La penultima notizia sul pallottoliere della politica nostrana è che il commercialista Francesco Pallotta è il nuovo presidente dell’Apm, l’azienda pubblica che a mano a mano è diventata la madre di tutte le battaglie. Ma l’ultima è che il pallottoliere potrebbe andare in tilt perché lui sarebbe incompatibile a causa di certi incarichi ricevuti in precedenza. S’infittiscono dunque i segnali – di fumo e di fuoco, diretti e indiretti, positivi e negativi – sull’estenuata ed estenuante verifica che dopo quattro indecifrabili mesi parrebbe vicina a concludersi. O invece continua? O invece cambierà nome e non finirà mai? Mistero. Nel frattempo preferisco tacere. Stavolta niente Pd, niente Idv, niente Pensare Macerata, niente Comunisti italiani, niente Carancini, Mandrelli, Bianchini, Garufi e Lattanzi. Perché a tutto c’è un limite e un semplice spettatore delle cose cittadine quale io sono non può mettere a repentaglio la propria salute mentale nell’impossibile tentativo di dare una logica virtuosa alle strategie, alle tattiche, alle finzioni, ai giochi di corridoio, alle intese trasversali, agli errori e alle trappole che da troppo tempo offrono della politica maceratese un’immagine ahimè sconsolante. Molto meglio, credetemi, occuparsi di altre vicende.
Per esempio la morte delle cinque operaie tessili che a Barletta lavoravano in nero – meno di quattro euro all’ora – in un laboratorio fatiscente e semiclandestino. Ebbene, si narra che l’origine della “Giornata mondiale della donna” in programma per l’otto marzo stia nell’atroce fine di 129 operaie, anch’esse tessili, bruciate vive, nel 1908, a New York, in un incendio forse appiccato dallo stesso datore di lavoro per punirle di aver protestato contro le condizioni in cui si trovava il loro laboratorio. Quante affinità! Perciò esprimo l’auspicio che da noi s’intensifichino e divengano sempre più severi i controlli sul “sommerso” e sul “nero” (rendendo noti nomi e cognomi, anche se non sono cinesi, albanesi o romeni) e che il prossimo otto marzo le nostre mimose rechino un pensiero per le povere vittime di Barletta.
Una seconda vicenda ci riguarda più da vicino. E si tratta dell’incredibile dichiarazione di Angiolino Alfano, fino all’altro ieri ministro della giustizia, in merito alla sentenza di assoluzione di Amanda Nox e Raffaele Sollecito che in primo grado erano stati condannati a 26 e 25 anni di carcere per l’assassinio di Meredith Kercher. Alfano ha detto: “Questa sentenza dimostra che in Italia nessuno paga per gli errori giudiziari”. Secondo lui, dunque, la sentenza di condanna era stata un errore giudiziario che ora dovrebbe essere pagato – risarcimento danni in moneta sonante? – dai giudici di primo grado. Una tesi ben nota, questa, che dura ormai da diciassette anni, da quando, cioè, un certo signore iniziò la sua personalissima guerra contro la magistratura. Ma quale errore giudiziario? Ci sarebbe dunque un errore giudiziario ogni volta che nei tre gradi del processo una sentenza diverge dalla sentenza precedente? Ignora forse, l’ex ministro della giustizia, che la categoria degli errori giudiziari si riferisce a ipotesi radicalmente diverse, per esempio che qualcuno venga condannato per omicidio senza che sia mai stato trovato il cadavere della vittima, la quale, al contrario, risulta viva e vegeta?
La buona politica – e Alfano pretende di esserne un autorevole esponente nella sua qualità di segretario di un grande partito – deve porsi alla guida della società e non, per calcoli di bottega o di basso populismo, ridursi al servizio delle emozioni e delle reazioni viscerali delle masse. Si rende conto, l’ineffabile Alfano, di avere espresso un concetto che mina alle radici la funzione stessa della giustizia penale e dunque destabilizza uno dei fondamenti della convivenza civile? Non capisce – o lo capisce benissimo – che con tali affermazioni si contribuisce a far vacillare l’edificio di principi e di regole sul quale si regge la collettività nazionale?
