cui andare fieri. E’ utile e necessario prendere posizione e manifestare questo pensiero!
E pur vero che nessuno porterà via le pietre che erigono il “Castello-Monastero” sulle quali è scritta la nostra storia, ma non saremo certamente noi i protagonisti di quella futura.
Dieci anni fa (9 luglio 2002), il più importante quotidiano tedesco (la “Frankfurter Allgemeine Zeitung”) ebbe a dire di noi Italiani:
“Oggi l’eredità culturale dell’Italia è degradata a mero valore economico, a una risorsa di cui ci si può disfare a piacimento. Ma non c’è nulla che dia la misura dello stato di salute di una società quanto il rapporto che essa riesce ad avere coi propri monumenti e con il proprio paesaggio”.
La stoccata è veramente forte!
Sono una lorese trapiantata a Fermo e sono molto dispiaciuta della notizia della vendita del castello. Ho passato la mia nfanzia in questo luogo pieno di fascino e di mistero, le suore ci hanno insegnato le preghiere e il ricamo, tutto il paese e la campagna intorno ha spesso aiutato le suore nei momenti di difficoltà portando loro beni di prima necessità e non solo e loro ci hanno raccontato tante storie di “Sante” che lì si sono formate, quanti corredi ci hanno ricamato?? Mons. Don Rolando Di Mattia (i loresi sanno bene chi è) aveva già da tempo capito le intenzioni delle suore di vendere e spesso le incitava a non dare via un bene così prezioso per tutto il territorio lorese. Come è concepibile che in questo momento storico delle suore abbiano pù a cuore i soldi piuttosto che il “Corpus Domini”???? Che il SIgnore le illumini a percorrere una via più giusta e a dare esempio di fede e speranza.
Sento anche io il bisogno (come Maria Teresa che mi ha preceduto) di sottolineare lo spessore ecclesiale e culturale di una figura significativa di Loro Piceno: l’ex parroco Don Rolando Di Mattia, scomparso nel gennaio 2011, pochi mesi dopo la data di avvio del procedimento di alienazione.
Voglio far riferimento a lui come pastore e stimato professore, che, per quanto a mia conoscenza, si è sempre adoperato contro la privatizzazione del Castello, a difesa del Monastero, che egli considerava patrimonio della comunità lorese. Tutto questo è ben noto ai Loresi e alla stessa Curia fermana.
L’8 gennaio 2012 è stato celebrato il primo anniversario della sua morte, alla presenza anche dell’Arcivescovo di Fermo.
Ritengo che non basti ricordare una persona con fiumi di parole. Tenere desta la memoria di qualcuno è raccoglierne l’eredità spirituale, camminare nel solco della sua esperienza terrena, seguitando a praticare e a sostenere i valori e le idee in cui ha creduto, le scelte che ha perseguito.
Per dare un esempio di coerenza e di attaccamento alla comunità, Don Rolando nel suo testamento ha voluto lasciare quanto possedeva ai Loresi, in particolare il dono della sua ricchissima biblioteca.
Ringrazio Tamara Moroni per il suo intervento, che ha ha incentrato sulle molteplici possibilità di valorizzazione del Castello, una volta che sia diventato pubblico; mi piace evidenziare la semplice ma significativa frase “Da molti a tutti, contro, uno a molti”
Aloisia Lavini
Signora Lavini,
ben lieta di avere dato un piccolo contributo. Come è stato dimostrato da tanta partecipazione a questo dibattito, la battaglia che state portando avanti non è solo vostra, solleva, per così dire, obiezioni di coscienza civica per tanti cittadini anche fuori dai confini di Loro Piceno.
L’intervento di Romano Mochi sulle patate delle monache (grazie, Romano, per il tuo splendido flashback!) ha risvegliato le mappe sensitive dei miei ricordi d’infanzia.
La porta della mia piccola casa guardava in alto, solo a qualche metro di distanza, il portone d’ingresso del Monastero.
