Sferisterio? A furor di popolo
trionfa sempre il “Così fan tutti”

La domenica del villaggio
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di Giancarlo Liuti

Nel cartellone della prossima stagione lirica avremo il “Così fan tutte” di Mozart, ma quest’opera, per Macerata, non è una novità. A parte quella del 1990 con Sesto Bruscantini e la Antonacci, le altre rappresentazioni sono state e sono moltissime, anche se col titolo leggermente diverso di “Così fan tutti”. Sul presente e sul futuro dello Sferisterio, infatti, si usa presentare mozioni, stilare ordini del giorno, indire assemblee, organizzare convegni, lanciare proposte, accendere polemiche, dare sfogo al parere di chiunque. Tutti hanno qualcosa da dire e tutti la dicono. Economisti, storici, musicologi, sociologi, politologi, opinionisti di varia umanità e varia amenità, passatisti, futuristi, gente che governa, gente che vorrebbe governare, gente che è governata. Il motivo conduttore? Sempre lo stesso: prendersela col consiglio d’amministrazione e col direttore artistico. Così fan tutti. E, come suona un vecchio motto maceratese, la pecora cammina. Ma dove va? Alimentato dal mugugno popolare, dalle fazioni di parte e dalla fumosità che si accompagna al protagonismo di mera facciata, il percorso di questa povera pecora non fa che avvitarsi su se stesso. E sapete perché? Perché dalla mediocre operetta del “Così fan tutti” viene sistematicamente tenuto fuori quel fondamentale protagonista che è il budget, il conquibus, la disponibilità finanziaria. E’ possibile discutere dello Sferisterio senza partire dalle risorse? No, non è possibile. Eppure così fan tutti.

C’è o non c’è la crisi economica? C’è. E i teatri lirici ne risentono pesantemente. Se diminuiscono le risorse finanziarie diminuiscono i grandi eventi, se diminuiscono i grandi eventi diminuiscono gli spettatori, se diminuiscono gli spettatori diminuiscono gli sponsor, se diminuiscono gli sponsor la quadratura fra entrate e uscite rischia di diventare un miraggio. A questa catena, signori, non si sfugge. Ma nel copione del “Così fan tutti”si parla d’altro. Alcuni, i più metafisici, denunciano che manca un “progetto culturale” (sic!), che “non ci si apre abbastanza al territorio” (sic!), che non si riconosce appieno il “valore identitario” (sic!). Altri scendono dalle nuvole e lamentano che incarichi e ruoli non sono abbastanza all’altezza, che le messe in scena non sono abbastanza attraenti, che bisogna tornare alle opere di spettacolare impatto popolare, che alla lirica  si debbono aggiungere balletti, commedie musicali e jazz. Infine gli immaginifici, che suggeriscono di coprire lo Sferisterio per utilizzarlo, riscaldato, anche d’inverno (follie, follie, canta Violetta nella Traviata).

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Ma quanto costerebbe, questa roba? Si tace, se ne prescinde, si evita di rifletterci. Intendiamoci, va da sé che sugli amministratori e sul direttore artistico è legittimo storcere il naso. A questo mondo, lo sappiamo, nessuno è perfetto. Noi, del resto, non siamo qui per difendere a priori le loro scelte e le loro decisioni. Ma attenzione. E’ pur vero che per le favolose stagioni dei Pavarotti, dei Domingo, dei Carreras, dei Corelli, della Scotto, della Bumbrey, della Caballé, della Horne, dei Ken Russell, dei De Ana e degli Svoboda arrivavano pullman da mezza Italia, ne tesseva le lodi la stampa internazionale e negli Stati Uniti, per dire Macerata, bastava dire Sferisterio. Come si fa a non provarne nostalgia? Però quell’epoca è finita da un pezzo e ha lasciato un debito di oltre cinque milioni, più di dieci miliardi di lire. Dunque era indispensabile stringere i freni, altrimenti lo Sferisterio avrebbe chiuso per fallimento. Macerata doveva rinunciare a questo suo gioiello? Non doveva, sarebbe stato un suicidio. E dal 2007 al 2009 (quest’anno non è andata benissimo) si è compiuto il quasi miracolo del pareggio di gestione. Ma quel peso resta. Un po’ come l’Italia, con la palla al piede del debito pubblico.

Venendo ora a Pierluigi Pizzi (non uno qualunque, si badi bene, il suo nome ha un posto nella storia del teatro italiano) ci rifiutiamo di credere che sia talmente autolesionista da non volere i pullman, i “tutto esaurito” e l’acclamazione, anche per se stesso, dei media oltreconfine. Non sarà allora che i limiti di bilancio lo costringono a impegnarsi in opere di allestimento meno costoso e tuttavia culturalmente stimolanti, cioè capaci di riscuotere il consenso della critica specializzata e di mantenere a buon livello il prestigio dello Sferisterio? Non sarà per questo che accanto a Tosca, Carmen e Aida, abbiamo avuto le Francesca da Rimini, le Maria Stuarda, i Macbeth, i Lombardi alla prima Crociata, i Racconti di Hoffman? Non sarà per questo che mettendo a frutto la fantasia – suprema virtù dei poveri – è stata varata l’idea del Sof, Sferisterio Opera Festival: legare insieme l’Arena e il Lauro Rossi su temi evocativi come l’Inganno, la Seduzione, la Libertà, il Destino? Fare meglio? Ripetiamo: forse si può, forse si deve. Ma è assurdo che in questo ostinato “Così fan tutti” non si badi, nemmeno una volta e nemmeno per caso, alla  situazione finanziaria e non si parta, per qualsiasi proposta e qualsiasi rilievo, dalla sua ineludibile realtà.



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