Non è con simili uscite che si aiuta la cosiddetta gente comune a comprendere che la giustizia terrena non può pretendere di accertare la verità assoluta – questo rientra nelle imperscrutabili prerogative divine – ma deve accontentarsi di giungere a quella verità relativa che faticosamente e dialetticamente emerge dagli indizi, dalle testimonianze, dai rilievi scientifici e dal continuo confronto fra accusa e difesa. Non è con simili uscite che la si aiuta a comprendere che valutare, interpretare e decidere tocca infine ad esseri umani, fallibili per loro natura, e non a creature dell’Olimpo o del Paradiso. I tre gradi di giudizio esistono proprio per questo. Nessun giudice può sapere ciò che davvero accadde la notte del 7 novembre 2007 in quella cameretta di Perugia. E nessuno di noi, Alfano compreso, può avere la matematica certezza che tutto il materiale investigativo raccolto non dimostrasse, ieri, la colpevolezza di Amanda e Raffaele o che dimostri, oggi, la loro innocenza. Per questo, ripeto, esistono i tre gradi di giudizio: garantire che la verità relativa si avvicini il più possibile alla verità assoluta. E se la Cassazione, domani, decidesse che il processo di merito va rifatto? Sarebbe, per Alfano, un altro errore giudiziario?
I veleni che da quasi vent’anni vengono inoculati a dosi massicce nelle coscienze dei cittadini all’unico scopo di proteggere una sola persona stanno facendo strame di quel minimo di sensibilità o cultura giuridica (non parlo dei professionisti del diritto, ma di noi plasmabili e disorientabili cittadini) che è vitale per la saldezza di qualsiasi società. I veleni, intendo dire, per cui la giustizia, manipolata dai giudici a loro uso e consumo, sarebbe una specie di roulette al tavolo dell’insipienza o della malafede, e ciascuno di noi, specie se indotto a ignorare le più elementari nozioni del diritto, è autorizzato a farsene un’idea secondo i propri umori o i propri interessi personali, di categoria, di appartenenza politica. Berlusconi, prima o poi, se ne andrà. Ma questi veleni circoleranno ancora a lungo. A destra, a sinistra, al centro, dovunque. E, spentasi ogni stella polare che distingua le ragioni dai torti, ci stanno facendo naufragare nel caos degli egoismi individuali, delle fazioni, delle consorterie e delle sopraffazioni che inevitabilmente ne derivano.
Veniamo a noi. Non rientrava nel novero di questi veleni affermare che la limpidissima sentenza del Consiglio di Stato sull’annullamento delle elezioni provinciali era frutto di giudici strumentalizzati dalla sinistra? E non vi rientra sostenere che l’applicazione di non eludibili norme statali sulla sosta delle auto sarebbe una “vessazione” da parte della giunta comunale? E qualcosa del genere serpeggia pure nella recente mozione di censura al sindaco, dove si fa confusione fra illecito amministrativo o addirittura reato e inopportunità etico-politica (delle due l’una: se è illecito amministrativo o, peggio, reato la semplice inopportunità c’entra poco, se non lo è ci si astenga dal ventilare ricorsi al Tar o alla Procura). Attenzione: anche per effetto di tali veleni e al di là dell’indice di borsa, delle pagelle di Moody’s e dello “spread” coi titoli tedeschi, l’Italia rischia, proprio nel profondo dell’anima sua, di somigliare alla dantesca “nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie ma bordello”.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
Grande come sempre il dr. Liuti nel cercare di risvegliare il desiderio di bella e buona politica da parte della gente.
Con l’occasione mi piace sottoporvi un articolo apparso su la 27 ora del Corriere.
“Che bello poter provare
ammirazione per una donna
di Maria Luisa Agnese
——————————————————————————–
Che bello poter provare ammirazione per una donna e dire Brava, avrei voluto essere al suo posto. E’ quello che mi è capitato di fronte a Giulia Bongiorno che non solo è abile avvocato che fa assolvere tutto quello che tocca, ma è donna e politica non a disposizione, non disponibile cioè a ingoiare qualsiasi compromesso, come ha raccontato a Monica Guerzoni sul Corriere per spiegare il suo no finale alla legge sulle intercettazioni e le sue dimissioni da relatore del ddl in Commissione. E anche se altri, più flessibili politicamente di lei come Alfano e Ghedini si sono arresi all’ultimo minuto al volere del loro Capo, Bongiorno spiega nell’intervista che ci sono momenti in cui bisogna saper far valere le proprie ragioni e dire no anche ai propri leader se necessario: “Io ho saputo dire no a un potente come Andreotti, e quando non sono d’accordo con Fini, glielo dico”.
