Da sinistra Andrea Foglia, Franco Prina e Paolo Nanni
di Laura Boccanera
«Non chiamatele baby gang». Franco Prina, studioso e docente dei fenomeni giovanili è intervenuto sabato a Civitanova nell’ambito del convegno organizzato dall’associazione Sentinelle del mattino Aps, Caritas e dipartimento dipendenze patologiche dell’Area vasta 3.
Franco Prina
L’incontro nasce dall’esigenza sentita sul territorio di un ragionamento più ampio rispetto a fenomeni di criminalità giovanile culminata in alcuni episodi che hanno impensierito genitori e famiglie.
Ad esempio la rapina al giovane Giacomo Mobili ad opera di suoi coetanei e un’aggressione culminata con una bottigliata in testa. La necessità degli adulti di comprendere un fenomeno ha raccolto attorno al tema anche altri soggetti che hanno deciso di fare rete attorno al progetto “Oltre” per capire quali risposte, istituzionali e sociali fornire per controllare il fenomeno. «I nostri ragazzi oggi stanno peggio – ha aperto il dibattito Andrea Foglia – sono più fragili, più smarriti e il Covid è stato semplicemente un amplificatore. O neghiamo, ignoriamo, attendiamo passivamente periodi migliori o tutto questo va affrontato con urgenza, da qui l’avverbio Oltre per definire un andare oltre, ma anche guardare oltre e superare l’autoreferenzialità dell’associazionismo».
Cuore dell’incontro è stato l’intervento di Prina, da tempo studioso di questi fenomeni che ha esordito cercando di fare chiarezza anzitutto sulla denominazione: «non chiamatele baby gang» ha detto sottolineando come il fenomeno delle gang non nasca oggi (citando un saggio di Valerio Marchi che addirittura data la nascita del conflitto giovanile già nel Rinascimento) e che in particolare con gang ci si riferisca a gruppi armati e organizzati delle grandi città statunitensi: «in Italia la presenza delle mafie non ha consentito la nascita di gang come le conoscono negli Stati Uniti – ha sottolineato – ma quei fenomeni che osserviamo oggi sono aggregazioni fluide, mutevoli, non sono né baby in quanto adolescenti o giovani uomini, né strutturate, ma mutevoli in cui ci si ritrova per far rissa o per compiere reati insieme e sparare fuochi d’artificio e petardi. Sono gruppi che agiscono con modalità delle bande in spazi pubblici per reati di tipo predatorio spesso accompagnati da violenze verbali o fisiche».
Dai dati nazionali in realtà però le denunce nei confronti dei minori sono stabili e non in aumento, «sono 350 i minori negli istituti penali minorili» aggiunge Prina concludendo che l’approccio della giustizia minorile sia stato un approccio vincente.
Un accenno è stato fatto anche alle conseguenze della pandemia che ha avuto come effetto il disagio psichico e la chiusura in casa e dall’altra parte l’esplosione del gruppo per riconquistare la socialità perduta. Secondo Prina è l’esplosione dalla compressione che ha prodotto negli ultimi tempi manifestazioni e forme di violenza collettiva, anche come bisogno di apparire.
Al dibattito hanno partecipato anche Paolo Nanni del dipartimento dipendenze e del team Stammi bene presente con l’unità mobile operativa: «i social dovevano aiutarci a comunicare di più e invece ha prodotto isolamento – ha sottolineato Nanni – alla base di questi fenomeni c’è un isolamento disfunzionale che viene riempito dal gruppo. C’è bisogno di uno specchio che mostri ai giovani di quanta ricchezza sono capaci».
Tra gli interventi anche quello di operatori “sul campo” come Samantha Zanconi della Pars, Chiara Smerilli educatrice di strada della cooperativa Il Faro e Michele Calamanti educatore di strada con la Comunità di Capodarco. «Fondamentale è l’ascolto per i ragazzi – ha sottolineato Chiara Smerilli – cogliere le sfumature di questi gruppi, spesso sono manifestazioni di esplosione, di solitudine, però intercettati ci permettono di costruire insieme a loro alternative. E spesso sono insofferenti alle etichette che gli vengono inflitte e alla domanda su cosa li spinge a compiere queste azioni la risposta è stata la mancanza delle alternative. Spesso nascono come vittime e poi la prevaricazione diviene una scelta. Inizialmente fanno muro quando non si ascoltano i loro interessi, poi cerchiamo di capire di cosa hanno bisogno. La prima cosa che a loro manca è la capacità di esprimere le loro sensazioni ed emozioni».
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…così, per favore, solo una curiosità: qualcuno mi saprebbe dire dove ha studiato questo studioso!!? Grazie. gv
Da Andrea Foglia riceviamo: «Franco Prina insegna Sociologia giuridica e della devianza all’università di Torino. Si occupa – da anni – di devianza e delinquenza minorile e ha svolto il ruolo di giudice onorario al Tribunale per i minorenni di Torino. Si dedica alla formazione di assistenti sociali e di altri operatori impegnati nel campo dell’inclusione. Autore del libro: “Gang giovanili. Perché nascono, chi ne fa parte, come intervenire”».
…appunto, ragion per cui…ma si vede che alcune volte non basta, per quanto mi riguarda, ovviamente!!! Gli auguro, comunque, tanti begli insegnamenti. gv