Le mafie nelle Marche
Un fiume di droga
destinato ai nostri ragazzi

La criminalità organizzata è attiva nella nostra regione dalla strage di Sambucheto

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di Giuseppe Bommarito *

E’ riscontrabile veramente nella nostra provincia la presenza della criminalità organizzata, oppure si tratta di esagerazioni, di forzature?

La questione in effetti è controversa, anche tra le forze dell’ordine e a livello giudiziario. Da un lato c’è chi, pur rimanendo vigile ed attento all’evoluzione della situazione, non vede, ad oggi, una consistente infiltrazione delle associazioni criminali nel territorio marchigiano. Recentemente, ad esempio, il Presidente della Corte di Appello di Ancona, inaugurando l’anno giudiziario 2011, ha sostenuto nella sua relazione che nelle Marche “il fenomeno delle associazioni di stampo mafioso continua ad essere poco presente”, e ciò per un’efficace opera di contrasto delle forze dell’ordine e per la presenza di un tessuto socio-economico sostanzialmente sano. Curiosamente, però, le statistiche allegate alla relazione, pur riferendosi a numeri non elevati, evidenziano nell’ultimo anno un aumento dell’8% dei procedimenti iscritti alla Direzione Distrettuale Antimafia, un aumento del 200% dei delitti di associazione a delinquere di stampo mafioso, ed un incremento di alcuni reati “tipici” della criminalità organizzata, come le estorsioni (+ 4%) e le rapine ai danni dei privati (+ 3%), mentre, in verità, calano altri reati anch’essi rientranti nella prassi della criminalizzata organizzata, quali l’usura (- 4%).

Altri, invece, mostrano più preoccupazione, e non solo per lo stillicidio quotidiano di arresti di trafficanti, pusher, corrieri, spacciatori, e di sequestri di sostanze, per quantità sempre più consistenti. E’ il caso del comandante regionale della Guardia di Finanza, il generale Francesco Petraroli, che, solo pochi giorni fa, ha dichiarato alla stampa, parlando delle infiltrazioni mafiose nel tessuto sociale e imprenditoriale delle nostra regione: “Le Marche sono terreno di conquista, ci sono fatti ed elementi che lo confermano”, dilungandosi poi sui tentativi della criminalità organizzata di entrare nel distretto della calzatura (per rilevare imprese in crisi e per rubare idee e professionalità da trasmettere all’industria camorristica delle contraffazioni) e nel giro dei locali notturni, magari avvalendosi di collaboratori di giustizia “parcheggiati” nella regione e poi usciti dai programmi di protezione, utili per aggregare soggetti malavitosi e per individuare possibili investimenti, tramite i quali riciclare il denaro sporco. Queste affermazioni trovano conferma in altre recentissime notizie uscite sulla cronaca locale, che, per un verso o per un altro, destano attenzione e aprono qualche squarcio sulla cosiddetta “mafia imprenditrice”: ad esempio, il caso, proprio di questi giorni, di usura, riciclaggio e accaparramento di alberghi, ristoranti e residence a Gabicce, ad opera di un soggetto ritenuto collegato al clan camorristico di Giugliano (Napoli); il sequestro da nove milioni di euro a Cerreto d’Esi di immobili risultati di proprietà, tramite alcuni prestanome, del clan dei Casalesi; e i periodici, e sempre più stringenti, controlli del Gruppo Interforze fortemente voluto dalla Prefettura di Macerata per il controllo della qualità del calcestruzzo impiegato nella realizzazione dei vari spezzoni della Quadrilatero, con la specifica finalità di prevenire infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti e nelle forniture di merci e materiali.

Senza voler drammatizzare la situazione, la mia idea è che la criminalità  organizzata, ben più pericolosa e potente dei gruppi malavitosi di casa nostra, e sicuramente meno controllabile di questi ultimi, sia presente e dominante nelle Marche a partire dalla strage di Sambucheto del 1996, un vero e proprio spartiacque, che, di fatto, segnò l’asservimento della malavita locale alle mafie del sud, ormai protagoniste indiscusse del mercato della droga, che, anche nella nostra regione, costituisce il mezzo più veloce ed efficace per ottenere il completo controllo del territorio ed il massimo profitto economico.

Da allora la camorra e la ‘ndrangheta, avvalendosi di basi stabili e di punti di riferimento ormai acquisiti nelle Marche, nonché di porte di accesso agevolate (si pensi all’A14 e al porto di Ancona, dove ogni mese arrivano centinaia di traghetti e migliaia di TIR, controllati dalla Guardia di Finanza solo a campione), hanno infatti gestito in prima persona, e senza intermediari, i flussi di droga, il vero grande business criminale, che ovunque consente di arricchirsi ingentemente e rapidamente. La ‘ndrangheta – come è noto – è oggi dominante in regione nel controllo del traffico della cocaina, mentre la camorra, meno “specializzata”, fa arrivare nelle Marche, oltre alla cocaina, anche l’eroina, la cannabis, l’ecstasy.