E difatti l’ammirazione, al di là dei contenuti, è proprio per quella capacità di autonomia e di restare in contatto con la parte di sé che detta da dentro, secondo il copyright di Steve Jobs che nel famoso discorso del 2005 ai neolaureati di Stanford aveva messo a fuoco bene la forza generatrice delle idee e che sta diventando fonte di ispirazione per le le piazze contemporanee:
“Non lasciate che il rumore delle opinioni degli altri soffochi la voce che sale da dentro di voi. Abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione, in qualche modo loro sanno cosa volete davvero diventare”.
Va bene, è stato un uomo a dirlo, ma che importa, si poteva dire meglio? Sì, forse ci aveva già pensato anni prima Susanna Tamaro con quel titolo che è volato nel mondo, Va dove ti porta il cuore. E soprattutto, pensateci, tutte le volte che non avete seguito il vostro cuore e il vostro intuito avete sbagliato sapendo di sbagliare e avete accellerato il vostro fallimento.
Ecco perché da un po’ di tempo mi capita di provare ammirazione per alcune donne che sono capaci di seguire la loro vocazione senza inutili proclami ma con grande fermezza, senza curarsi dei devianti rumori di fondo, forse perché nella loro concretezza femminile hanno capito che tutto il mondo sta fallendo, che tanti soloni hanno sbagliato ogni cosa, tanto vale stare a sentire se stesse e sì, le proprie intuizioni; forse è il momento.
Ed è una consolazione poter mettere da parte il veleno insidioso dell’invidia e non perderci tempo su, non stare ad ascoltare i venticelli della malignità inutilmente dietrista (“la Bongiorno lo ha fatto solo perché è assetata di visibilità”), per riconoscersi in un comune sentire. Sapere che al di là delle opinioni diverse ci si può trovare d’accordo fra donne su alcuni valori di fondo non negoziabili (ma potremmo anche chiamarli modi di essere) come la fiducia, la responsabilità, la dignità.”
Aggiungo io: ce ne fossero in politica di Donne ed Uomini con lo spirito Libero della Bongiorno.
La lettura dell’articolo sulla Bongiorno mi ha spinto a rileggere l’Appello ai Liberi e Forti che don Luigi Sturzo lancio’ nel gennaio del 1919:
“A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà. E mentre i rappresentanti delle Nazioni vincitrici si riuniscono per preparare le basi di una pace giusta e durevole, i partiti politici di ogni paese debbono contribuire a rafforzare quelle tendenze e quei principi che varranno ad allontanare ogni pericolo di nuove guerre, a dare un assetto stabile alle Nazioni, ad attuare gli ideali di giustizia sociale e migliorare le condizioni generali, del lavoro, a sviluppare le enrgie spirituali e materiali di tutti i paesi uniti nel vincolo solenne della “Società delle Nazioni”.
E come non è giusto compromettere i vantaggi della vittoria conquistata con immensi sacrifici fatti per la difesa dei diritti dei popoli e per le più elevate idealità civili, così è imprescindibile dovere di sane democrazie e di governi popolari trovare il reale equilibrio dei diritti nazionali con i supremi interessi internazionali e le perenni ragioni del pacifico progresso della società.
Perciò sosteniamo il programma politico-morale patrimonio delle genti cristiane, ricordato prima da parola angusta e oggi propugnato da Wilson come elemento fondamentale del futuro assetto mondiale, e rigettiamo gli imperialismi che creano i popoli dominatori e maturano le violente riscosse: perciò domandiamo che la Società delle Nazioni riconosca le giuste aspirazioni nazionali, affretti l’avvento del disarmo universale, abolisca il segreto dei trattati, attui la libertà dei mari, propugni nei rapporti internazionali la legislazione sociale, la uguaglianza del lavoro, le libertà religiose contro ogni oppressione di setta, abbia la forza della sanzione e i mezzi per la tutela dei diritti dei popoli deboli contro le tendenze sopraffatrici dei forti.