I miei giochi si svolgevano quotidianamente nella piazzetta di S. Liberato, sottostante al Castello, dove si affacciavano le stanze di tessitura delle monache, ed erano animati dal rumore assordante dei telai, quando erano accesi, e dal suono delle campane del chiostro che scandivano i ritmi giornalieri di preghiera.
Nello spiazzo dove giocavo si trovava il forno a legna di mia nonna Argia, fornaia del paese, che cuoceva anche il pane e i dolci per le monache: le “pastarelle” e i famosi “funghetti”, che erano a prova di denti.
Le mie salite al Castello erano pressoché quotidiane, mirate alla richiesta dei ritagli delle ostie che le monache preparavano per il fabbisogno delle Chiese.
Se poi capitava di avere in dono anche un funghetto da sgranocchiare, la gioia era immensa. Ho ancora negli occhi il sorriso di Suor Maria Francesca quando me li dava.
Quando eravamo bambini avevamo una stanza tutta per noi, che era chiamata la “stanza dei giochi”. Noi ci trascorrevamo tutto il pomeriggio, ma qualche volta veniva nostro padre e ci diceva: “Andiamo a fare una passeggiata che il tempo è bello?”.
Noi bambini, felici, lo seguivamo e andavamo quasi sempre a fermarci nel piazzale di San Liberato, dove c’era un forno a legna e una panchina vicino alla sua porta d’ingresso. Ci sedevamo lì e guardavamo in alto il castello di fronte, dove le cornacchie avevano fatto il nido. Esse andavano e venivano e noi, incantati, le seguivamo con lo sguardo.
Il castello ospitava questi uccelli, ma anche noi, che ci sentivamo parte di lui, perciò nel salutarlo ci lasciavamo il cuore.
Perché il castello è nostro, soltanto nostro.
Cara Iole,
vorrei solo aggiungere che “nostro” è il Castello come “nostre” sono le Monache.
Nutro grande rispetto per l’Ordine Domenicano che ha dato molto a Loro Piceno.
Vorrei testimoniare, sulla base della mia esperienza, che costanti e feconde sono state l’interazione e l’integrazione tra le Monache e i Loresi, tanto che potrei definire quasi simbiotico il rapporto tra le due comunità.
Le Monache hanno protetto i Loresi con la loro preghiera e spesso provveduto al loro sostegno morale; ogni Lorese ha ricambiato come ha potuto.
Tra le tante glorie passate del Monastero, vi è quella di aver attivato un primo educandato per le giovani di buona famiglia, che dalla metà del Settecento è perdurato fino a circa il 1880 (Cicconi, Il Monastero delle Domenicane in Loro Piceno, 1936).
In epoche successive, il Convento, pur essendo di stretta clausura pontificia, si è aperto in determinati periodi per accogliere ragazze di qualsiasi estrazione sociale. Le monache davano loro una adeguata formazione religiosa e una solida preparazione professionale, insegnando alle ragazze l’arte del cucito e del ricamo. Le Domenicane hanno educato generazioni e generazioni di fanciulle loresi, diventate poi madri di famiglia, che hanno esercitato nella quotidianità, e non solo, quanto avevano appreso in quella scuola.
Anche i Frati Domenicani hanno svolto una preziosa azione formativa sulla popolazione.
Ogniqualvolta uno di loro veniva al Castello per gli esercizi spirituali delle monache, noi adolescenti, affascinati da queste bianche figure, ma ancor più assetati di sapere, correvamo su a dialogare con loro per ore e ore, o in parlatorio e sulle panchine del vicino Girone.
Come me hanno fatto tante altre persone del paese. Erano incontri di spiritualità ma anche di cultura. Li ricordo ancora tutti: padre Hering, padre Toccafondi, padre Cinelli, padre Casagrande, padre Gnudi … Qualcuno di loro era anche poeta ed io ne conservo ancora i versi, come conservo tuttora il frutto dei lunghi scambi epistolari avuti con loro.
Erano padri di grande preparazione teologico-spirituale e culturale, che hanno segnato la giovinezza di numerosi Loresi.