Lo scenario che emerge dai resoconti delle forze dell’ordine e dalle cronache locali consente inoltre di capire che nelle Marche, nell’ambito del traffico delle sostanze stupefacenti, operano, anch’esse in posizione subordinata, ma in saldatura con le associazioni criminali del sud e con funzioni rivolte quasi esclusivamente allo spaccio di droga, pure organizzazioni criminali straniere, ormai stanziali, principalmente la mafia albanese e quella nigeriana.

Gli albanesi ed i nigeriani controllano nelle Marche il mercato della prostituzione su strada e utilizzano gli ingenti proventi  che ne derivano per acquistare dalla camorra e dalla ‘ndrangheta partite di droga sempre più consistenti, acquisti che a volte, in verità, fanno anche direttamente nei paesi di origine. La mafia nigeriana è molto abile a curare, poi, lo spaccio minuto della droga, avvalendosi di persone di altre nazionalità, in particolare originarie del Nord Africa (marocchini, tunisini, algerini).

Per entrambi questi sodalizi mafiosi stranieri lo sfruttamento in grande scala della prostituzione costituisce, però, un reato secondario, nel senso che i proventi ricavati con il giro delle prostitute nigeriane e dell’est (anche minorenni) sbattute sulla strada servono ad entrare non appena possibile nel ben più redditizio mercato della droga, cioè per finanziare l’acquisto e lo smercio di sostanze stupefacenti.

Per i criminali albanesi c’è anche un’altra fonte di finanziamento per iniziare ad inserirsi nel mercato della droga, quella dei reati predatori, cioè dei furti di auto di grossa cilindrata e delle rapine fatte nelle ville e nelle case isolate delle nostre tranquille cittadine. Il ricavato serve a partire con degli acquisti di droga di limitate dimensioni, per poi, cominciato il giro, allargarsi a partite sempre più consistenti. Gli albanesi che delinquono e fanno le rapine si distinguono per la loro violenza e la loro pericolosità, come ben sanno le forze dell’ordine e quei malcapitati che, anche dalle nostre parti, hanno sperimentato sulla loro pelle questa particolare ferocia.

Per lungo tempo, nelle Marche, che non sono terra di mafia, si è però sottovalutato il fenomeno della presenza stabile e sempre più radicata delle organizzazioni di matrice mafiosa italiane e straniere, e soprattutto, non si è compreso ciò che tale radicamento criminale ha significato in termini di afflusso sempre più consistente verso le nostre città, da Pesaro a San Benedetto del Tronto, dalla costa all’entroterra, sino alla fascia montana, di quantità sempre più massicce di droga, di ogni tipo e a prezzi sempre più bassi. Per chi volesse rendersene conto, sarebbe sufficiente leggere i dati dei vari Sert marchigiani, che, senza eccezioni, registrano un incremento esponenziale, negli ultimi dieci anni, dei soggetti tossicodipendenti seguiti dalle strutture pubbliche (e si tratta di dati riduttivi, giacchè ai Sert si rivolge solo il 45% circa dei soggetti che avrebbero in realtà bisogno di cure e terapie).

Ricordiamoci inoltre che le Marche interessano le mafie anche perché, per le caratteristiche socio-economiche della regione, costituiscono, insieme ad altre regioni dell’Italia centrale, ritenute “tranquille” (in particolare, la vicina Emilia-Romagna, dove peraltro sta aumentando vorticosamente l’azione di contrasto della locale Direzione Distrettuale Antimafia), il terreno privilegiato di reinvestimento speculativo dei proventi delle attività delittuose, specie nei settori delle infrastrutture, dell’edilizia, della grande distribuzione, della ristorazione e del turismo alberghiero.

In definitiva, anche da queste considerazioni balza agli occhi l’esigenza, non più procrastinabile, di una rete, di una alleanza, fra organi istituzionali, forze politiche di ogni schieramento, famiglia, scuola, associazioni sportive, Chiesa, forze dell’ordine, per vigilare sulle infiltrazioni mafiose nel nostro territorio e per contrastare tra i nostri ragazzi la cultura dello sballo, purtroppo agevolata dalla enorme disponibilità di droga di ogni tipo.

* avvocato e presidente dell’associazione Onlus “Con Nicola oltre il deserto di indifferenza”

 



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