Al migliore avvenire della nostra Italia – sicura nei suoi confini e nei mari che la circondano – che per virtù dei suoi figli, nei sacrifici della guerra ha con la vittoria compiuta la sua unità e rinsaldta la coscienza nazionale, dedichiamo ogni nostra attività con fervore d’entusiasmi e con fermezza di illuminati propositi.
Ad uno Stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno Stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i Comuni – che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private. E perché lo Stato sia la più sincera espressione del volere popolare, domandiamo la riforma dell’Istituto Parlamentare sulla base della rappresentanza proporzionale, non escluso il voto delle donne, e il Senato elettivo, come rappresentanza direttiva degli organismi nazionali, accademici, amministrativi e sindacali: vogliamo la riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della legislazione, invochiamo il riconoscimento giuridico delle classi, l’autonomia comunale, la riforma degli Enti Provinciali e il più largo decentramento nelle unità regionali.
Ma sarebbero queste vane riforme senza il contenuto se non reclamassimo, come anima della nuova Società, il vero senso di libertà, rispondente alla maturità civile del nostro popolo e al più alto sviluppo delle sue energie: libertà religiosa, non solo agl’individui ma anche alla Chiesa, per la esplicazione della sua missione spirituale nel mondo; libertà di insegnamento, senza monopoli statali; libertà alle organizzazioni di classe, senza preferenze e privilegi di parte; libertà comunale e locale secondo le gloriose tradizioni italiche.
Questo ideale di libertà non tende a disorganizzare lo Stato ma è essenzialmente organico nel rinnovamento delle energie e delle attività, che debbono trovare al centro la coordinazione, la valorizzazione, la difesa e lo sviluppo progressivo. Energie, che debbono comporsi a nuclei vitali che potranno fermare o modificare le correnti disgregatrici, le agitazioni promosse in nome di una sistematica lotta di classe e della rivoluzione anarchica e attingere dall’anima popolare gli elementi di conservazione e di progresso, dando valore all’autorità come forza ed esponente insieme della sovranità popolare e della collaborazione sociale.
Le necessarie e urgenti rifrome nel campo della previdenza e della assistenza sociale, nella legislazione del lavoro, nella formazione e tutela della piccola proprietà devono tendere alla elevazione delle classi lavoratrici, mentre l’incremento delle forze economiche del Paese, l’aumento della produzione, la salda ed equa sistemazione dei regimi doganali, la riforma tributaria, lo sviluppo della marina mercantile, la soluzione del problema del Mezzogiorno, la colonizzazione interna del latifondo, la riorganizzazione scolastica e la lotta contro l’analfabetismo varranno a far superare la crisi del dopo-guerra e a tesoreggiare i frutti legittimi e auspicati della vittoria.
Ci presentiamo nella vita politica con la nostra bandiera morale e sociale, inspirandoci ai saldi principii del Cristianesimo che consacrò la grande missione civilizzatrice dell’Italia; missione che anche oggi, nel nuovo assetto dei popoli, deve rifulgere di fronte ai tentativi di nuovi imperialismi di fronte a sconvolgimenti anarchici di grandi Imperi caduti, di fronte a democrazie socialiste che tentano la materializzazione di ogni identità, di fronte a vecchi liberalismi settari, che nella forza dell’organismo statale centralizzato resistono alle nuove correnti affrancatrici.
A tutti gli uomini moralmente liberi e socialmente evoluti, a quanti nell’amore alla patria sanno congiungere il giusto senso dei diritti e degl’interessi nazionali con un sano internazionalismo, a quanti apprezzano e rispettano le virtù morali del nostro popolo, a nome del Partito Popolare Italiano facciamo appello e domandiamo l’adesione al nostro Programma.
Roma, lì 18 gennaio 1919 ”
C’è di che riflettere cari politici di oggi.
Sottoscrivo ogni parola.
Viva la chiarezza.Complimenti, Dott. Liuti.