Tra i Domenicani, mi è grato ricordare in modo particolare il lorese Padre Giuseppe Mastrocola, grande benefattore delle Monache.
Comunque la si pensi, la nascita di un Comitato che dibattesse sulla questione Castello ha avuto il merito di rompere finalmente il muro di indifferenza che ha contrassegnato storicamente un bene simbolo straordinario, non solo per i cittadini de Loro Piceno.
In effetti è stata proprio l’indifferenza generale causa e presupposto degli atti di vero e proprio vandalismo ambientale che sono stati consumati almeno dagli anni ’50 del secolo scorso. Fu fatto il possibile per oscurare la vista del Castello; ora è come circondato, con edificazioni e cementificazioni assolutamente inappropriate e inutili.
Forze politiche, anche trasversali, cercarono, a suo tempo, di porre un argine ai guasti e al degrado; il defunto Msi Lorese parlava senza mezzi termini di un “pugno nell’occhio”.
Ma in generale tutte le opposizioni, senza il supporto di una opinione pubblica vigile, si rivelarono deboli e isolate, comunque sterili e inefficaci.
Ma oggi non è più tempo di recriminare; la ventilata vendita del Castello di Loro Piceno rischia di diventare l’atto finale di una lunga serie di inadempienze e di errori.
Credo che, d’acchito, alla iniziale ipotesi di privatizzazione abbia corrisposto, quasi istintivamente, nella maggioranza dei loresi, un sentimento di privazione, come quello di chi, non essendosi mai “accorto” della propria ottima salute, veda prospettarsi, d’improvviso, una possibile menomazione.
L’eventuale alienazione sarebbe inevitabilmente vissuta come un vincolo affettivo interrotto, il disconoscimento dell’identità storica tra Loro Piceno e il Castello.
Non sono un discussione, naturalmente, né il diritto dei privati ad acquisire beni e a gestire come meglio credono le loro attività; né quello di monaci e suore di esprimere e vivere secondo coscienza i propri sentimenti religiosi.
Detto con rispetto: i vari ordini monastici hanno avuto meriti straordinari, inestimabili, per la costruzione, manutenzione e difesa di Abbazie, Chiese, Chiostri, Monasteri, dove anche oggi svolgono le loro attività e pratiche religiose, garantendo e promovendo, nel contempo, l’accesso a visitatori e turisti nei luoghi di culto con riconosciuto valore artistico.
Castello e Clausura mal si conciliano secondo un comune buon senso, lo stesso che dovrebbe consentire, al punto in cui si è arrivati, un atto di generosità, peraltro non necessariamente gratuito.
Una generosità non piovuta dal cielo, ma ben giustificata e motivata, come autorevolmente è stato evidenziato nel commento dall’avvocato maceratese Bommarito, dalla “notifica di Monumento Nazionale (del Castello Lorese), avvenuta nel 1938”, e dagli ingentissimi finanziamenti pubblici erogati nell’ultimo secolo e sino ai nostri giorni”.
Cecchi Peppino
La visione al tramonto delle mura occidentali e delle torri del castello Brunforte penso sia l’immagine del cuore di ogni Lorese residente o no. I raggi morenti del sole rendono l’intero complesso ancora più bello ed evocativo.
Io lorese, trapiantata nel Veneto, non l’ho dimenticata, anzi mi inorgoglisce e rinforza nel profondo la mia identità paesana e la mia volontà di comunicare il mio netto e totale dissenso riguardo all’ipotesi della vendita del castello.
Il solo erroneo miraggio, purtroppo diffuso, che i denari di un solo imprenditore, potenziale acquirente dell’immobile, possano essere la spinta della auspicabile e futura ripresa del centro storico, non può e non deve privare i miei concittadini del loro ideale simbolo comunitario ed ulteriore segno della loro antica storia, davvero unico lascito patrimoniale dei nostri ascendenti.
Per denaro non si può vendere l’anima di un paese, pertanto rinnovo il mio appassionato invito alle istituzioni locali, sia religiosa che civica, a contrastare con ogni mezzo (giuridico, politico, riservato o pubblico), tale progetto di vendita.
Preso atto della debolezza dell’ente pubblico in generale, nelle sue varie articolazioni, specialmente in questo frangente storico, l’alienazione di tale immenso bene costituirebbe l’inarrestabile declino della piccola e tanto amata società lorese.
Mi rivolgo all’avv.Bommarito, che ringrazio per la sua preziosa opera di risveglio delle coscenze, occorrerebbero cento Bommarito per svegliarci tutti!
Se esiste questa notifica di proclamazione a “monumento di interesse nazionale”, facciamola valere esercitando il diritto di prelazione. Intanto potremo fermare questa scellerata vendita, poi ragioneremo sul reperimento dei fondi e della successiva gestione.
Sollecitiamo anche l’interessamento dell’assessore regionale alla cultura Marcolini, che parla della valorizzazione dei nostri beni culturali, come la “new economy” per gli anni a venire. Vediamo se alle parole seguiranno fatti concret. Ma facciamo presto, prima che il nuovo feudatario si insedi a castello, con il beneplacido dei suoi vassalli. Saluti
DEDICATO AI LORESI CHE HANNO DATO VITA E SOSTENUTO I TRE COMITATI CIVICI
SORTI NEL COMUNE NEL 2011-2012
(contro la vendita del castello Brunforte, i pannelli solari, la centrale a biogas)
“Indignarsi non basta. Contro l’indifferenza che uccide la democrazia, contro la tirannia antipolitica dei mercati dobbiamo rilanciare l’ETICA DELLA CITTADINANZA. Puntare su mete necessarie: giustizia sociale, tutela dell’ambiente, priorità del bene comune sul profitto del singolo. Far leva sui BENI COMUNI come garanzia delle libertà pubbliche e dei diritti civili. Recuperare spirito comunitario, sapere che non vi sono diritti senza doveri, pensare anche in nome delle generazioni future.
AMBIENTE, PATRIMONIO CULTURALE, SALUTE, RICERCA, EDUCAZIONE incarnano valori di cui la Costituzione è il manifesto: libertà, eguaglianza, diritto al lavoro.
LA COMUNITÀ DEI CITTADINI è fonte delle leggi e titolare dei diritti. DEVE RIGUADAGNARE SOVRANITÀ cercando nei MOVIMENTI CIVICI il meccanismo-base della democrazia, il serbatoio delle idee per una nuova agenda della politica. Dare nuova legittimazione alla democrazia rappresentativa FACENDO ESPLODERE LE CONTRADDIZIONI FRA I DIRITTI COSTITUZIONALI E LE PRATICHE DI GOVERNO CHE LI CALPESTANO IN OBBEDIENZA AI MERCATI.
Ricreare la cultura che muove le norme, ripristina la legalità, progetta il futuro.
Serve oggi una nuova consapevolezza, una nuova responsabilità. Una FORTE AZIONE POPOLARE in difesa del bene comune”.
(da: Salvatore Settis, Azione popolare, 2012)
Conosco Marcolini dai tempi dell’università (anni ’70),ero molto colpita dalla sua capacità di sostenere e argomentare le idee alle quali credeva fermamente;quindi voglio anch’io sollecitarlo insieme con obiwankenobi ad interessarsi e spendersi per questa giusta causa:il castello deve rimanere pubblico!
Voglio rimarcare ancora, come già fatto anche da altri, che sarebbe auspicabile che il castello tornasse di totale proprietà pubblica e che questo atto andrebbe a beneficio di tutti gli attori che ruotano attorno alla vicenda….
della serie: nessuno perderebbe la faccia. Così, turisti e cittadini, oltre a poter fruire delle bellezze del castello, oggi non accessibile nella sua totalità perchè vigente il monastero, avrebbero la prova che la buona politica esiste insieme ad una ben riposta fede.
mi sento di appoggiare la campagna per il castello di Loro ai loresi …..
il futuro ha radici antiche .. cerchiamo di non dimenticarlo!